La banca dei semi. Perché è importante
Un milione di semi, poco meno della metà dell’intero patrimonio agricolo del pianeta. È il biglietto da visita della banca dei semi custodita nell’arcipelago Svalbard, che conserva il corredo genetico delle colture conosciute nel mondo. L’istituto è oggi finanziato e gestito dal governo norvegese, nel territorio di sua pertinenza sull’isola di Spitsbergen, dove la Svalbard Global Seed Vault è stata realizzata scavando una sorta di bunker all’interno di una montagna; ma sono molte le istituzioni internazionali (Fao compresa) che ne alimentano i depositi, contribuendo alla salvaguardia della biodiversità agricola globale. Specie quest’anno, in occasione del decimo anniversario della struttura, progettata per resistere alle calamità naturali – dai terremoti ai cambiamenti climatici, alle alterazioni biologiche – e umane, come le guerre che imperversano ancora in molti Paesi del mondo. Tra gli effetti collaterali di un conflitto armato, infatti, la distruzione del territorio, con le sue tradizioni rurali e la sua storia, è certo la conseguenza meno eclatante nell’immediato, ma quella che lascia i segni più profondi nel lungo periodo. Non a caso, nel 2015 la banca dei semi si è attivata per restituire ad Aleppo 130 esemplari di specie autoctone che il Centro per la ricerca agricola locale non aveva più modo di reperire, a causa della guerra in Siria: unico caso di “prelievo” nella storia della banca. Ma la conservazione dei semi è una pratica necessaria anche di fronte alla tentazione di abusare delle moderne tecnologie che sostengono gli esperimenti genetici e l’agricoltura intensiva: la banca, infatti, conserva anche i semi delle 21 colture ritenute le principali fonti alimentari agricole per l’umanità, dal mais alla patata, dai fagioli al frumento, al riso. E poi manioca, mele, noce di cocco, soia.
Nel cuore della montagna. Com’è il bunker
Del bunker, scavato a partire dal 2006 e inaugurato nel 2008 a una profondità di 120 metri nel cuore di una montagna di arenaria (ex miniera di carbone) ma a 130 metri sopra il livello del mare, si intravede dall’esterno solo l’ingresso; ma al riparo da sguardi indiscreti la banca si articola in 3 sale protette da sistemi di sicurezza imponenti, che mantengono temperatura costante a -18° C, per inibire la germinazione dei semi, conservati in pacchetti speciali, a loro volta inseriti in casse sigillate.
Nessun problema di sovraffollamento, dunque, dal momento che lo spazio è stato progettato per accogliere 4 milioni e mezzo di sementi, il doppio delle specie conosciute attualmente, anche se il governo norvegese si impegna costantemente per migliorare la struttura, e per questo ha stanziato di recente 12 milioni di euro per raccogliere progetti innovativi, che portino alla realizzazione di centrali elettriche di emergenza per il mantenimento del freddo (ma i lavori di manutenzione “ordinaria” comprendono pure impermeabilizzazione degli ambienti e aggiornamento dei sistemi di controllo).
Il regalo per i 10 anni
Il decimo anniversario del centro è stato festeggiato il 26 febbraio scorso, quando il deposito delle Svalbard ha ricevuto 70mila nuove tipologie di sementi da 23 istituzioni di tutto il mondo (per l’Italia l’Università di Pavia, con la sua Banca del Germoplasma Vegetale, che dal 2011 è l’unico ente italiano a inviare semi alle Svalbard): nuove varietà di riso, mais, grano, ma anche colture meno conosciute, come le arachidi di Bambara, legumi dell’Africa sub-sahariana in grado di crescere anche in regime di siccità. Dall’Italia sono arrivati in questa occasione il mais ottofile, la cipolla rossa precoce di Breme e un grano spontaneo delle colline dell’Oltrepò. Negli ultimi anni l’esempio delle Svalbard ha trovato diffusione nel mondo, dove oggi si contano circa 1770 banche genetiche che operano a livello nazionale, preservando i semi importanti per l’agricoltura locale. Ma il compito del bunker norvegese è quello di fungere da backup unit conservando duplicati delle sementi di tutto il Pianeta (o almeno questo è l’obiettivo, quando il centro arriverà a possedere almeno una copia di tutti i semi conosciuti): in caso di necessità, i semi delle Svalbard potranno essere utilizzati per ripristinare una coltura andata persa.
a cura di Livia Montagnoli