Investire nella ristorazione
Non passa giorno senza che arrivi notizia dell’apertura di qualche nuova attività di ristorazione. Con l’aumentare dell’interesse intorno al mondo gastronomico e il moltiplicarsi delle possibilità per entrare nel settore prendendo strade alternative – basti pensare al business dello street food – sono molti gli italiani che decidono di avvicinarsi a una sfera imprenditoriale tutt’altro che semplice da gestire e anzi costellata di ostacoli sin dai primi passi da intraprendere al cospetto della burocrazia.
Come si deve comportare, quindi, un privato cittadino che voglia aprire il suo ristorante in una città italiana?
Genova e Nizza a confronto. Ristoratori vs burocrazia
Il quotidiano La Stampa dedica un’efficace infografica alla questione, confrontando le procedure necessarie per aprire un ristorante a Genova e Nizza. Il paragone, neanche a dirlo, è impietoso. L’inchiesta ha coinvolto Giovanni Vivarelli, già titolare di un’attività con il figlio nel capoluogo ligure, e Fabio Gnech, imprenditore cuneese che ha deciso di aprire il suo esercizio a Nizza, risparmiandosi non poche fatiche in termini di tempo e denaro. Sessanta giorni (due mesi!) contro quattordici (due settimane!). Eppure la partenza è la stessa: si costituisce una società, si presenta il progetto al Comune e ci si affida a un commercialista per la contabilità.
Genova: scartoffie, fila agli sportelli, tasse impreviste e corsi formativi
Poi però, a confronto con il labirinto di sportelli amministrativi italiani arriva la sorpresa: tasse non previste, gabelle per servizi aggiuntivi, carte da firmare e consegnare ogni volta a un soggetto diverso. E così il tempo passa e le spese aumentano. La società costituita davanti al notaio dovrà registrarsi in Camera di Commercio, all’Inps e all’Inail, sottoscrivere un contratto di acquisto o affitto del locale dove svolgere l’attività e poi presentare il progetto al Comune di pertinenza. Con le ulteriori dovute distinzioni, perché se la zona interessata si trova in centro città o in posizione particolarmente favorevole e turistica il progetto dovrà considerare opere aggiuntive per la messa a norma del locale, come l’insonorizzazione delle pareti, lo spazio per la raccolta differenziata, una seconda toilette. Scrupoli pur giusti, ma determinanti in termini di tempo e costi iniziali.
Poi ci sono i corsi di formazione e il certificato Haccp, ma anche la più singolare iscrizione obbligatoria al Conai, Consorzio Nazionale imballaggi, l’iscrizione all’Amiu per la tassa sui rifiuti, i costi aggiuntivi per l’insegna o la presenza di flipper e biliardini, la marca da bollo per la vendita di alcolici a favore dell’Agenzia delle Entrate. Totale quasi 8500 euro.
Nizza: due settimane, esentasse e i corsi li paga lo Stato
A Nizza la situazione cambia, e tutto diventa più semplice. Ed esentasse. Per non parlare dei corsi di formazione (facoltativi) a carico dello Stato francese. E se il malcapitato novello ristoratore volesse disporre di un dehors? Anche in questo caso divergenze lampanti: in Italia il Comune pretende 400 euro per valutare e approvare il progetto, in Francia nessuna spesa e tempi brevi, purché sussistano i requisiti di decoro urbano.
Ma non lasciatevi ingannare dall’estrema semplicità delle operazioni d’Oltralpe: in Francia i controlli sono rigorosi, è fondamentale che il locale sia a norma, le celle frigorifere usate correttamente, i prodotti per la cucina non scaduti. La differenza sostanziale è una sola: la burocrazia sa svolgere il suo lavoro senza gravare sull’attività imprenditoriale e mortificare gli investimenti. E senza affossare – come invece sta succedendo da noi – uno dei settori più strategici per la promozione delle produzioni locali, del 'made in', del turismo di qualità. E voi, che ne pensate? Aprireste un ristorante in Italia?
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Questo e molti altri temi verranno approfonditi nel corso di Gourmet.
a cura di Livia Montagnoli
Gourmet | Expoforum | Horeca Food & Beverage | 22-24 novembre 2015 | Lingotto Fiere Torino | www.gourmetforum.it