Basso Garda: tour enogastronomico fra le colline moreniche, a due passi da Brescia e Bergamo

Un viaggio che inizia dal Garda, attraversa paesi, vigneti e oliveti alla scoperta di piccole e grandi denominazioni, erbe spontanee e coltivazioni esclusive, ristoratori che le valorizzano accanto a salumi tipici e pesce d’acqua dolce.
A cura di Emiliano Gucci
Pubblicato il 1:04 pm, Ven, 31 Marzo 23
Tempo di lettura: 10 minuti

Il Basso Garda bresciano

Un viaggio ideale potrebbe iniziare navigando, e in questo caso non sarebbero le acque del mare ma quelle del lago, i caleidoscopici colori del Garda che già mettono voglia di scoprire, immaginare, capire cosa nasconde l’insenatura successiva. L’approdo potrebbe essere Sirmione, magari al mattino presto, nelle stagioni meno affollate: godere delle sue terme e del Castello Scaligero, respirarne la poesia, risalire la penisola e poi perdersi, sperdersi, scoprire i borghi e inoltrarsi nelle campagne, passeggiare tra i vigneti e gli oliveti, i campi, mettere il naso nelle fattorie e nelle botteghe. E le gambe sotto il tavolo di un buon ristorante. A indagare quelle che sono le produzioni di eccellenza in queste fascinose colline moreniche del Basso Garda bresciano, tra il fiume Mincio e i paesi di Desenzano e di Lonato, guidati dalla luce del cielo e del lago, dall’esperienza di agricoltori e artigiani che tanto hanno a cuore i frutti della loro terra.

 

Lugana, sintesi della territorialità

Il Lugana è ormai una certezza, uno dei vini bianchi più apprezzati al mondo col suo carattere fresco, minerale, sintesi ideale di questi suoli generati dallo scioglimento di un ghiacciaio. Eppure non ha vissuto soltanto epoche di gloria, anzi. “Nonno Pietro ebbe vista lunga, infatti troviamo la sua firma sul disciplinare del 1967, quando il Lugana divenne la prima doc lombarda” racconta Maria Chiara Dal Cero, responsabile della comunicazione per Cà dei FratiMa è innegabile che l’affermazione di questo vino deve molto alla passione di mio padre Igino, un 'conservatore contemporaneo' che assieme ai fratelli ha scommesso molto sulla varietà”. Parliamo di un’azienda che sta nel cuore di Lugana di Sirmione, 300 ettari vitati per 3 milioni e mezzo di bottiglie che mai smarriscono l’orizzonte della qualità. Igino Dal Cero ricorda che quando ha cominciato “non potevamo neanche dire si trattasse di Trebbiano”, perché questo è il Turbiana, uva del Lugana, “altrimenti venivamo screditati. Dà un grappolo così bello, un mosto così brillante, che ci pareva impossibile non poterci fare un gran vino bianco. E così abbiamo investito in lavoro e tecnologia alla ricerca di eleganza, finezza, aromi varietali”. Credendo in ciò che anticipava Luigi Veronelli: “Bevi il tuo Lugana giovane, giovanissimo, e ne godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza”.

“È un trebbiano tanto adattato da diventare geneticamente unico”, spiega Chiara Perego, enologo (ma non solo) per l’Azienda Agricola Sgreva condotta da Francesca Sgreva coi figli Giacomo e Vanessa Giupponi. “Il Turbiana dà il suo meglio col microclima e i suoli argillosi del lago, che trattengono l’acqua per cederla gradualmente. Da qui lo scheletro di sapidità e acidità ottimo per le sue evoluzioni”. Realtà piccola, in forte crescita, per Sgreva l’approccio alla varietà è enciclopedico, dalle versioni più taglienti a quelle più rotonde, fino a sperimentazioni in barrique. “Amo pensare che l’uva sia uno scrigno, a noi le chiavi per aprire un cassetto piuttosto che un altro”. Siamo anche in zona Chiaretto Riviera del Garda Classico Valtènesi, da uve Groppello e Marzemino con supporto di Sangiovese e Barbera, “vino fruttato eppure sapido, profumato, verticale, che lascia anche il colore e l’intensità all’interpretazione del produttore”.

Così ritroviamo il Lugana ma anche il Marzemino nella vicina Cascina Maddalena, azienda a conduzione familiare dove Elisa Zordan gestisce l’agriturismo. “Mi piace il contatto con la gente, mi piacciono i pullman di visitatori che educatamente ascoltano, domandano, assaggiano”. E dopo aver raccolto le verdure dell’orto mettono le mani in pasta al fianco di mamma Raffaella, per poi sedersi tutti assieme a mangiare i ravioli e le tagliatelle appena fatti. “Credo che l’experience sia il futuro del turismo – chiosa Elisa – anche se il percorso è dispendioso e il cliente va educato: in una casa si può trovare il calore della famiglia ma non quella risposta immediata forse pretendibile altrove”.

 

Dormire e mangiare tra vigna e lago

L’offerta si allarga a ristorazione e pernottamento incontrando un lotto di aziende che oltre a produrre Lugana opera nei confini della piccola doc San Martino della Battaglia, all’ombra di una torre monumentale che si innalza nei dintorni di Desenzano. “Enologicamente sono nato con questo vino – ricorda Luca Formentini titolare di Selva Capuzzae per molti anni siamo stati la sola cantina a produrlo, permettendo alla doc di sopravvivere”. Da sole uve Tocai, tutto cambiò nel 2008 quando l’utilizzo di questo termine venne vietato dalla Comunità Europea in tutela dell’omonimo ungherese: “Da quel giorno nell’etichetta del nostro Campo del Soglio è rimasto un punto interrogativo, anche oggi che il vitigno ha recuperato il suo antico nome, Tuchì”. Ricerca di eleganza e di “un’aromaticità fine, vegetale, dettagliata, per un vino dalla forte impronta territoriale: argilla ma anche sasso”, come nel Lugana Menasasso, così chiamato per “i detriti pesanti che lo scioglimento del ghiacciaio ha convogliato nei nostri suoli”.

Il San Martino della Battaglia affascina anche Gilberto Castoldi, terza generazione in campo per Cobue, sulle colline di Pozzolengo, cresciuta con la realizzazione della nuova cantina e di uno splendido wine resort. “Un luogo moderno ma caldo, dalla struttura ai dettagli”, con l’utilizzo del legno e dell’illuminazione davvero ben armonizzati. Le uve provengono da vigneti di proprietà, “il Lugana in purezza esalta acidità, freschezza, senza alcun residuo zuccherino”, al contempo si valorizzano varietà come il Groppello, bello in versione spumantizzata, e il già citato Tuchì che può accompagnare bene, per esempio, “una sostanziosa faraona ripiena, ricetta della nostra cultura contadina che guardava più al cortile che al lago”.

Poco distante Giorgio e Massimo Abruzzi conducono Feliciana, agriturismo e cantina in un pacifico borgo storico con origini settecentesche. Oltre venti camere con servizio B&B, “svincolate dal ristorante, affinché ognuno sia libero nella sua vacanza”, seppur si consigli di provare il tartufo della Valtènesi o i funghi porcini, la pasta all'uovo e i salumi prodotti internamente come “la lonza marinata con sale, aromi e agrumi, cotta nel Lugana e servita con pepe rosa e olio di oliva”. Qua il vino piace beverino, l’export ha un peso importante e il Lugana esce ben aromatico, così come il San Martino battezzato Torfel.

L’olio, il pane e la polenta

La cooperativa Farine tipiche del Lago Garda, a Bedizzole, ha rimesso in moto un vecchio molino a pietra (prime tracce nel 1184) e Stefano Ambrogio, uno dei soci, racconta il recupero di una vecchia varietà di mais, “il Quarantino locale, vitreo, dalla maturazione rapida, ibridato durante il ‘900 sui nostri terreni morenici fino alla sua forma attuale. Profumatissimo, da sempre si dice sappia di biscotto” e così la polenta ricavata da questa filiera cortissima, “dalla semente certificata alla confezione in ben meno di un chilometro”. Si produce anche frumento per una farina totalmente integrale, con il suo germe, poi trasformata da Beniamino Bazzoli, in quel di Odolo, in un pane perfetto anche per assaggiare l’olio di questo spicchio di lago.

“Inizialmente La Dop Garda teneva separate le sponde bresciane, trentine, veronesi. Oggi si presenta unica e la nostra storicità è garantita dalla varietà Casaliva, nota per la delicatezza, il retrogusto di mandorla dolce, di pinolo – racconta Paolo Venturini del Frantoio Montecroce a Desenzano – Dà un monocultivar che è gioia per il palato, mantiene corpo nella longevità ed è ottimo su un luccio alla gardesana, con salsa di capperi e limone, oppure sulla carne salada”, perché ovvie sono le influenze trentine come ne troveremo di venete, di mantovane. “La gelata del 1984 ha sterminato milioni di olivi che nessun vivaio poteva permettersi di reimpiantare con le vecchie varietà”, comunque tuttora troviamo la Regina del Garda “maestosa, difficile da contenere” e soprattutto il Leccino, “più facile da coltivare per un olio fragrante, versatile”. Verso nord caratteri più decisi, “per la presenza di roccia ed escursione termica importante”, mentre qua si punta a eleganza e delicatezza, come piace anche ai pasticceri in cerca di oli poveri di fenoli.

 

Zafferano ed erbe d’autore

Sempre nei pressi di Desenzano Raffaella Visconti, architetto e poi giornalista ed editore, si è ritagliata il suo piccolo eden con Officina delle Erbe del Garda, dove tutto vive secondo i principi della spontaneità, della permacultura, del biologico. “Grazie alla collaborazione con l’esperto Franco Liloni sono più di 150 le piante autoctone che abbiamo identificato, numerose le erbe spontanee con cui riforniamo gli chef più esigenti del territorio”. Troviamo anche le api e il miele, l’ottimo zafferano del Garda (utilizzato nei biscotti, nelle chisoline salate, nei formaggi), un lavandeto con 5.000 piante “da cui distillo personalmente olio essenziale e acqua floreale, ottimo tonico e interessante componente per cocktail analcolici”. Anche fattoria didattica e agriturismo culturale, tra le proposte spiccano “i tour esperienziali con visita al fioritissimo giardino segreto, al frutteto, alla magica spirale delle erbe aromatiche progettata secondo la sequenza di Fibonacci”.

A Lonato l’Azienda Agricola Paola Bompieri produce Raperonzolo, o meglio Rampònsol, erba che si vorrebbe spontanea (oggi insignita del marchio De.Co.) di cui si mangiano foglie e radici spellate. Ha un tipico sentore di nocciola ed è “delicatissima quanto difficile da fare”, come rammenta Giovanni Bompieri, “si semina tra agosto e settembre, si raccoglie da novembre a Pasqua” ma le variabili per il successo sono tante: “Quantità di semi, di acqua, di ombra… sono serviti anni per imparare a coltivare Raperonzolo. Per giunta è pigro, e se l’erba lo copre il contadino non lo vede”.

Torniamo al miele con Francesco De Simone di Fiorpolline, a Pozzolengo, “alveari posti in ambienti incontaminati, lungo i fiumi Mincio, lontano dalle coltivazioni intensive. Provvidenziale la fioritura del nocciolo che è il primo, a febbraio”, per cui il buonissimo miele con frutta secca sembra quasi rendergli omaggio. Si producono succhi estratti a vapore dalla frutta raccolta in azienda e così marmellate, mostarde e gelatine con fichi, ciliegie, amarene. E confettura di mele e pere con lo zafferano di Pozzolengo, altra eccellenza De.Co. di cui parliamo con Mauro Grazioli dell’azienda agricola Al Muràs. “Iniziammo nel 2001, subito in biologico, circa due ettari totali più uno necessario per la rotazione”. Già il buon Agostino Gallo, illustre agronomo del 1500, citava la presenza in loco del superbo fiore di zafferano redigendo il primo trattato agronomico della storia. Da Al Muràs la tostatura degli stimmi avviene sulle braci, “così da conservarne tutte le proprietà organolettiche”, e si commercializzano anche prodotti da forno, tre tipi di biscotti da grani antichi prodotti autonomamente oltre alla sfiziosa confettura di soli kiwi e zafferano biologici, senza addensanti né conservanti. “Siamo un piccolo cosmo di biodiversità, ci produciamo tutto ciò che serve”.

Salame, biscotti e tanta cultura

Se per i formaggi dovremmo spingerci più a nord, così da assaggiare il Bagòss tipico di Bagolino o la Formagella di Tremosine, restiamo nei confini comunali per incontrare Andrea Castrini del Centro carni Colli Storici, dove si produce il Salame di Pozzolengo De.Co. “Nacque per puro sostentamento a inizio ‘900, oggi abbiamo un disciplinare molto severo: le carni provengono esclusivamente da animali allevati sulle colline moreniche, seguiti anche nell’alimentazione”. Maiali che si utilizzano per intero, “in tutti i loro tagli anatomici, compresi i più nobili, mentre per la concia si usano pepe, chiodi di garofano, noce moscata e aglio in infusione di vino rosso locale”. Il clima del Garda, poi, è ideale per asciugatura e stagionatura e il salame che si ottiene ha poco grasso pur restando saporito, ed è intrigante il confronto col salametto al Lugana o con quello allo zafferano, sempre prodotti da Andrea. A pochi passi dal suo negozio si trova il panificio di Orlando Pasquali, il solo a produrre il biscotto di Pozzolengo De.Co. da farina di farro integrale macinata a pietra, con scorza di arancia, mentre a Lonato il salume della storicità è l’Òs de stòmec, con osso dello sterno del maiale marinato in una miscela di vino rosso e spezie e poi mischiato all’impasto di carne. E questa sarebbe soltanto una prima tappa del viaggio, senza dimenticare che siamo a pochi chilometri da Brescia, capitale della cultura italiana (assieme a Bergamo) per il 2023.

Arriga Alta, eremo di pace e rispetto

Siamo a Lonato, sulla collina più alta del basso Garda in località Arriga Alta, da qui il nome dell’agriturismo di Silvia e Roberto Biza che si presenta come un luogo senza tempo. “Torniamo al significato del fare vacanza in un’azienda agricola, il che è già un’esperienza particolare, con i suoi limiti e le sue bellezze”. Qua tutto è autentico, autoctono, biologico, i prodotti sono solo quelli che offre la campagna nella stagionalità, la verdura e la frutta, il miele come l’olio e il vino autoprodotti. “Grazie al passaparola abbiamo ampliato e fidelizzato una clientela perlopiù straniera, che capisce il valore del lavoro e lo rispetta, trovando qui una realtà accogliente come casa propria”. In nome di rapporti chiari, franchi, “molti ospiti non chiudono neppure la porta a chiave quando escono dalla camera”. Poi ci si trova a tavola con le torte fatte in casa per la colazione, le piramidi di zucchine cotte al forno “il pesto che si fa solo quando c’è il basilico”. Ad Arriga Alta si allevano anche pastori bergamaschi, “una selezione attitudinale, non estetica, per questo cane dalla morfologia lupoide che ha grande attenzione per l’uomo. Non aggressivo, è perfetto per la guardia e la difesa”, fedele alleato del “bergamino”, il mandriano transumante che ha scritto la storia della produzione lattiero casearia lombarda.

Cuochi, fuochi e magia

Nel centro di Desenzano il giovane cuoco Stefano Zanini guida MoS, avamposto di cucina contemporanea e spontanea, ancorata alle radici nella ricerca della materia prima, “importante quanto la tecnica” figlia di esperienze tra Parigi, Helsinki, Copenaghen, “con la curiosità per i metodi di conservazione della cultura nordeuropea”. Sono sempre presenti lo spaghetto ragout e bottarga e il friturin di lago con misticanza di erbe, ma il menu (già bellissimo come concezione grafica) varia nella stagionalità, così il divertimento di Stefano e del suo complice Mattia Moro raggiungono l’ospite senza troppi filtri.

A Colombare, laddove inizia la penisola di Sirmione, c’è l’Antica Contrada di Massimo Bocchio, figlio d’arte con zio pescatore. Da qui l’amore per il pesce di lago che valorizza in ogni declinazione, “fidelizzando le forniture e lavorando con cura la materia”. I bigoli sono fatti in casa, strepitosi con la sarda di lago, e così i cappellacci di luccio che ritroviamo mantecato con cialda di mais e rapa rossa, “passando per il coregone, la tinca, il guazzetto di pesce persico, interpretazione della vecchia zuppetta con le verdurine brasate”.

Non si perda una visita alla Fondazione Ugo da Como di Lonato, incantevole la Casa del Podestà sottostante la rocca, quindi per un pranzo rapido si può sostare da Il Cavoli di Luca e Ilaria Perotti, bottega ortofrutticola più bistrot con verdure fresche (e non solo) cucinate con amore, mentre a cena si può andare da Marino Damonti nella sua Trattoria La Rosa, da poco riconosciuta come Attività Storica della Regione Lombardia. Si mangia (magari il salmone affumicato in proprio) circondati da una maestosa collezione di grappe, la più grande al mondo, oltre 9.000 bottiglie che scrivono una storia d’Italia per etichette a partire dal 1883. Attenzione: oltre che ristoratore e collezionista, Danilo è un abile prestigiatore: assieme al dessert potrebbe servirvi anche una magia.

a cura di Emiliano Gucci

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