L'export siciliano secondo Wine Monitor e Ismea
Gli imprenditori vinicoli siciliani contestano i dati sull’export della regione. Infatti secondo le rilevazioni di Wine Monitor Nomisma e Ismea – entrambi basate su Istat - la Sicilia nel 2015 avrebbero esportato per un valore di 101.331 milioni (+ 3,2%) e per quantità 374.143 ettolitri (-1,5%). Nonostante l’incremento in valore, la regione, pur essendo tra le prime in termini di produzione (dopo Veneto, Emilia Romagna e Puglia) avrebbe una scarsa propensione all’export, cioè il rapporto tra quantità esportata/quantità prodotta, da non superare l’8% mentre il peso nell’ambito dell’export nazionale sarebbe appena del 2%, quando l’Italia, nel suo complesso, “negli ultimi cinque anni ha messo a segno una propensione all’export mediamente del 48%, superando in qualche occasione anche il 50%»” (Fonte: “Gli scambi con l’estero 2015 del 7/4/2016 Ismea). Ma la posizione di fondo classifica della Sicilia - 9ª posizione - risponde alla realtà dell’export siciliano?
La verità dei produttori siciliani
“I dati non sono attendibili - afferma Francesco Ferreri, presidente di Assovini Sicilia - Basti pensare che le nostre 79 aziende associate rappresentano un fatturato complessivo di oltre 300 milioni di euro, con una media export del 56%. Insomma solo le nostre cantine esportano per 168 milioni di euro ai quali si dovrebbe aggiungere il fatturato estero di tutte le altre aziende, private e cooperative, che non aderiscono alla nostra associazione”. Anche secondo Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia “Quella del presidente Assovini è una stima assolutamente prudenziale che tiene conto soprattutto dell’imbottigliato – la nostra denominazione nel 2015 ha raggiunto oltre 24 milioni di bottiglie una parte delle quali vanno anche all’estero- ed inoltre c’è anche lo sfuso. Probabilmente il dato più vicino alla realtà è quantomeno il doppio di quei 101.331 milioni”. Sulla stessa linea d’onda Alberto Tasca d’Almerita che parte dall’esperienza aziendale: “La nostra azienda è presente in 50 paesi esteri dove ricaviamo il 58% del nostro fatturato complessivo (17.3 mln). Si tratta di 1.8 milioni di bottiglie per un valore di oltre 10 mln che partono in buona parte dai porti di Livorno, La Spezia e Genova, almeno il 30% da Verona e il resto da Palermo”. Anche la Carlo Pellegrino, una delle grandi cantine siciliane, non associata Assovini, esporta vino per 6.800.000 euro, il 38 % del suo fatturato: “Noi spediamo i nostri vini da Palermo (35%) ma più che altro da Livorno (65%) un porto da cui è più facile raggiungere gli Usa o l’Oriente”. Il punto di vista di Salvatore Di Gaetano, titolare di Firriato (60% di export) va oltre e stima il dato complessivo siciliano molto di più: “Sono convinto che si dovrebbe aggirare sui 300 milioni di euro cioè tre volte il valore attualmente conteggiato”.
L'inghippo dei dati Istat
Il problema nasce perché le elaborazioni avvengono in base ai dati Istat che, a loro volta, si riferiscono ai dati doganali. In sostanza se un vino prodotto e confezionato in Sicilia viene sdoganato dal porto di Livorno oppure da Verona o da qualsiasi altra località del nord d’Italia, quel vino entra a far parte del computo dell’export della regione di sdoganamento. Quindi quei 101.331 milioni si riferirebbero, solo al valore delle partite di vino sdoganate nel porto di Palermo mentre tutte le altre, di fatto, contribuiscono ad impinguare il già ricco bottino dell’export in valore, o anche in quantità, delle prime in classifica come Veneto, Piemonte, Toscana, Trentino ed Emilia Romagna. Spiega il report Ismea: “Come si osserva sono assenti da questo elenco regioni che invece hanno un peso produttivo non indifferente come Puglia e Sicilia. Questi numeri evidenziano una netta differenza, ancora, tra Nord e Sud. A fare la differenza è sicuramente la presenza nelle principali regioni esportatrici di importanti gruppi industriali, cooperative e non, che esportano anche vino che viene prodotto in altre regioni”. Denis Pantini di Wine Monitor spiega che “I dati Istat su cui si basano le nostre rilevazioni fanno riferimento al luogo di sdoganamento ed è una modalità che vale per tutte le regioni”.
Un sistema che penalizza Sicilia e Puglia
Di fatto però si tratta di un sistema penalizzante per la Sicilia ma anche della Puglia che si trova nelle medesime condizioni. E visto che oggi esportare significa qualcosa che va molto al di là del semplice dato, è giusto trovare un rimedio a questa stortura. Infatti esportare è diventato un vero e proprio indice di competitività perché nei fatti suona come una sorta di giudizio sulla capacità, in questo caso del sistema Sicilia e dei suoi imprenditori, di affrontare le sfide del mercato globale. In questi ultimi anni c’è stata una crescita non solo nella qualità dei vini siciliani ma anche della strutturazione delle aziende che li producono. Essere eternamente relegati agli ultimi posti è un messaggio fuorviante – tra poco inizierà Sicilia en primeur 2016 con oltre 100 giornalisti ai quali si racconterà quanto sia dinamico il settore - e non è premiante non solo degli sforzi fatti, ma nemmeno della verità dei numeri. In quel 1.833 mld degli innegabili successi dell’export Veneto, non c’è solo Prosecco o Amarone, ma anche parecchio sicilianissimo Grillo e Nero d’Avola, semplicemente in partenza da lì. Il paradosso è evidente: stante questo sistema, più cresce l’export siciliano, più crescono le altre regioni dalla logistica più sviluppata. Quella 9ª posizione della Sicilia sta proprio stretta.
a cura di Andrea Gabbrielli
Sul prossimo numero del settimanale Tre Bicchieri torneremo sull'argomento con un ulteriore approfondimento e con le anticipazioni di Sicilia en Primeur 2016.