Una nuova ricerca condotta dal team guidato dalla dottoressa Wendy Parr della Lincoln University, in Nuova Zelanda, mette in risalto che, anche se il descrittore “mineralità” non è frutto della fantasia o della suggestione sensoriale degli assaggiatori, la fonte della sua percezione rimane ancora un mistero. Bisognerebbe pertanto utilizzarlo con cautela, specialmente durante un panel di assaggio professionale nel quale è prevista una valutazione delle qualità organolettiche del vino.
La mineralità, carta vincente del marketing
La scienza sensoriale definisce nessi importanti nella ricerca multidisciplinare del vino, servendo da congiunzione tra tutti quei fenomeni in stretta correlazione con il mondo della viticoltura, dell’enologia e delle strategie di marketing. Questo diventa tanto più evidente nel momento in cui le complesse caratteristiche di un vino vengono investigate mediante un approccio scientifico.
Tra le caratteristiche che si possono studiare, un posto di primo piano ce l'ha la mineralità, tra le percezioni più enigmatiche e sfuggenti da circoscrivere. Nonostante le sua indefinitezza, però, produttori e critici la citano con sempre maggior frequenza, collegando le percezioni minerali alla qualità del vino e utilizzando vaghi riferimenti a pietra bagnata, pietrisco, terra e via dicendo. Ma sino a ora non c'è unanimità nella definizione del profilo di questa caratteristica e quindi ancora non può essere fornita una rappresentazione reale di questo descrittore e tantomeno avere la certezza che esista davvero.
Storicamente la percezione di mineralità è stata associata al terreno, e dunque al territorio di origine del vino, motivo per cui il termine minerale si è trasformato in un efficace strumento di marketing. Grandi e piccole cantine continuano erroneamente a identificare come mineralità la percezione di “acidità silicea” conferita dai minerali che compongono il terreno dove il vigneto è impiantato.
La ricerca
Il geologo Alex Maltman, in una sua recente pubblicazione su The Journal of Wine Research, sostiene che non vi è alcuna prova di un legame diretto tra odore e sapore di un vino e composizione del terreno. Infatti i minerali nel vino sono elementi nutrienti – tipicamente cationi metallici - ben lontani dall’essere correlati alla geologia del vigneto, in cui i minerali sono invece complessi composti cristallini. I nutrienti minerali nel vino sono presenti normalmente in minuscole concentrazioni e comunque insufficienti a conferire sapori. La mancanza di conoscenze scientifiche accompagnata dalla pletora di prove aneddotiche intorno al concetto di mineralità, hanno suggerito alla dottoressa Wendy Parr un esperimento condotto insieme a Dominique Valentin e Dominique Peyron dell’Università della Borgogna, e a Claire Grose dell’Institute of Plant and Food Research della Nuova Zelanda. L'obiettivo era indagare sulla possibilità che le differenze culturali influenzassero la percezione della mineralità.
A tal scopo, alla ricerca, hanno partecipato due gruppi di professionisti del vino con certificata esperienza sia nella produzione sia nella degustazione, uno proveniente dalla Francia e il secondo dalla Nuova Zelanda. La prova di assaggio ha messo a confronto di 16 Sauvignon Blanc, assaggiati in due sessioni di degustazione alla cieca con bicchieri di vetro opaco.
Il vino è stato valutato in primis solo attraverso olfazione ortonasale, olfazione, gusto e stimolazione trigeminale (percezione globale), e poi solo con sensazione al palato non olfattivo (quindi gusto e texture ovvero sensazioni trigeminali). A tal proposito è recente la scoperta che il trigemino, il nervo che presidia l'intero tratto oro-faringeo e che trasporta moltissime informazioni riguardanti stimoli irritanti e tattili sia il vero responsabile della percezione del sapore del vino (sensibilità trigeminale) e questo secondo una recente scoperta di un gruppo di scienziati della Ruhr-Università Bochum (Germania), guidato da Hanns Hatt e pubblicata sulla rivista Chemical Senses.
I risultati dell'esperimento
La mineralità è stata percepita da entrambi i gruppi in tutte le fasi di assaggio ed è stata costantemente associata a specifiche caratteristiche del vino, come ad esempio quella relativa agli “agrumi”. Dal test, tra i gruppi, sono risultate più somiglianze che differenze nella percezione; questo mette in evidenza che i professionisti del vino in Francia e Nuova Zelanda condividono un costrutto mentale comune del concetto di mineralità, almeno in vini di cui hanno esperienza diretta, come il Sauvignon Blanc. "Il concetto di mineralità nel vino è indubbiamente reale" spiega la dottoressa Parr “ma la fonte della percezione è ancora poco chiara. È stata vagamente attribuita all’acidità, ai sentori di ridotto ed all’assenza di sapore percepito”.
Nuove ipotesi e conclusioni
Ma allora, cos’è quello che taluni avvertono in un vino come correlato alla descrizione di minerale? "Attraverso i dati attuali a nostra disposizione, si è potuto evincere che l'associazione di mineralità percepita ha a che fare con la mancanza di sapore percepito" risponde la Parr. "In assenza di altri sapori il vino sembra contenere quei tratti che riconducono al minerale".
Lo studio sensoriale non ha trovato inoltre nessuna prova di un collegamento tra acidità percepita, sotto forma di sapore aspro, e aumento della mineralità. I prossimi step di indagine sono diretti verso l'analisi dei vari aspetti della composizione chimica del vino, tra cui il rapporto di ioni quali calcio e composti associati, o la riduzione dei solfati, apparentemente coinvolti nella percezione di mineralità nei Sauvignon Blanc francesi e neozelandesi.
La relativa coesistenza di una risposta sensoriale assimilabile nei due diversi gruppi culturali supporta l’idea di una esperienza sensoriale precisa, che induce a sviluppare una rappresentazione mentale che i degustatori di vino etichettano con il termine minerale. Gli aspetti della composizione del vino serviranno come fonte di questo costrutto mentale condiviso e saranno riportati in un apposito registro che via via sarà aggiornato da ulteriori dati fisico chimici analizzati ed associati con i dati sensoriali dei 16 Sauvignon Blanc.
a cura di Alberto Grasso
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