Come cresce l’economia carceraria in Italia
Oggi il circuito dell’economia carceraria può contare su un numero sempre maggiore di progetti sviluppati nelle carceri italiane a sostegno del reinserimento sociale dei detenuti: attività manuali, per la maggior parte, dove il valore dell’avviamento professionale si carica di aspettative per un futuro fuori dal carcere che annienti il rischio di recidiva. E più nello specifico, i mestieri legati all’universo enogastronomico hanno il merito di stimolare la creatività e il lavoro corale, innescando un percorso che porta al recupero della dignità umana, ancor prima che professionale. Per questo non sono pochi i casi di laboratori gastronomici nati e cresciuti all’interno degli istituti penitenziari fino a ritagliarsi uno spazio sul mercato dei prodotti dolciari (l’esempio più celebre è quello della pasticceria Giotto del carcere di Padova) o tra le piccole imprese che trasformano le materie prime della terra, dalle conserve di pomodoro al ciclo caseario, di cui il laboratorio di produzione del formaggio nel braccio femminile del carcere romano di Rebibbia (sotto la guida di Vincenzo Mancino) costituisce un unicum. Ma il lavoro dei detenuti produce anche birra – ancora a Roma, si pensi alle etichette di Vale la Pena – caffè, vino, pane, conserve.
L’Orto delle Meraviglie alla Giudecca
Sull’isola della Giudecca, nella laguna veneziana, uno dei più longevi esempi di economia carceraria è quello sviluppato dall’associazione Rio Terà dei Pensieri con le detenute del carcere femminile, quasi tutte impegnate in un’attività di reinserimento professionale all’interno del complesso risalente al XII secolo, quando nacque come monastero circondato da orti e canali e oggi riservato alla detenzione delle donne, seppur destinato ad accoglierne non più di un centinaio. È questo il contesto che ha permesso lo sviluppo di una vera e propria rete di attività artigianali che trova il suo fulcro nel cosiddetto Orto delle Meraviglie, in grado di alimentare pure la produzione di un laboratorio di cosmetica a km zero. Seimila metri quadri in tutto, con serre in dotazione per le colture più delicate e un gran numero di specialità locali, dal radicchio di Treviso al carciofo violetto di Sant’Erasmo. E poi alberi da frutto, erbe officinali che evocano l’antica funzione del luogo, peperoncini: tra ortaggi, frutta, fiori edibili, erbe selvatiche ed aromatiche, sono circa 40 le referenze messe a dimora. Si produce per il fabbisogno del carcere, il surplus finisce sul circuito dei gruppi d’acquisto solidali o rifornisce ristoranti della zona; mentre le erbe officinali incentivano la produzione di detergenti e creme poi venduti agli alberghi locali.
L’evoluzione del progetto
Nato nel 1994, ormai quasi 25 anni fa, l’orto è stata la prima attività avviata dalla cooperativa all’interno del carcere, sulle tracce dell’antico orto del Convento delle Convertite. Si coltiva in regime biologico, e settimanalmente i prodotti di stagione imbandiscono il banchetto allestito nelle Fondamenta del Carcere – recentemente rimodernato grazie al progetto d’artista Daydreaming Inside-out - dove la vendita al pubblico è gestito dalle detenute. A gestire il lavoro c’è Vania Carlot, con lei collabora un numero variabile di donne avviate alla professione attraverso un corso di formazione. Ottenuta l’idoneità, le detenute impiegate nell’orto lavorano tutto il giorno, dal lunedì al venerdì, retribuite con i proventi delle vendite. Poco più di un anno fa, nella primavera 2017, i prodotti del carcere della Giudecca hanno conquistato una nuova vetrina tra le calli veneziane, all’emporio dei Frari ideato proprio per sostenere l’economia carceraria, secondo esempio in Italia – dopo il Freedhome di Torino – di negozio interamente dedicato alla vendita di prodotti made in jail.
La Festa dell’Orto
Poi c’è la festa che ogni anno prende vita all’interno del carcere della Giudecca, che per l’occasione apre le porte al pubblico e invita a mettere da parte pregiudizi e barriere sociali. Quest’anno la Festa dell’Orto andrà in scena sabato 29 settembre, dalle 9.30 alle 13, e sarà occasione per celebrare il primo anno di attività di Process Collettivo, come si chiama il negozio dei Frari ideato in collaborazione con l’artista Mark Bradford. Ma gli ospiti saranno accompagnati anche in un percorso di visita all’orto e al laboratorio di cosmetica (nato nel 2001), potranno acquistare i prodotti e ascoltare le storie delle detenute che li coltivano e lavorano su antiche ricette per realizzare cosmetici naturali di alta qualità. Tutto si concluderà con il buffet offerto dalla cooperativa Rio Terà dei Pensieri. Prima di varcare a ritroso l’ingresso del carcere, con la consapevolezza di aver scoperto uno degli orti segreti più speciali d’Italia.
a cura di Livia Montagnoli