I ravioli cinesi che hanno conquistato Roma
In via dei Vitelleschi, zona Prati, il dumpling bar estemporaneo di Gianni Catani ha chiuso i battenti da qualche giorno appena, dopo un'estate di fuoco. Eppure lui, che la cucina cinese ce l'ha nel sangue, da quasi 30 anni, è impaziente di ricominciare: “Sono 3 giorni che non lavoro, mi manca già”. Infatti la ripartenza non si farà attendere, tempo un mese e il nuovo dumpling bar – in forma molto più articolata e soddisfacente, per chi ci lavora e per chi deciderà di provarlo – ritornerà a servire quei ravioli cinesi che hanno conquistato i romani. Ben oltre le più rosee aspettative: “Abbiamo cominciato appoggiandoci in un locale non nostro, volevo concretizzare un progetto che maturavo da 15 anni. Ma la risposta della città è stata del tutto fuori misura. Praticamente ci ha costretto a chiudere, per non creare disservizi”. I numeri parlano chiaro: circa 120 persone ogni sera, con lunghe attese in strada per accaparrarsi una porzione di ravioli; 19mila dumpling prodotti e serviti in un mese.
La (vera) cucina cinese
Un premio per il coraggio di proporre ricette autentiche e sapori non filtrati da quella occidentalizzazione del gusto che è propria di molte cucine orientali a confronto con la richiesta europea: “Oltre trent'anni fa, con i primi ristoranti aperti nel nostro Paese, i cinesi hanno provato a far mangiare agli italiani la propria cucina. Non è piaciuta, e hanno scelto di italianizzarla. Sono bravissimi in questo: per ogni Paese identificano una caratteristica. Noi siamo stati classificati come mangiatori di fritto, e via con involtini primavera e riso alla cantonese. Loro invece sono attentissimi all’alimentazione, non mangiano fritto, fanno una cucina leggerissima, c’è dietro una filosofia zen”. Gianni l'ha sperimentato sulla sua pelle, da molti anni la sua passione totalizzante l'ha portato ad abbracciare l'alimentazione cinese in tutto e per tutto, anche quando mangia in casa. E i romani che nei mesi scorsi hanno provato con curiosità i suoi ravioli – 12 diversi ripieni, con 5 salse in abbinamento, nel rispetto di tradizioni regionali millenarie – sembrano avergli dato ragione: “Temevo di proporre ricette troppo invasive per il gusto italiano, invece molti sono affascinati dall'originalità. Ho avuto successo anche con l'aglio, le spezie piccanti”. Certo, i pregiudizi sono sempre dietro l'angolo: da diversi anni Gianni gestisce un portale, la Cina in Cucina, e si dedica alla valorizzazione delle cultura gastronomica cinese. Gli stereotipi cerca di combatterli ogni giorno: “Ancora mi chiedono di topi, cani... I soliti cliché”.
Gianni Catani. Una vita in cucina per amore della Cina
Lui, figlio di una cuoca, l'amore per la Cina l'ha scoperto presto, negli anni Ottanta. E ha fatto una scelta radicale: avrebbe proposto le ricette che l'avevano incantato, nel modo più genuino possibile. Facile a dirsi: “Ho cominciato con i video, ne guardavo moltissimi, cercavo di replicare i piatti. Il risultato? Dei pastoni immangiabili. Avevo bisogno di un maestro”. I primi anni, passati in un ristorante cinese, sono trascorsi all'insegna di pollo alle mandorle e gelato fritto, consapevole che quella non era la strada che stava cercando: “Poi, 9 anni fa, ho incontrato Jing, il mio guru. Lui mi ha voluto adottare, abbiamo ricominciato da capo”. Con rigore estremo, quasi fosse un'iniziazione la sua: “Sono stato 6 anni a guardare senza toccare, facevo i video, poi riproducevo. In Cina si comincia da bambini: li addestrano a maneggiare il wok, a 5 anni, per imparare il movimento giusto, che è molto difficile. Poi entrano in cucine per 1000 persone, all'inizio guardano. Si testa la loro tenacia: il mestiere sarà faticoso e devono essere pronti”. Questo, e molto altro, Gianni l'ha imparato da Jing Shan (chef di Kaiyue, a piazza Vittorio, e socio del dumpling bar in cantiere). Ma ha viaggiato molto in Cina, sulla via della Seta, nel deserto a nelle città del Nord, “quelle più interessanti per scoprire la cucina tradizionale”. Ma anche nelle grandi metropoli. A Pechino si è innamorato dell'anatra alla pechinese, quella autentica, “cotta in forni alimentati con legno di ciliegio, e servita in strada, semplicemente fatta a pezzi, 4 euro a porzione”. Molti dei video che ha girato li proietterà sugli schermi del nuovo locale, per raccontare un po' della sua Cina ai romani.
Il Dumpling Bar di piazza Meucci
Ma quindi, come sarà il dumpling bar che ha sempre sognato? Una cinquantina di coperti in sala, e un dehors su strada per trenta persone. La cucina non sarà grande, ma due ragazzi (il team, escluso Gianni, è tutto cinese) lavoreranno a vista, alla preparazione dei ravioli, fatti sul momento. Al locale di Piazza Meucci, quartiere Marconi, i lavori stanno terminando: intorno al 20 ottobre tutto dovrebbe essere pronto. Di dumpling bar in Italia non ce ne sono molti (“mi piacciono i ravioli di via Sarpi, ma il concetto è diverso dal mio progetto”), a Roma l'idea è piuttosto nuova. E Gianni pensa in grande: “Sarà un ristorante vero e proprio, con servizio al tavolo, ma anche molto attento al take away, con servizio a domicilio secondo esigenza: i ravioli li proponiamo freschi da cuocere a casa, già bolliti e da ripassare alla griglia, o pronti per essere mangiati”. Al tavolo, invece, si sceglie tra diverse proposte: ravioli, chiaramente, alla griglia o cotti al vapore, con farciture stagionali per tutti i gusti (e salse home made in abbinamento): “Tante verdure, com'è proprio della cucina cinese, poi due ripieni a base di uova, quello ai gamberi e bambù, le alternative con la carne, compresa la mia ricetta con l'agnello, che cerca di replicare l'incredibile raviolo con lo yak del monastero del Labrang”. E poi noodle alla piastra, in tre varianti, spaghetti e ravioli in brodo, dim sum - “la degustazione di piccole portate, ravioli e bocconi simili alle tapas, servite con il tè, che proporremo anche come aperitivo” - e qualche asso nella manica. Come lo Xiao long bao, un raviolo ripieno di brodo bollente, servito in cucchiaio.
I ravioli cinesi. E l'anatra
Del resto di ravioli ne esistono varianti infinite, per ognuna delle 8 regioni gastronomiche della Cina, “nonostante i cinesi non mangino abitualmente dumpling: per loro è un cibo propiziatorio, come le nostre lenticchie a Capodanno. In casa li preparano solo in occasioni speciali, in molti ristoranti non sono in menu, anche se esistono locali specializzati. Ma è l'arrivo in Occidente che li ha sdoganati, a Hong Kong oggi spopolano i dumpling bar”. Un'altra chicca sarà proprio l'anatra, cotta sul girarrosto secondo l'uso pechinese, “ne serviremo sei al giorno, divise a metà: solo 12 porzioni, a cena, a 7 euro l'una”. I prezzi si mantengono popolari su tutta la linea: 5 euro per una porzione piccola di noodle - “per provarne diversi” - 4 per una di ravioli, 5 pezzi a porzione. Alla ricette collabora Jing (“che ne conosce 700 a memoria!”), per la manualità Gianni si è affidato a uno specialista del genere, Simone è il suo nome italianizzato: “Prepara ravioli all'aeroporto, per gli equipaggi delle flotte aeree cinesi”. Da bere tè, con i suggerimenti di un'esperta che si è formata in Cina e lavora nel settore da 10 anni, e birre artigianali, anche cinesi, oltre al vino. Si aprirà a pranzo e cena, fino a tardi, nel pomeriggio per corsi di cucina e workshop. Sperando di scongiurare le file, “l'esperienza dev'essere comunque veloce, non a caso non serviamo dessert”. E con la voglia di far crescere il format, per arrivare anche all'estero. È solo l'inizio.
Dumpling Bar | Rom | piazza Meucci, 1 | dal 20 ottobre 2017
a cura di Livia Montagnoli
video di Saverio De Luca