30 candeline per il Kamut
Quando si parla di grani antichi e cereali alternativi il rischio è sempre lo stesso: confondere la realtà con aneddoti che si perdono nella notte dei tempi e storie leggendarie degne dei più celebri miti di fondazione. Ma quanto conosciamo davvero la storia dei cereali “buoni” (o presunti tali) che portiamo in tavola e quanto il loro fascino deriva da brillanti strategie di marketing? Il Kamut ci offre un esempio calzante per affrontare il tema. Cereale particolarmente apprezzato per imponderabili qualità organolettiche, quanti sanno che il Kamut è un marchio registrato?
Per essere precisi, proprio quest'anno la Kamut International festeggia il trentesimo anniversario del brand, ideato nel 1986 per contraddistinguere e commercializzare una specifica varietà di grano e garantirne la coltivazione biologica. Così mentre la sua carta d'identità recita Triticum turgidum ssp. Turanicum, il nome che ha reso famoso questo frumento originario del bacino Mediterraneo in tutto il mondo non può prescindere dal simbolo universalmente noto come marchio registrato: ®.
Dalla leggenda...
Ma per gli amanti delle leggende calate in scenari esotici, anche il kamut può vantarne una, come raccontava qualche anno fa Dario Bressanini nel best seller Le Bugie nel carrello. E gli elementi perché possa affascinare gli animi più ingenui ci sono tutti, come in ogni favola che si rispetti: narra la storia che subito dopo la seconda guerra mondiale un pilota militare americano ritrovasse una manciata di semi vecchi di quattromila anni in un'antica tomba egizia. Nel 1949 i semi avrebbero preso il volo alla volta del Montana, sottoposti alle cure amorevoli di un vecchio agricoltore americano; ne nacque una piccola produzione che il contadino portava in giro per le fiere dello stato. A identificare quei chicchi più grandi del normale un nome che ne raccontava le origini: grano del faraone Tut. Poi, per qualche anno, si perse traccia della nuova varietà, fino a quando, nel 1977, la famiglia Quinn recuperò i semi in uno scantinato del Montana avviando una produzione su larga scala.
… Al marketing
Il nome Kamut, però, arrivò solo nel 1986, frutto di una ricerca sul dizionario dei geroglifici egizi, dove accanto alla descrizione di grano e pane compariva il termine kamut, che solo il 3 aprile 1989 fu registrato da Bob Quinn, che contemporaneamente fondava la Kamut International. Esotismo e presunta antichità (richiamati dal disegno della piramide che spesso compare sulle confezioni) non fanno che rendere più accattivante il brand agli occhi dei consumatori, ma storia e biologia contraddicono la leggenda. Basti pensare che il frumento, in Egitto, si diffuse solo durante il periodo Tolemaico. Più probabile invece è l'origine anatolica del Triticum turgidum, anche detto grano orientale o Khorasan, proprio per richiamarne la provenienza dall'area mediorientale, al confine tra Turchia e Iran. Coltivato da tempi antichissimi, la sua prima volta nella letteratura scientifica risale però al 1921. Poi, probabilmente la sua coltivazione si diffuse anche in Egitto, e da lì qualche seme arrivò fino in Montana. Insomma, il Kamut che conosciamo oggi, come molti grani cosiddetti “antichi”, sarebbe frutto di una selezione moderna del grano orientale, parente stretto del grano duro.
Un successo planetario. L'intuizione di Bob Quinn
Quel che più ci interessa a livello di diffusione sul mercato è che dopo la registrazione del marchio (con tanto di certificato di protezione della specie) solo le aziende autorizzate possono acquistare e commercializzare il Kamut. E qui subentra la lungimirante strategia di marketing della Kamut International, che, come dicevamo, assicura il rispetto di un disciplinare rigoroso, ma d'altro canto controlla e regola il mercato a suo piacimento. Ne derivano un prezzo prestabilito così da garantire sicurezza e stabilità ai produttori e una coltivazione concentrata principalmente tra il Montana e il Canada. Nel frattempo l'apprezzamento per il kamut è esploso in tutto il mondo, e la Kamut International vende anche in Australia, Giappone ed Europa, vantando tra i principali acquirenti proprio l'Italia, che acquista la metà delle produzioni globali di Kamut con oltre 300 aziende licenziatarie e un centro di ricerca a Bologna (che è pure polo commerciale e di smistamento importante per la Kamut International), nonostante spesso arrivi in negozio a un prezzo 4 volte superiore rispetto ai prodotti realizzati con farine tradizionali.
Intanto la multinazionale, che non ama parlare di monopolio, continua a garantire elevati standard di produzione, a cominciare dal metodo di agricoltura certificata per arrivare ai parametri proteici (fra il 12 e il 18%), al quantitativo minimo di selenio e alla purezza del grano khorasan. E Bob Quinn è ormai universalmente noto come guru del Kamut. A marchio registrato. Prossimi obiettivi? Una partnership con Barilla, che a mister Quinn – pioniere del biologico col cappello da cow boy – piacerebbe molto.
a cura di Livia Montagnoli