Il Carnevale in Sardegna
L’etimologia stessa del nome, dal latino carnem levare (“eliminare la carne”), rende l’idea di quanto il cibo sia un aspetto fondamentale di questa festività: in passato, infatti, il Carnevale indicava il banchetto del Martedì grasso, ultimo giorno di abbondanza prima della Quaresima, periodo di digiuno e astinenza per le religioni cristiane. Il carattere goliardico e godereccio della festa affonda le sue radici in festività antiche come le Antesterie greche, celebrate in onore di Dioniso, e i Saturnali romani, dedicati a Saturno; durante queste celebrazioni, protagonisti principali erano lo scherzo, il ribaltamento dei ruoli e lo scioglimento delle gerarchie sociali. Oggi, la festa è ancora sinonimo di libertà, allegria e sregolatezza. In un periodo simile, la teatralità che sostanzia le tradizioni sarde, che siano di origine pagana o spiccatamente cristiane, tocca il suo apice: le piazze e le tavole dell’isola si trasformano, diventando colorate tele su cui dipingere e raccontare la catarsi del Carnevale, un momento in cui lasciarsi andare, non solo indossando maschere e interpretando personaggi di fantasia, ma anche concedendosi qualche peccato di gola. Ecco cosa assaggiare da Nord a Sud dell'isola.
Tempio Pausania: il rogo di Re Giorgio
Fra le feste più tipiche, quella di Tempio Pausania, nel cuore della Gallura, dove fin dal Settecento l'intera popolazione veniva chiamata a raccolta per una serie di banchetti pantagruelici che duravano talvolta anche due mesi, dall'Epifania al Martedì grasso, in concomitanza con il riposo della terra e la tregua dei contadini. Dal 2008 è l'Opificio del Carnevale, vecchio stabilimento per la lavorazione del sughero, a ospitare la realizzazione dei carri allegorici. Solo i migliori, selezionati da una giuria, potranno sfilare durante la kermesse carnevalesca, che si conclude ogni anno con il rituale rogo di Re Giorgio (in dialetto Gjolgiu), protagonista assoluto della festa, in passato portato in una sorta di processione funebre con tanto di canti. Giorgi è una maschera antica, di epoca pre-romana, che incarna lo spirito della terra che fruttifica, cui venivano dedicati dei sacrifici. Fra i modi di dire locali ancora esistenti, che fanno riferimento ad alcune figure dell'immaginario collettivo legate al Carnevale, il più calzante è l'espressione “pari n traicoggiu”, ovvero una persona zotica, rozza. Nel vocabolario Tempiese – Italiano di Leonardo Gana, infatti, il termine traicoggju indica una sintesi fra figure animalesche e demoniache, un personaggio che nell'immaginario collettivo rappresenta l'uomo selvatico. Che ben si sposa con lo spirito del Carnevale. Le celebrazioni terminano con i veglioni del Teatro del Carnevale, scandito da danze, coreografie, lotterie e tante prelibatezze dolci e salate.
Le specialità di Tempio Pausania
A cominciare dalle fave, in antichità considerate il cibo dei morti, con il lardo, le costine salate, il finocchio selvatico, le salsicce e i cavoli. E poi li pidichini, gelatina ottenuta con piedi e orecchie di maiale e preparata sia nella variante dolce che salata, e i frisgioli longhi, delle frittelle lunghe, morbide e dorate a base di farina, acqua, uova, lievito, scorza di agrumi e, in alcuni casi, acquavite. Le origini di questa ricetta sono tanto antiche quanto sconosciute e, come sempre in questi casi, avvolte nel mistero. Nel tempo, sono nate diverse varianti, spesso disponibili anche in altri momenti dell'anno. Non mancano, infine, le preparazioni tradizionali del luogo, dai fruttini ai dolci di mandorle, dagli amaretti alla formaggella.
Oristano: la Sartiglia e la figura di Su Componidori
Al centro della Sardegna, è nella provincia di Oristano che prendono vita i festeggiamenti più caratteristici. È una zona dell'isola poco mondana, un territorio punteggiato di piccoli paesi di pastori dalle origini antiche, insediamenti secolari affacciati sul golfo che in epoca preromana accolse i Fenici, e ha tradizioni autentiche molto distanti dal folclore che si respira nei centri nevralgici del turismo regionale, con distese di spiagge protette da dune imponenti spazzate dal maestrale, poco affollate e a tratti selvagge. A Oristano, è la tradizione della Sartiglia a richiamare visitatori da tutto il mondo: un evento equestre che si ripete ormai da oltre cinquecento anni nel sagrato della Cattedrale di Santa Maria Assunta, l'ultima domenica di Carnevale e il martedì successivo.
Tutti i partecipanti, vestiti con il tradizionale costume sardo-spagnolo, devono cimentarsi in una corsa a cavallo con tanto di spada con cui infilzare delle stelle di latta appese a un filo. A fare la parte del leone durante la Sartiglia, Su Componidori, figura emblematica simbolo della festa oristana, vestita con il costume della tradizione e una maschera in legno inespressiva. La vestizione del personaggio, uno dei rituali più attesi, comincia a mezzogiorno, ed è seguita dal corteo della comunità che porta Su Componidori alla Cattedrale. È lui a dare il via ai festeggiamenti con la sua corsa a cavallo: se riesce a infilzare la stella, l'anno sarà prospero e felice per tutta la città. Un rilievo particolare, per il Carnevale, lo hanno il Gremio dei Contadini e il Gremio dei Falegnami, sorta di corporazioni artigiane che derivano da una tradizione spagnola del Settecento secondo la quale tutte le persone che svolgevano lo stesso mestiere venivano riunite in gruppi, i Gremi appunto, termine che deriva dall'espressione “in grembo” che indica il mettersi sotto la protezione di qualcuno. Furono i due Gremi a organizzare i primi giochi equestri del Carnevale: i falegnami pensavano ad amministrare le spese, che potevano essere sostenute grazie ai soldi ricavati dalla vendita dei prodotti coltivati dai contadini.
Le specialità di Oristano
In tutte le vie del centro di Oristano, dove si svolge lo spettacolo, e nelle piazze principali, si trovano gli stand gastronomici. Protagoniste qui sono le zeppole fritte, originarie di Cagliari, ma ci sono anche le chiacchiere, e poi tutti i dolci tipici della zona, a cominciare dai celebri mustazzolos, versione locale dei mostaccioli, biscotti diffusi con le dovute varianti in tutto il centro-sud Italia, in particolare in Campania, Puglia, Molise, Umbria e Abruzzo. Ciò che differenzia l'interpretazione sarda è la tecnica di preparazione, e in particolare nella fase di lievitazione, che una volta durava ben due settimane, mentre oggi si riduce a “soli” due giorni. Gli ingredienti sono farina, zucchero, lievito, cannella e scorza di limone, mentre per la glassa servono zucchero, acqua e maraschino, oppure acqua di fiori d’arancio, se si preferisce un gusto più delicato.
Mamoiada: Mamuthones e Issohadores
Ancora al centro dell'isola, ma nella zona più a ovest della provincia di Nuoro, c'è uno degli appuntamenti più famosi e folcoristici: la festa del Carnevale di Mamoiada. Una tradizione che ha origini antichissime, secondo alcuni storici risale all'età dei nuraghi, un periodo che va dal 1800 a.C. al II secolo a.C. Nata in origine come rito propiziatorio per proteggersi dagli spiriti del male e ottenere un buon raccolto, la festa conserva ancora oggi il proprio carattere esoterico e misterioso. E lo si percepisce già dalle figure tipiche: i Mamuthones - maschera nera, pellicce scure e campanacci - presenti nelle vie del paese già da metà gennaio, e gli Issohadores - maschera bianca e corpetto rosso, scialle (in dialetto, s'issalletto), pantaloni bianchi (carzas), e berritta, il tipico copricapo nero - il loro compito è di scortare i Mamuthones e catturare con le funi le ragazze della città, come auspicio di fertilità. A questi personaggi, si aggiunge poi la maschera del Juvanne Martis Sero, un fantoccio di cartapesta posto al centro di un carretto trainato da un asino.
Le specialità di Mamoiada
Zuppa di fave, zeppole fritte e tanto vino rosso: anche a Mamoiada non mancano specialità dolci e salate in grado di conquistare il palato di grandi e piccini. A fare la parte del leone è la faddada, una ricetta di origini remote già in voga nell'Antica Roma e particolarmente diffusa nella zona di Sassari e nel nuorese. La prima testimonianza scritta di questa sorta di minestrone di fave, cavoli e finocchietto selvatico è quella di Apicio, che descrive un piatto a base di fave, uova, miele, pepe, erbe e salse. Coltivata in tutta la Sardegna, la fava è da sempre simbolo di buon augurio, tanto da essere, in passato, la protagonista delle feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura.
Cagliari: la ratantira
Il ritmo incalzante e cadenzato dei tamburi che riecheggia per le vie della città, suono ancestrale e profondo che detta tempi e battute dei festeggiamenti segna il Carnevali Casteddaiu, la celebrazione tipica di Cagliari, una quattro giorni di carri e sfilate accompagnate dal suono inconfondibile della ratantira, il rumore dei tamburi e delle grancasse tipico della festa. Luccente e ventosa, dalla storia antichissima, la città ha accolto culture e popoli diversi che, passando di qui seguendo rotte commerciali e militari, si fermavano sedotti dalla bellezza della natura: il capoluogo sardo è una destinazione splendida in qualsiasi periodo dell'anno, ma per un giro in città fuori stagione, non c'è periodo migliore del Carnevale, con le sue maschere tradizionali e i dolci golosi. Si comincia con le figure più celebri: Sa Panettèra (la panettiera), Is Tiàulus (diavoletti maligni), Su Caddemis (il mendicante), Sa Fiùda (la vedova), Su Sabattèri (il ciabattino), Sa Dida (la balia). Solo una, però, è destinata al rogo di rito: Cancioffali, simbolo della burla e della gola.
Le specialità di Cagliari
Soffici, dolci, scioglievoli, da mangiare calde, appena fritte: sono le zeppole (zippulas otzìpulas) le regine del Carnevale cagliaritano, morbide ciambelle a base di farina, uova, latte, patate lesse e un pizzico di zafferano. Spesso aromatizzate con scorza d'arancia efil‘e ferru, tipica acquavite sarda, queste prelibatezze dolci sono fra i più popolari street food della festa, molto diffuse anche in altre zone. La preparazione affonda ancora una volta le radici nella Roma antica, quando, in occasione delle feste Liberalia in onore di Liber Pater e della consorte Libera, il 17 marzo ci si abbandonava ai piaceri del vino, solitamente addizionato di miele e spezie, accompagnato a frittelle di frumento cotte nello strutto bollente. Il nome deriva proprio dal termine tardo latino zippula, che indicava un dolce a base di pastella e miele. Ancora un inno all'abbondanza: un'altra specialità tipica è la frittura araba, a base di farina, zucchero, uova, scorza di limone, un impasto allungato e piegato a spirale, fritto e ricoperto di zucchero. E poi ci sono le siringate, zeppoline tonde ripiene di golosa crema pasticcera.
a cura di Michela Becchi