Un diario di viaggio in sei puntate, in cui Laura Ravaioli, uno dei volti più noti di Gambero Rosso Channel, racconta Israele attraverso i suoi territori, le sue tradizioni e i popoli incontrati durante il cammino da Gerusalemme verso Tel Aviv. Un format, in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel alle ore 21:30, che non poteva esimersi dal mostrare la cultura gastronomica israeliana attraverso ricette realizzate a quattro mani da Laura Ravaioli con chef e cuochi di casa, simbolo di una cucina domestica e profondamente radicata nella storia delle persone. Come racconta la stessa chef nei suoi appunti di viaggio. Durante questa puntata siamo a Gedera, dove vive una comunità di “ebrei neri” o meglio falasciàche, secondo alcuni storici, deriverebbero dalla fusione tra le popolazioni autoctone africane e gli ebrei fuggiti dal proprio paese in Egitto, ai tempi della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. o in successive ondate della diaspora ebraica.
Laura Ravaioli alla scoperta dei falascià, gli ebrei neri d’Etiopia
Durante le riprese, in attesa di entrare in cucina per conoscere il cibo etiope, ho fatto una passeggiata per il quartiere dove vive una comunità di ebrei che potrei definire speciale. Mi accompagna un giovane ragazzo, Shahar,che mi spiega chi sono, da dove vengono e come sono giunti, dopo drammatiche vicende, qui in Israele. La loro origine si confonde tra storia e leggenda:forse sono i discendenti del figlio nato dalla regina di Saba e re Salomone, oppureebrei yemeniti catturati durante varie spedizioni da parte del potente Regno etiopico di Aksum. Potrebbero essere ciò che rimane di una delle tribù perdute di Israele, la tribù di Dan, o ancora la discendenza di un’antica comunità ebraica egiziana che sarebbe poi migrata nella regione nord orientale etiopica (il Gondar) e quella del Tigré,altopiani a nord del Lago Tana. Ed è qui, in questi luoghi, che gli ebrei neri si stabiliscono e prendono l’appellativo difalasciào falasha,con accezione negativa di “esiliato”, “straniero”.Proprio per questo motivo molti di loro preferiscono essere chiamati con il termine di Beta Israel, cioè “appartenenti alla Casa Israele”. La prima testimonianza storica sulla loro esistenza è quella di un italiano, il ferrarese Rabbì Eliahu che, trasferitosi in Palestina nel 1425, racconta di un ebreo nero giunto a Gerusalemme dall'Etiopia. Ma è soltanto tra l’800 e il primo ‘900 che vari studiosi si interessano a questa comunità. Comunque, a prescindere dalla loro origine,la vita della comunità degli ebrei d’Etiopia si è svolta per secolie secoli in un sostanziale isolamento, separati dal resto del mondo ebraico e praticando un giudaismo originario basato esclusivamente sulla Torah.
La storia e il salvataggio dei falascià
Tutto questo fino alla metà degli anni '70, quando la situazione politica della regione cambia: l'imperatore Hailè Selassiè viene deposto e il colonnello Menghgistù va al potere, iniziando una violenta persecuzione contro chiunque considerasse suoi avversari, compresi gli ebrei neri. Ai conflitti interni si vanno ad aggiungere quelli esterni, con Somalia ed Eritrea, e due gravissime carestie, una sul finire degli anni ’70 e l'altra tra il 1983 e il 1985. Le vittime furono decine di migliaia. È in questo periodo che molti ebrei falasciàdecidono di abbandonare l'Etiopia mettendosi in cammino verso il Sudan. Una lunga marcia a piedi durante la quale migliaia di loro falcidiati dalla fatica, dalla fame e dalle malattie, muoiono. Un cammino senza lieto fine: una volta giunti in Sudan, gli ebrei etiopi si sono trovati di fronte a un governo musulmano ostile. Talmente ostile, che le loro condizioni di vita disumane portarono alla decisione dello Stato Ebraico di salvarli organizzando il loro trasporto in Israele. Nacquero così le Operazioni Mosè e Giosuè, cui seguì, qualche anno dopo l’Operazione Salomone. Complessivamente si stima che vennero trasferiti in Israele circa 90.000 ebrei, ovviamente non senza difficoltà e ostacoli. Ma finalmente l'odissea dei falasciàfinì. A loro dedico questo mio appunto di viaggio. E grazie a loro vi racconto la ricetta delle injera, il pane piatto etiope preparato con il teff, che ancora oggi si prepara come migliaia di anni fa.
Injera,il pane dell’Etiopia
Più che un pane, assomiglia a una larga crespella morbida umida e porosa, che si serve con tutta una serie di spezzatini, intingoli di verdure o salse molto piccanti. Solitamente, vari strati di injeravengono posti sul fondo di una vassoio o piatto di portata o come si fa tradizionalmente sopra i mesob, cioè speciali supporti di paglia colorati, decorati finemente e intrecciati. La tradizione vuole che i pezzi di injeraservano a raccogliere il cibo, ovviamente con le mani.
Ingredienti
500 kg di farina di teff (cereale privo di glutine originario dell’Etiopia e dell’Eritrea)
oppure
Una miscela di farine composta da:
250 g di farina 00 o mista integrale
250 g di farina di mais macinata fine o farro o grano saraceno
125 g di semola di grano duro
450 g di acqua di acqua appena tiepida
12 g di lievito di birra
225 g di acqua bollente
2 cucchiaini di bicarbonato
In una ciotola piuttosto capiente sciogliere il lievito con l'acqua appena tiepida, e a poco a poco aggiungere la farina a pioggia mescolando bene con una frusta fino a ottenere una pastella, cremosa e senza grumi. Coprire il contenitore con una pellicola e lasciarlo riposare a temperatura ambiente almeno 2 giorni, l’ideale è 3: l’impasto deve lievitare e al tempo stesso “inacidire”. Una volta pronto mescolare con la frusta, aggiungere il bicarbonato e circa 225 ml di acqua bollente, continuare a mescolare molto bene il tutto fino a ottenere una pastella piuttosto fluida. Coprire la pastella con la pellicola e lasciare riposare per circa un’ora.
Passata l'ora, scaldare bene una padella da crepes antiaderente dal fondo piuttosto spesso o la tradizionale piastra mitad, e intanto per comodità versare parte del composto in un misuratore per liquidi con il beccuccio. Versare a filo uno strato sottile di pastella sulla padella bollente iniziando dall’esterno verso l’interno. Lasciare cuocere senza mai girare. Mano a mano che cuoce tenderà a cambiare divenendo più scura e la superficie si riempirà di bollicine che conferiranno a questo pane una consistenza morbida e porosa. A questo punto rimuovere dalla piastra la injera, ormai pronta, facendola scivolare su di un vassoio rotondo fatto con fibre intrecciate: questo impedisce che si attacchi sul fondo del supporto. Disporre leinjerauna sopra all’altra per evitare che si asciughino.
a cura di Laura Ravaioli
Questi e altri piatti della tradizione ebraica, Laura Ravaioli ce li racconta in Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele. In onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel alle ore 21:30, a partire dal 18 luglio 2017
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