La scoperta del plancton
Gli appassionati gastronomi lo chiamano El chef del Mar, e non è difficile intuirne il motivo. Angel León, classe 1977, ha fatto della sua cucina a base di mare e pesci (quelli poveri e molto spesso sconosciuti) il suo marchio di fabbrica. Dopo le esperienze alla Taberna del Alabardero di Siviglia, Le Chapon Fin in Francia, la Casa del Templedi Toledo, lo chef apre il suo primo ristorantea Puerto de Santamaría, Aponiente, che trasferisce poi, alla fine del 2015, a Molino de Mareas, davanti all'oceano da cui prende ispirazione e materia prima, con un approccio sorprendente e radicale che espande il significato di cucina di mare, così come viene abitualmente (e universalmente) inteso. Una cucina ittica giocata sui toni iodati, quella di Angel, uno chef così immerso nel suo lavoro che da anni continua a ricercare e sperimentare con i vari ingredienti.
È a lui che si deve lo studio e l'impiego gastronomico del plancton, elemento alla base dell'intera catena alimentare degli esseri marini. Si tratta, più specificatamente, del fitoplancton, una specie di plancton vegetale adatto all'alimentazione umana. In cucina, può essere utilizzato in vari modi, sotto forma di polvere oppure, come più spesso accade, reidratato e utilizzato come salsa. Il plancton è ora approdato anche in Italia e sta iniziando a destare l'attenzione degli chef più curiosi. A rifornire i ristoranti italiani, al momento, Longino & Cardenal, da tempo promotore di questo ingrediente così particolare, e High Quality Food. Ma procediamo con ordine.
Definizione
Cosa è e quale è, esattamente, il plancton che si impiega in cucina? “Sono oltre 60mila le specie conosciute, alcune delle quali velenose e non commestibili. Ci sono voluti circa 6 anni di ricerca scientifica, iniziati nel 2008, per riuscire a individuare e separare ogni specie presente nel mare, e alla fine si è arrivati a definire un'unica tipologia edibile, quella vegetale”, spiega Alberto Palomar, chef econsulente gastronomico di Fitoplancton Marino S.L., leader mondiale nelle colture di microalghe marine. Si tratta di un organismo unicellulare che si riproduce attraverso la fotosintesi e che rappresenta “l'elemento primario dell'alimentazione di tutti gli organismi viventi nel mare”. Qualcosa che è parte integrante del mare: impossibili da pescare, le particelle di plancton vengono isolate dall'acqua di mare e immerse in acqua pura dove vengono riprodotte le condizioni ottimali per la fotosintesi dell'organismo. In questo modo, “il plancton viene 'coltivato' e può essere riprodotto più volte dai ricercatori a partire da una singola particella, evitando così di andare a danneggiare in alcun modo i nostri fondali marini”, specifica Lorenzo Uleri di Longino & Cardenal. Nessun danno a livello ambientale, dunque, “perché tutto avviene negli stabilimenti di acquacoltura”.
A realizzare questo progetto è stato il centro di ricerca spagnolo Fitoplancton Marino S.L., che è riuscito a ricreare il fitoplancton all’interno del suo stabilimento di acquacoltura di El Puerto de Santa Maria, a Cadice, riproducendo le condizioni dell’ambiente marino della tenuta Veta la Palma, un paradiso di biosostenibilità situato nel cuore del Parco Naturale di Doñana in Andalusia. A partire dal 1 marzo 2014, l'azienda è inoltre riuscita a far inserire questo ingrediente nella lista dei cosiddetti novel food, ovvero tutti quegli alimenti, ingredienti e tecniche di produzione alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo significativo e che sono disciplinati dalla vecchia legislazione alimentare comunitaria con il Regolamento (CE) 258/97 (soggetto a modifiche a partire dal 1 gennaio 2018, come vi avevamo già anticipato qui). La zona di raccolta scelta per il plancton è il parco naturale Veta La Palma, che occupa una parte dell'Isla Mayor sul Guadalquivir.
Proprietà nutraceutiche e funzioni del plancton
Ricco di minerali essenziali come ferro, calcio, fosforo, iodio, magnesio, potassio, acidi grassi omega 3 e 6, vitamina C ed E, il plancton è garantito da tutte le certificazioni sanitarie dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, European Food Safety Authority). Un elemento utile per il nostro organismo, dunque, ma non solo: il plancton marino è infatti un elemento fondamentale per la terra, in quanto riesce a produrre circa il 50% dell'ossigeno del nostro pianeta attraverso la sua azione di fotosintesi.
Il plancton in cucina: Longino & Cardenal
La ricerca portata avanti da Fitoplancton Marino S.L. è stata condotta insieme a chef León, che fin dall'inizio ha creduto nel potenziale di questo ingrediente come materia prima da impiegare nelle ricette. A distribuire il plancton in Italia, oggi, in forma di polvere liofilizzata, ci pensano le aziende Longino & Cardenal e High Quality Food. “La nostra filosofia si basa sulla scoperta del nuovo”, spiega Lorenzo Uleri, “per questo andiamo sempre alla ricerca di prodotti pregiati”. L'ultima scoperta è proprio il plancton, che l'azienda acquista direttamente da Veta La Palma, attualmente unico centro di produzione del plancton marino. “Fondamentale è stato il contributo dello chef León, che è riuscito perfettamente a sintetizzare l'essenza del plancton nei suoi piatti”. Ma qual è il valore aggiunto di questo ingrediente? “Quando si assaggia il prodotto si percepisce tutta la storia millenaria del plancton. Noi stessi deriviamo da questo elemento, è parte della nostra identità, e assaporarlo è un'esperienza unica”.
Al momento, sono circa un centinaio gli chef della Penisola che lo hanno inserito nel loro menu, nomi come Cristina Bowerman, Francesco Apreda, Anthony Genovese, Carlo Cracco, Antonio Guida, tanto per citare i più famosi. “Una volta provato, difficilmente lo si può ignorare. È un concentrato di mare allo stato puro che riesce a valorizzare i piatti al massimo” continua Uleri. Ma per isolare questi microrganismi dal mare, il processo è lungo e impegnativo e richiede un grande lavoro di ricerca, e il prezzo è conseguentemente molto elevato: “Siamo sui 4/5mila euro al chilo. Sembra una cifra spropositata, ma è anche vero che se ne utilizza una quantità minima in cucina”. Si parla di pochi grammi per piatto, poiché il gusto del prodotto è molto concentrato. L'obiettivo? “Arrivare a un punto in cui la presenza del plancton nel menu di un ristorante non verrà più vista come una scelta bizzarra. Vorrei che questo prodotto fosse considerato parte integrante della nostra cucina, proprio come tanti altri”.
Gli utilizzi in cucina
Venduto sotto forma di prodotto liofilizzato, il plancton viene quasi sempre reidratato prima di essere utilizzato. “Il barattolo di polvere può durare fino a tre anni, mentre il tempo di conservazione del prodotto bagnato è molto più breve, circa 24 ore”, spiega Alberto Palomar. Per idratare il plancton si utilizza quasi sempre l'acqua, “ma si possono fare degli esperimenti anche con dei brodi particolari”. Vietato cercare di idratarlo con l'olio: il plancton non è liposolubile, per questo i grassi, vegetali o animali, non sono adatti per la sua trasformazione. Una volta bagnato, può poi essere mescolato all'olio per creare una vinaigrette o altre salse. Altre accortezze da avere ai fornelli? “Mai farlo bollire. L'ebollizione uccide ogni aroma, profumo e gusto del prodotto”. Una volta reidratato, il plancton può essere utile nella preparazione di salse, creme, pesti, “possibilmente senza formaggio”, risotti, pasta, ma anche il prodotto liofilizzato ha una sua funzione, “molto interessanti gli esperimenti con pane e pasta fresca a base di polvere di plancton mescolata alle farine”. Per bagnare la polvere, Alberto consiglia di unire una parte di plancton con 5/6 parti di acqua, “e un pizzico di sale, se necessario alla ricetta. Ma non bisogna mai dimenticare che il plancton è già di per sé un prodotto molto saporito”.
L'esperienza degli chef
Cosa ne pensano gli chef che lo hanno provato? “Fino a tre settimane fa lo utilizzavo per un primo piatto”, spiega Cristina Bowerman, “uno spaghetto con crostacei, limone, zenzero e plancton”. A intrigare la chef, il gusto umami del prodotto, “proprio quello che spesso ricerco nel parmigiano o nelle alghe, e che nel plancton trovo in maniera molto più concentrata”. E poi il colore, “brillante, dona lucentezza a tutto il piatto”. Cristina lo ha usato con il pesce, abbinamento classico, ma non esclude la possibilità di coniugarlo a della carne o altri ingredienti: “In fin dei conti lo si può usare un po' come le nostre alici, che spesso inseriamo anche in piatti non di mare”.
Una altro chef della Capitale che ha molto apprezzato questo ingrediente è Francesco Apreda dell'Imago dell'Hotel Hassler, che lo ha inserito nel suo menu degustazione Mediterraneo come prima portata: “Si tratta di un percorso sensoriale tutto giocato sulle alghe, le spezie e le note vegetali. Il plancton è perfetto per questo tipo di esperienza gastronomica, per cui ho deciso di utilizzarlo all'interno del Minestrone di Stagione all'Essenza di Mare”. Un piatto a base di verdure e crema di plancton, “che faccio sciogliere nel brodo caldo, preparato con verdure cotte in acqua di mare”. Un prodotto che rimarrà, senza dubbio, per molto tempo nella carta dell'Imago: “Ho intenzione di dedicarmi sempre di più all'utilizzo delle alghe, anche in sostituzione del sale. Il plancton si abbina perfettamente a questa filosofia di cucina”.
Al Nord Italia, invece, è Antonio Guida del ristorante Seta del Mandarin Oriental di Milano a valorizzare questo ingrediente. “Sono rimasto incantato dal profumo del plancton, unico nel suo genere. Ho deciso di usarlo come esaltatore di sapori”. Per esempio, abbinato a una coda di rospo con salsa alla curcuma e frutti di mare – cannolicchi, tartufi di mare, telline – oppure utilizzato come crumble per finire le ricette, “il plancton consente di giocare molto con le consistenze, e si presta sia per l'utilizzo in cottura che a crudo”. Lo conferma anche Marco Ambrosino, chef de Il 28 posti di Milano, che apprezza molto il prodotto perché “è in grado di amplificare il sapore del mare”. Ma non per questo deve essere limitato ai piatti di pesce: “Attualmente mi piace unirlo all'agnello accompagnato da una salsa di ostrica e cavolo di mare, per ricreare l'ambiente delle scogliere del Nord Europa dove vengono allevati gli animali”.
Il novel food ha conquistato anche i palati più giovani. Valerio Braschi, vincitore di Masterchef Italia, si è trovato a dover fare i conti con questo ingrediente sconosciuto proprio durante le registrazioni del programma: “Non lo avevo mai assaggiato prima della prova, e me ne sono innamorato immediatamente. La prima volta l'ho utilizzato nell'impasto degli gnocchi, ma finita la puntata ho cominciato a ricercare di più sull'argomento e ho scoperto che esistono tanti modi per impiegarlo in cucina”. Il suo preferito è la spuma, “a cui sono molto legato perché mi ricorda l'esperienza di Masterchef”, che il giovane chef ha abbinato in diversi modi: “Uno dei piatti più apprezzati è stato quello con la spuma al plancton, sashimi di capesante affumicate a caldo con cerfoglio e mirto e fave di cacao”. La caratteristica più affascinante del plancton? “In un cucchiaino si può racchiudere tutto il sapore del mare”. Ma non per questo bisogna limitarsi ai piatti di pesce: “Secondo me si potrebbe provare con l'anatra, che è una carne dal sapore dolce e ferroso che con il gusto umami e iodato del plancton potrebbe sposarsi bene”.
a cura di Michela Becchi