Che Acuto non sia su una delle strade più facili da raggiungere lo sapevamo e ormai davamo per assodato che Le Colline Ciociare di Salvatore Tassa non potranno mai essere un luogo pieno di gente con file di auto parcheggiate davanti. Questo lo sa anche il cuoco e con lui il suo staff. Ma che sia lo stesso cuoco a rendersi ancora più difficile la vita, questo è davvero il massimo. Anche se – stando a sentire Salvatore – lui la vita non se la complica… se la riempie di senso!
Ecco, a distanza di pochi mesi dal rodaggio del suo nuovo menu dedicato all’esperienza di Expo 2015 che ha portato il cuciniere ciociaro (così si autodefinisce sorridendo) a una riflessione profonda sui tempi della sostenibilità e dell’alimentazione del futuro, ecco che Tassa si cambia di nuovo le carte in tavole e si getta a capofitto in un nuovo tipo e modello di cucina.
Stagista di lusso a Parigi
“Sto scoprendo le crioestrazioni, le concentrazioni di aromi e sapori attraverso il freddo” spiega “È un modello nuovo, inedito. È un continuo andare verso l’essenziale, un percorso molto complicato e complesso per arrivare alla semplicità dell’ingrediente allo stato puro”. Una semplicità a volte anche spiazzante. Siamo andati a incontrare Salvatore ad Acuto: è tornato da poco dal suo “stage di lusso” (è sempre sua la definizione) da Yannick Alléno al Ledoyen di Parigi (Tre Stelle e un grande lavoro proprio sulle fermentazioni e sulle crioestrazioni) e ha deciso di cambiare di nuovo il suo approccio e il suo rapporto con calore, fiamme e tecniche. E anche con gli ingredienti, dando uno spessore maggiore al suo essere “di territorio, ma completamente sganciato da ogni tradizione o ricetta del passato: le conosco, le ho dentro, ma vado avanti. E offro del territorio un punto di vista che finora nessuno ha mai pensato né tanto meno tentato”.
Da Alléno, Salvatore è stato un paio di settimane. Ha fatto lo stagista, (“per davvero!” dice) e ha vissuto intensamente al fianco della brigata parigina cercando di capire. “La prima cosa che ho capito è la differenza che facciamo nell’uso di queste estrazioni naturali” spiega “loro usano i succhi per una cucina alla francese, mischiando e creando salse legate anche con grassi. Io invece intendo e utilizzo le crioestrazioni come ingredienti puri e ne voglio esaltare le qualità sia organolettiche che salutistiche…”Inoltre, mentre al Ledoyen si estrae con l’estrattore, ad Acuto si estrae congelando e poi facendo filtrare le sostanze essenziali attraverso una superbag a 150 micron: “La differenza? Un succo più puro e carico di elementi e, paradossalmente, in quantità maggiore”.
I suoi primi 60 anni
“Dopo lungo pensare e riflettere su cosa avrei potuto fare per i prossimi anni, ora che ne ho 60, ho deciso: nei prossimi 10 anni devo produrre il meglio di me, la summa di ciò che ho fatto nei passati 6 decenni”. Per spiegarsi, cerca dallo schermo dello smartphone uno degli ultimi post fatti al ritorno dalla Francia: “Mi reputo nella mia cucina un agitatore di idee e un provocatore di pensiero. Pretendo dai miei cuochi il massimo impegno per soddisfare il mio egoismo della creazione, plasmare la materia per creare emozioni di cui altri beneficeranno. Non dico che i miei piatti siano i migliori, ma sicuramente diversi perché in essi c'è l'apporto intellettivo del cuoco. Faccio una cucina del territorio completamente fuori dalla tradizione del territorio. Il mio è un atteggiamento anarchico in senso bakuniniano: al centro c'è l'individuo che in quanto tale e con la sua particolarità si confronta con gli altri individui”.
I classici: l'agnello
Fermentazioni e crioestrazioni
“La fermentazione è la prima, antichissima tecnica di conservazione che riesce a marcare in modo specifico ed esatto un territorio. Una fermentazione fatta qui sarà necessariamente diversa da quella fatta in un altro luogo. E poi, gli ingredienti sono puri e altamente digeribili, carichi di flore batteriche utili all’uomo, senza grassi aggiunti, sufficienti in sé stessi” spiega, e continua ancora “Il mio approccio al cibo e alla cucina è di pensare in termini di futuro. Credo che uno dei compiti del cuoco di domani sarà quello di 'fare bene' e di curare e prevenire le malattie attraverso il cibo. Quindi fondamentale è la materia prima e come si processa in funzione anche della salute, oltre che del gusto. E questo vale per tutti: dalla grande distribuzione alla trattoria, dal ristorante di quartiere al grande chef”.
Però… c’è un però! Noi siamo abituati a un certo tipo di gusto: per esempio, chi mangerebbe della pasta secca fatta con farina di grilli? Eppure, diversi pastifici italiani la stanno realizzando. Ecco: il punto è come siamo abituati, qual è la nostra cultura, quale la nostra storia alimentare. Per cui in America Latina, in Asia e in Africa ci saranno persone che sapranno apprezzare quella pasta, in Italia saranno molto meno.
Come per le prime mostre di Picasso in Italia: spaccavano l’opinione pubblica, c’erano critici che rifiutavano quelle opere, non ci erano abituati. Oggi, invece, l’immaginario picassiano è divenuto parte fondamentale del nostro modo di essere, luogo comune per alcuni aspetti già invecchiato. Idem per il gusto, per la cucina: anzi, qui la difficoltà può essere maggiore, più radicate sono le abitudini, le idiosincrasie, gli aspetti di emotività profonda legati al mangiare e alla tavola.
Piatto dell’Orto
Una cucina inedita
Perché questo ampio preambolo? perché abbiamo assaggiato il nuovo Piatto dell’Orto. Un’idea nata 8 anni fa che ha accompagnato la cucina di Salvatore nei suoi vari passaggi. Oggi la carota – sempre al centro del piatto – non è più passata in padella col burro (un classico!) ma è appena ammorbidita da una cottura neutra e poi rivitalizzata con il suo stesso succo ottenuto per crioestrazione. Idem con la rapa rossa e con il sedano rapa. Mentre dei vegetali sono prima fatti fermentare e poi la crioestrazione viene fatta con l’acqua di fermentazione. Sta di fatto che il risultato è del tutto diverso: sono diverse le sapidità, le consistenze. Il fatto che si vada all’essenza, è sottolineato da un elemento: l’intingolo.
Come ci diceva Niko Romito qualche mese fa (vedi Gambero Rosso mensile di marzo 2017, n. 302) uno degli elementi fondanti e caratterizzanti della cucina tradizionale italiana è l’intingolo. E, al di là delle differenze tra la cucina del cuoco abruzzese e di quello ciociaro di cui peraltro abbiamo nel passato ricordato più di una volta dei punti di contatto quasi naturali, i piatti di Salvatore dimostrano davvero come l’essenza di un piatto possa essere l’intingolo portato alla sua sublimazione.
Lenticchie di Onano, crema di scorzonnera e latte di sogliola
La stessa sensazione si ha con un altro piatto: Lenticchie di Onano con crema di scorzonera e latte di sogliola. Un piatto che va a sostituire la “vecchia” ricetta (dello scorso 2016) che univa le lenticchie ai crostacei (gamberi) i quali erano entrambi i veri protagonisti della proposta: qui, invece, protagonista è l’essenza di sedano rapa e il lontanissimo profumo di arancia dovuto al contenitore di servizio (arancia bruciata). Le lenticchie sono importanti, ma fanno da sottofondo, per quanto forte, e lo stesso dicasi per il latte di sogliola che rimanda al mare.
Trota
Un passaggio simile si ha nel piatto che era una sorta di bandiera per Tassa, la Triglia, in cui il pesce diventava un simbolo identitario del Lazio marittimo (la costa è qui poco distante e il suo profumo si fa sentire) insieme al civet di pesce stesso e a salse vegetali. Oggi il pesce identitario è la Trota.Ce la racconta: “la prendo a Vallepietra, proprio qui sopra”Salvatore indica le colline oltre il ristorante “così come da lì vengono i fagioli ciavattoni”, strepitosi. La trota (sfilettata e appena scottata sulla pelle, quindi lasciata a finire la cottura delicatamente coperta da una cloche fuori dal fuoco) è accompagnata da una serie di piccole palline di salse che riprendono tutti sapori di questa terra: dalla maionese di acqua di fermentazione di sverza alla crioestrazione di legno di castagno, dalla gelatine di mele selvatiche (almeno 5-6 diverse) alla douxelle di funghi pioppini (o champignon) e alla crioestrazione di sedano rapa. Un piatto delicato ed esplosivo al tempo stesso. “Certo” avverte però il cuoco di Acuto “Questa è una cucina nuova, inedita: io la faccio, è il secondo dei due menu degustazione che ho in carta, accanto restano i Classici delle Colline Ciociare (come l'agnello, per esempio ndr). Però è una cucina che va ancora messa bene a punto, occorre valutare a fondo come reagiscono il palato e il cervello di fronte a esperienze nuove”.
Uovo selvatico
Come in una scuderia di F1
Non a caso Salvatore Tassa utilizza un linguaggio simile a quello dei meccanici e dei box delle squadre corse. In primis perché la moto, la meccanica e le corse su pista sono sempre state le sue passioni (ereditate dal figlio Giovanni che lo segue in sala alle Colline Ciociare e va a girare in pista accompagnato dal padre). “E poi, decidendo di dare e fare il meglio di me nei prossimi dieci anni, ho deciso anche di lavorare proprio come un team di F1” si spiega meglio: “Il menu Tassa Experience è questo: si partecipa, come ai box di una squadra corse, alla messa a punto di piatti, concetti, aromi e sapori. Io non dico cosa farò, se non al momento della presentazione a tavola; il menu nasce dopo un approfondito scambio con gli ospiti già al telefono o via mail. E poi si prova su strada, nel piatto, e si vede… Del resto, anche il menu attuale si chiama Infinito: proprio perché non ha fine, può andare avanti all’infinito, appunto”.
Un’esperienza inedita
Già con il nuovo menu Infinito, dicevamo, l’esperienza a tavola non ha molti punti di riferimento noti. Nei Raviolini di mandorla (foto in copertina), per esempio, le categorie di consistenza, contrasto, dolce-aspro, sono superate da una sensazione del tutto nuova che… o la ami o la odi. La pasta è sottilissima, si scioglie in bocca; la farcia è di mandorla lavorata con crema di aglio e crema di limone (sempre ottenute da estrazione a freddo) e il brodo è estratto di legni e radici (tra cui la liquirizia che forse è da dosare meglio) e aromatizzato con pepe di Malabar, scorza di limone ed erba limoncella. Un piatto che può avere molte varianti, che sicuramente deve essere messo a punto, ma che decisamente apre nuovi orizzonti all’educazione del gusto. “Quello che a me piace fare è creare discussione e confronto” sorride Tassa “Bisogna che le idee circolino, che si smuova la calma piatta che altrimenti rischia di soffocare la cucina d’autore”.
Pane & Companatico - panino con stufato di vitello
Fusion e sperimentazione a 360°
Territorio non vuol dire chiusura. “In un mondo sempre più global non ha senso recintare un’area geografica ristretta e chiuderla alle influenze esterne” spiega Salvatore “il terroir è fatto anche di chi ci vive e di chi ci studia, di chi porta idee ed esperienze nuove in una zona. La tradizione si fonde con altri stimoli e si evolve verso il futuro”. È un po’ questo il senso di Pane & Companatico: un piatto main course che rivaluta l’antico panino col bollito rifatto e che fa l’occhiolino ai pani orientali e alla tradizione del quinto quarto rivista anche alla luce dell’esperienza della cucina francese che di animelle e beuf ha una lunga cultura, per quanto diversa dalla nostra. Il pane (un panino appunto) cotto a vapore è farcito di stracotto di manzetta locale e accompagnato da fagioli ciavattoni di Vallepietra e da un consommé di manzo (sempre per crioestrazione, pulitissimo) incredibilmente netto e nuovo nei sapori, servito in un guscio di sedano rapa, da aggiungere a piacere. A lato, animelle arrostite in estrazione di funghi porcini (splendido anche da bere alla fine). Un piatto anch’esso infinito, tanto che Salvatore sta già pensando a farcirlo con maiale nero e accompagnarlo con un consommé di jamon de bellota… E poi, non si butta nulla: delle verdure fermentate si usa tutto e anche le materie da cui si estrae trovano poi una loro collocazione in altre preparazioni. Una cucina circolare a tutto tondo, per citare un suo collega come Corelli.
Le Colline Ciociare | Acuto (FR) | via Prenestina, 27 | tel. 0775 56049 | http://www.salvatoretassa.it/
a cura di Stefano Polacchi
Che Acuto non sia su una delle strade più facili da raggiungere lo sapevamo e ormai davamo per assodato che Le Colline Ciociare di Salvatore Tassa non potranno mai essere un luogo pieno di gente con file di auto parcheggiate davanti. Questo lo sa anche il cuoco e con lui il suo staff. Ma che sia lo stesso cuoco a rendersi ancora più difficile la vita, questo è davvero il massimo. Anche se – stando a sentire Salvatore – lui la vita non se la complica… se la riempie di senso!
Ecco, a distanza di pochi mesi dal rodaggio del suo nuovo menu dedicato all’esperienza di Expo 2015 che ha portato il cuciniere ciociaro (così si autodefinisce sorridendo) a una riflessione profonda sui tempi della sostenibilità e dell’alimentazione del futuro, ecco che Tassa si cambia di nuovo le carte in tavole e si getta a capofitto in un nuovo tipo e modello di cucina.
Stagista di lusso a Parigi
“Sto scoprendo le crioestrazioni, le concentrazioni di aromi e sapori attraverso il freddo” spiega “È un modello nuovo, inedito. È un continuo andare verso l’essenziale, un percorso molto complicato e complesso per arrivare alla semplicità dell’ingrediente allo stato puro”. Una semplicità a volte anche spiazzante. Siamo andati a incontrare Salvatore ad Acuto: è tornato da poco dal suo “stage di lusso” (è sempre sua la definizione) da Yannick Alléno al Ledoyen di Parigi (Tre Stelle e un grande lavoro proprio sulle fermentazioni e sulle crioestrazioni) e ha deciso di cambiare di nuovo il suo approccio e il suo rapporto con calore, fiamme e tecniche. E anche con gli ingredienti, dando uno spessore maggiore al suo essere “di territorio, ma completamente sganciato da ogni tradizione o ricetta del passato: le conosco, le ho dentro, ma vado avanti. E offro del territorio un punto di vista che finora nessuno ha mai pensato né tanto meno tentato”.
Da Alléno, Salvatore è stato un paio di settimane. Ha fatto lo stagista, (“per davvero!” dice) e ha vissuto intensamente al fianco della brigata parigina cercando di capire. “La prima cosa che ho capito è la differenza che facciamo nell’uso di queste estrazioni naturali” spiega “loro usano i succhi per una cucina alla francese, mischiando e creando salse legate anche con grassi. Io invece intendo e utilizzo le crioestrazioni come ingredienti puri e ne voglio esaltare le qualità sia organolettiche che salutistiche…”Inoltre, mentre al Ledoyen si estrae con l’estrattore, ad Acuto si estrae congelando e poi facendo filtrare le sostanze essenziali attraverso una superbag a 150 micron: “La differenza? Un succo più puro e carico di elementi e, paradossalmente, in quantità maggiore”.
I suoi primi 60 anni
“Dopo lungo pensare e riflettere su cosa avrei potuto fare per i prossimi anni, ora che ne ho 60, ho deciso: nei prossimi 10 anni devo produrre il meglio di me, la summa di ciò che ho fatto nei passati 6 decenni”. Per spiegarsi, cerca dallo schermo dello smartphone uno degli ultimi post fatti al ritorno dalla Francia: “Mi reputo nella mia cucina un agitatore di idee e un provocatore di pensiero. Pretendo dai miei cuochi il massimo impegno per soddisfare il mio egoismo della creazione, plasmare la materia per creare emozioni di cui altri beneficeranno. Non dico che i miei piatti siano i migliori, ma sicuramente diversi perché in essi c'è l'apporto intellettivo del cuoco. Faccio una cucina del territorio completamente fuori dalla tradizione del territorio. Il mio è un atteggiamento anarchico in senso bakuniniano: al centro c'è l'individuo che in quanto tale e con la sua particolarità si confronta con gli altri individui”.
I classici: l'agnello
Fermentazioni e crioestrazioni
“La fermentazione è la prima, antichissima tecnica di conservazione che riesce a marcare in modo specifico ed esatto un territorio. Una fermentazione fatta qui sarà necessariamente diversa da quella fatta in un altro luogo. E poi, gli ingredienti sono puri e altamente digeribili, carichi di flore batteriche utili all’uomo, senza grassi aggiunti, sufficienti in sé stessi” spiega, e continua ancora “Il mio approccio al cibo e alla cucina è di pensare in termini di futuro. Credo che uno dei compiti del cuoco di domani sarà quello di 'fare bene' e di curare e prevenire le malattie attraverso il cibo. Quindi fondamentale è la materia prima e come si processa in funzione anche della salute, oltre che del gusto. E questo vale per tutti: dalla grande distribuzione alla trattoria, dal ristorante di quartiere al grande chef”.
Però… c’è un però! Noi siamo abituati a un certo tipo di gusto: per esempio, chi mangerebbe della pasta secca fatta con farina di grilli? Eppure, diversi pastifici italiani la stanno realizzando. Ecco: il punto è come siamo abituati, qual è la nostra cultura, quale la nostra storia alimentare. Per cui in America Latina, in Asia e in Africa ci saranno persone che sapranno apprezzare quella pasta, in Italia saranno molto meno.
Come per le prime mostre di Picasso in Italia: spaccavano l’opinione pubblica, c’erano critici che rifiutavano quelle opere, non ci erano abituati. Oggi, invece, l’immaginario picassiano è divenuto parte fondamentale del nostro modo di essere, luogo comune per alcuni aspetti già invecchiato. Idem per il gusto, per la cucina: anzi, qui la difficoltà può essere maggiore, più radicate sono le abitudini, le idiosincrasie, gli aspetti di emotività profonda legati al mangiare e alla tavola.
Piatto dell’Orto
Una cucina inedita
Perché questo ampio preambolo? perché abbiamo assaggiato il nuovo Piatto dell’Orto. Un’idea nata 8 anni fa che ha accompagnato la cucina di Salvatore nei suoi vari passaggi. Oggi la carota – sempre al centro del piatto – non è più passata in padella col burro (un classico!) ma è appena ammorbidita da una cottura neutra e poi rivitalizzata con il suo stesso succo ottenuto per crioestrazione. Idem con la rapa rossa e con il sedano rapa. Mentre dei vegetali sono prima fatti fermentare e poi la crioestrazione viene fatta con l’acqua di fermentazione. Sta di fatto che il risultato è del tutto diverso: sono diverse le sapidità, le consistenze. Il fatto che si vada all’essenza, è sottolineato da un elemento: l’intingolo.
Come ci diceva Niko Romito qualche mese fa (vedi Gambero Rosso mensile di marzo 2017, n. 302) uno degli elementi fondanti e caratterizzanti della cucina tradizionale italiana è l’intingolo. E, al di là delle differenze tra la cucina del cuoco abruzzese e di quello ciociaro di cui peraltro abbiamo nel passato ricordato più di una volta dei punti di contatto quasi naturali, i piatti di Salvatore dimostrano davvero come l’essenza di un piatto possa essere l’intingolo portato alla sua sublimazione.
Lenticchie di Onano, crema di scorzonnera e latte di sogliola
La stessa sensazione si ha con un altro piatto: Lenticchie di Onano con crema di scorzonera e latte di sogliola. Un piatto che va a sostituire la “vecchia” ricetta (dello scorso 2016) che univa le lenticchie ai crostacei (gamberi) i quali erano entrambi i veri protagonisti della proposta: qui, invece, protagonista è l’essenza di sedano rapa e il lontanissimo profumo di arancia dovuto al contenitore di servizio (arancia bruciata). Le lenticchie sono importanti, ma fanno da sottofondo, per quanto forte, e lo stesso dicasi per il latte di sogliola che rimanda al mare.
Trota
Un passaggio simile si ha nel piatto che era una sorta di bandiera per Tassa, la Triglia, in cui il pesce diventava un simbolo identitario del Lazio marittimo (la costa è qui poco distante e il suo profumo si fa sentire) insieme al civet di pesce stesso e a salse vegetali. Oggi il pesce identitario è la Trota.Ce la racconta: “la prendo a Vallepietra, proprio qui sopra”Salvatore indica le colline oltre il ristorante “così come da lì vengono i fagioli ciavattoni”, strepitosi. La trota (sfilettata e appena scottata sulla pelle, quindi lasciata a finire la cottura delicatamente coperta da una cloche fuori dal fuoco) è accompagnata da una serie di piccole palline di salse che riprendono tutti sapori di questa terra: dalla maionese di acqua di fermentazione di sverza alla crioestrazione di legno di castagno, dalla gelatine di mele selvatiche (almeno 5-6 diverse) alla douxelle di funghi pioppini (o champignon) e alla crioestrazione di sedano rapa. Un piatto delicato ed esplosivo al tempo stesso. “Certo” avverte però il cuoco di Acuto “Questa è una cucina nuova, inedita: io la faccio, è il secondo dei due menu degustazione che ho in carta, accanto restano i Classici delle Colline Ciociare (come l'agnello, per esempio ndr). Però è una cucina che va ancora messa bene a punto, occorre valutare a fondo come reagiscono il palato e il cervello di fronte a esperienze nuove”.
Uovo selvatico
Come in una scuderia di F1
Non a caso Salvatore Tassa utilizza un linguaggio simile a quello dei meccanici e dei box delle squadre corse. In primis perché la moto, la meccanica e le corse su pista sono sempre state le sue passioni (ereditate dal figlio Giovanni che lo segue in sala alle Colline Ciociare e va a girare in pista accompagnato dal padre). “E poi, decidendo di dare e fare il meglio di me nei prossimi dieci anni, ho deciso anche di lavorare proprio come un team di F1” si spiega meglio: “Il menu Tassa Experience è questo: si partecipa, come ai box di una squadra corse, alla messa a punto di piatti, concetti, aromi e sapori. Io non dico cosa farò, se non al momento della presentazione a tavola; il menu nasce dopo un approfondito scambio con gli ospiti già al telefono o via mail. E poi si prova su strada, nel piatto, e si vede… Del resto, anche il menu attuale si chiama Infinito: proprio perché non ha fine, può andare avanti all’infinito, appunto”.
Un’esperienza inedita
Già con il nuovo menu Infinito, dicevamo, l’esperienza a tavola non ha molti punti di riferimento noti. Nei Raviolini di mandorla (foto in copertina), per esempio, le categorie di consistenza, contrasto, dolce-aspro, sono superate da una sensazione del tutto nuova che… o la ami o la odi. La pasta è sottilissima, si scioglie in bocca; la farcia è di mandorla lavorata con crema di aglio e crema di limone (sempre ottenute da estrazione a freddo) e il brodo è estratto di legni e radici (tra cui la liquirizia che forse è da dosare meglio) e aromatizzato con pepe di Malabar, scorza di limone ed erba limoncella. Un piatto che può avere molte varianti, che sicuramente deve essere messo a punto, ma che decisamente apre nuovi orizzonti all’educazione del gusto. “Quello che a me piace fare è creare discussione e confronto” sorride Tassa “Bisogna che le idee circolino, che si smuova la calma piatta che altrimenti rischia di soffocare la cucina d’autore”.
Pane & Companatico - panino con stufato di vitello
Fusion e sperimentazione a 360°
Territorio non vuol dire chiusura. “In un mondo sempre più global non ha senso recintare un’area geografica ristretta e chiuderla alle influenze esterne” spiega Salvatore “il terroir è fatto anche di chi ci vive e di chi ci studia, di chi porta idee ed esperienze nuove in una zona. La tradizione si fonde con altri stimoli e si evolve verso il futuro”. È un po’ questo il senso di Pane & Companatico: un piatto main course che rivaluta l’antico panino col bollito rifatto e che fa l’occhiolino ai pani orientali e alla tradizione del quinto quarto rivista anche alla luce dell’esperienza della cucina francese che di animelle e beuf ha una lunga cultura, per quanto diversa dalla nostra. Il pane (un panino appunto) cotto a vapore è farcito di stracotto di manzetta locale e accompagnato da fagioli ciavattoni di Vallepietra e da un consommé di manzo (sempre per crioestrazione, pulitissimo) incredibilmente netto e nuovo nei sapori, servito in un guscio di sedano rapa, da aggiungere a piacere. A lato, animelle arrostite in estrazione di funghi porcini (splendido anche da bere alla fine). Un piatto anch’esso infinito, tanto che Salvatore sta già pensando a farcirlo con maiale nero e accompagnarlo con un consommé di jamon de bellota… E poi, non si butta nulla: delle verdure fermentate si usa tutto e anche le materie da cui si estrae trovano poi una loro collocazione in altre preparazioni. Una cucina circolare a tutto tondo, per citare un suo collega come Corelli.
Le Colline Ciociare | Acuto (FR) | via Prenestina, 27 | tel. 0775 56049 | http://www.salvatoretassa.it/
a cura di Stefano Polacchi