Affocagatte
Iniziamo con dei biscotti veri e propri, inteso in senso letterale, ovvero cotti due volte. Gli affocagatte sono fra i più antichi della tradizione campana: una ricetta molto simile a quella attuale, che i latini chiamavano panis biscotus, era già diffusa già nel X secolo a.C. Il nome deriva da affucà, termine che in napoletano vuol dire “soffocare”, usato dai pescatori per indicare i pesciolini più piccoli che, impossibili da vendere, venivano elargiti ai gatti.
L’impasto prevede farina, uova, zucchero e un pizzico di bicarbonato con cui si realizzano delle ciambelline che vengono lessate per qualche minuto in acqua bollente e, una volta affiorate, si incidono leggermente con la punta del coltello, seguendo la forma del biscotto. Dopo averle infornate si cospargono con la glassa, tradizionalmente fatta con il miele, oggi sostituito dallo zucchero.
Biscotto all’amarena
Se vi trovate a Napoli, entrando in un qualsiasi bar o pasticceria, non potrete non notare i biscotti all’amarena. Questi dolci sono infatti una presenza costante nei banconi e nelle vetrine dei locali partenopei, simbolo di una storica arte del riciclo dei pasticceri napoletani. I biscotti all’amarena sono nati proprio per evitare di buttare rimasugli di pasta o dolci imperfetti che non venivano messi in vendita: un po’ di ritagli di pan di Spagna, la pasta frolla in eccesso, un dolcetto avanzato dal giorno prima. Il tutto amalgamato con l’amarena sciroppata e il cacao. Oggi la ricetta è più codificata e prevede per l’impasto farina, burro, zucchero, uova, scorza di limone grattugiata e un pizzico di sale. Il ripieno è fatto con pan di Spagna, confettura di amarene, cacao e rum (o alchermes). Infine, la decorazione a strisce perpendicolari che rende i biscotti all’amarena così caratteristici, è fatta con albume d’uovo, zucchero a velo e un altro po’ di confettura di amarene.
Biscotti all'amarena
Biscotto di Castellammare
Inutile dire da dove vengano questi dolcetti: sono stati creati a Castellammare di Stabia, cittadina dalla vista mozzafiato al confine fra la zona vesuviana e l'inizio della Penisola Sorrentina. Furono i fratelli Giovanni e Francesco Riccardi che, nel 1848, misero a punto la ricetta di questi biscotti, già da tempo diffusi in zona. Intorno a questi dolcetti c’è però un alone di mistero: pare che Donna Concetta, figlia di Francesco Ricciardi e ultima erede della ricetta originale, morì avvelenata proprio perché si era rifiutata di vendere la formula dei biscotti. Per fortuna, prima di morire, la pasticcera aveva confidato al nipote Mariano ingredienti, tempi e dosi, così da poter continuare la tradizione di famiglia. Naturalmente, questi sono racconti da prendere con le molle: è probabile però che questa storia abbia contribuito ad aumentare la fama dei biscotti. Per la ricetta si utilizzano farina 00, burro (tradizionalmente quello di Agerola), lievito, acqua, zucchero e vanillina.
Biscotti di Castellammare
Morselletti cilentani
Prodotti soprattutto nel comune di Castellabate, i morselletti o muzellettisono chiamati anche viscuotti ccu ‘i mènule (biscotti con le mandorle). Una volta preparati in occasioni importanti come i matrimoni, sono diventati i tipici biscotti da prima colazione. Il nome potrebbe derivare dal francesemorceau, ossia boccone, ma potrebbe anche essere legato a “morzare”, cioè tagliare il biscotto dal filone intero già cotto. Si preparano con farina, zucchero, strutto (o burro nelle versioni moderne), uova, latte, mandorle, ammoniaca e un pizzico di sale. Ne esiste anche una variante al miele, prodotto che abbonda nell’area cilentana: in questo caso sostituisce le mandorle, donando al biscotto un sapore più delicato.
Morselletti cilentani
Mustacciuoli
Pochi dolci in Italia hanno avuto una diffusione trasversale come i mustacciuoli, o mostaccioli, biscotti diffusi in Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna, Lazio, Campania, Abruzzo e Lombardia. Ogni regione ha le sue varianti e i mustacciuoli partenopei, dalla tradizionale forma a rombo e ricoperti di glassa al cioccolato, sono forse i più famosi. L’origine dei biscotti è incerta, ma le prime tracce di un antenato di questi biscotti si trovano già nel “De Agricoltura” di Catone. La ricetta nei secoli è cambiata e così anche l’ingrediente principale, il mosto, è stato sostituito, almeno nella versione campana.
Ne esistono numerose varianti, ma noi ci rifacciamo alla versione del pasticcere Antonio Castaldo, presidente dell’Associazione pasticceri napoletani. Questa versione prevede farina, zucchero, miele, marmellata di albicocche, cacao, vino moscato, mandorle tritate, acqua, bicarbonato, buccia d’arancia, cioccolato per la glassa e il pisto, un mix di spezie già pronte all’uso (con cannella, noce moscata, chiodi di garofano e coriandolo) che si trova in tutte le botteghe di Napoli, oppure si può comprare on line.
Mostacciuoli napoletani
Raffiuoli
A metà fra un biscotto e un dolce, il raffiuolo richiama un primo piatto tipico del nord Italia, i ravioli. Le monache benedettine del Convento di San Gregorio Armeno si ispirarono infatti ai ravioli ripieni per creare una versione dolce per Natale. Ci sono due varianti della ricetta, quella tradizionale e quella alla cassata. La prima vuole farina, zucchero, uova, buccia di limone grattugiata e confettura di albicocche. I dolcetti cotti vengono ricoperti prima con la glassa e poi con un velo di marmellata. In alcune versioni della ricetta tradizionale è contemplata anche una parte di pasta reale, da mischiare alla glassa con cui ricoprire il dolce.
La variante alla cassata aggiunge ricotta di pecora e cedro, lasciando da parte la marmellata. Dopo aver cotto i raffiuoli seguendo la ricetta tradizionale, un una terrina si amalgamano ricotta di pecora, zucchero, cannella e gocce di cioccolato fondente. Con questo composto si ricoprono i raffiuoli fino a formare una sorta di cupolina, sulla quale si mette una striscia di cedro candito. Infine, altra glassa bianca viene versata a filo sopra i biscotti che, prima di essere serviti, devono essere raffreddati fino alla completa solidificazione della copertura.
Raffiuoli
Roccocò
Come molti altri biscotti della tradizione campana e italiana, la ricetta dei roccocò è legata a un convento, il Real Convento della Maddalena. Fu qui che nel 1320 si mise per iscritto per la prima volta la ricetta di questi biscotti dall’aroma inconfondibile. Il nome roccocò deriva dal termine franceserocaillee sottolinea la forma, un po’ barocca, del dolce, simile a una conchiglia arrotondata. Ritorna in questa ricetta - come più avanti nei susamielli- il pisto, il mix di spezie tipico dei dolci napoletani. La versione originale prevede un impasto fatto con mandorle, farina, zucchero, canditi e pisto. Tradizionalmente si preparano in grandi quantità in occasione della Madonna dell’Immacolata, l’8 dicembre: è usanza dei campani mangiarli a fine pasto durante tutto il periodo natalizio ammorbiditi nel vino, nel vermouth o nel marsala.
Roccocò
Susamielli o biscotti sapienza
Di dolci a forma di S ne esistono molti in Italia: ma chiedendo a un campano quali siano, risponderà inevitabilmente i susamielli. Tipici del Natale, pare derivino dai biscotti greci con miele e sesamo preparati in onore delle dee Demetra e Core. In Campania sono conosciuti anche con il nome di biscotti sapienzao sapienzeperché, nel ‘600, le suore Clarisse del Convento di Santa Maria della Sapienza erano specializzate nella preparazione di questi dolci.
Nella tradizione campana esistono 3 diverse varianti: i susamielli dello zampognaro, con farina grezza e impasti residui di altre preparazioni, destinati in origine appunto agli zampognari; isusamielli del buon cammino, con un ripieno di marmellata di amarene, preparati per preti, frati e pellegrini; i susamielli nobili, più pregiati e destinati alle famiglie più in vista. Ci rifacciamo proprio a quest’ultima versione, fissata nel 1788 dal cuoco e letterato Vincenzo Corrado, che prevede farina, miele, mandorle, zucchero, frutta candita, ammoniaca e anche qui, come per mustacciuoli e roccocò, il pisto.
Susamielli
Taralli dolci di Pasqua
Un altro biscotto che nasce dal reimpiego dei rimasugli della pasta frolla e di altre preparazioni di pasticceria, un tempo prodotti sono nel periodo pasquale, ma oggi reperibili in tutti i periodi dell’anno e utilizzati soprattutto come biscotti da prima colazione. Per farli servono farina, zucchero, strutto o la sugna di maiale - spesso sostituito con il burro - uova, liquore Strega, scorza di limone, ammoniaca.Nella zona di Napoli c’è una variante di questi biscotti dal gusto più deciso e intenso, che è una versione dolce dei classici taralli ‘nzogna e pepee prevede nell’impasto, oltre alla sugna o lo strutto (abbiamo spiegato la differenza nell’Abc della cucina campana), anche il pepe. Secondo la ricetta del pasticcere Raffaele Pignataro servono farina, acqua, mandorle (sia per l’impasto che per la decorazione), strutto, lievito di birra, zucchero, miele, pepe nero e un pizzico di sale.
a cura di Francesca Fiore
Leggi anche Il Piemonte in 12 biscotti tradizionali e la ricetta dei baci di dama della pasticceria Gallizioli
Leggi anche La Toscana in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei biscotti di Prato della pasticceria Nuovo Mondo