Un po' di storia
Il vermouth o vermut nasce ufficialmente a Torino nel 1786 grazie ad Antonio Benedetto Carpano, ma è indubbio che Carpano si sia ispirato ai numerosi vini all’assenzio, all'epoca popolari soprattutto in Germania e Francia. La tradizione del vermouth in Piemonte, però, si differenzia: “Innanzitutto viene meno l'impiego medico del vino all’assenzio, poi si distingue per l'aggiunta di zucchero, che lo ha reso più piacevole, e di alcool, che ne ha fatto un prodotto trasportabile e adatto dunque all'esportazione”. Ci racconta Giustino Ballato (nella foto qui sotto), esperto di piante ed erbe, che insieme a Davide Pinto, Luca Pineider e Carlo Miano, si è appassionato alla storia del vermouth Anselmo, ne ha scovato il marchio originale e ha deciso di rilanciarlo. Una cosa è certa: fin dalla nascita, il vermouth è un prodotto regale e aristocratico, diventato un vero e proprio status symbol nei primi decenni del ’900. Tanto da sopravvivere alle guerre: alla fine del XIX secolo c'erano una ventina di produttori, alcuni dei quali, Cora in primis, cominciano a esportare in tutto il mondo. Ma allora quand'è che la sua fama inizia a vacillare? Come tutti i prodotti, anche il vermouth ha risentito di una ciclicità. Infatti, dopo essere diventato un prodotto di massa (con conseguente diminuzione della qualità) è passato nel dimenticatoio. Oggi, invece, vive più forte che mai. Basti pensare che solo lo scorso anno sono nati 25 nuovi brand di imprenditori che hanno acquistato i marchi ormai defunti.
Il vermouth oggi
Ma cos'è il vermuth? Secondo la legge è un prodotto composto da almeno il 75% di vino, dolcificato e aromatizzato. Anche la percentuale di zucchero è regolamentata, ma varia, come la gradazione alcolica, a seconda del tipo: i vermouth bianco, rosso e rosè devono avere un tasso alcolico non inferiore ai 14,5 gradi e un tenore zuccherino minimo del 14%, mentre il dry deve avere non meno di 18 gradi e il 12% massimo di zuccheri. Tutto molto chiaro. Ma come si può legare questo prodotto al territorio piemontese, vista la sua natura industriale (parliamoci chiaro: lo si può fare ovunque)? “Per quanto riguarda il Vermut di Torino, mi baserei sulla ricetta di Arnaldo Strucchi – famoso enologo piemontese autore de Il Vermut di Torino – nella quale è presente dal 25 al 50% di Moscato di Canelli, che era quello che noi oggi chiamiamo Moscato d'Asti”. Purtroppo non tutti i produttori sono d'accordo con Ballato, tant'è che il disciplinare ancora non c'è.
Il Vermut di Torino
Oggi la denominazione è normata dal Regolamento Europeo 251/2014 che però parla in modo generico e definisce semplicemente la categoria merceologica, rimandando al Regolamento 1601/91, il quale consente l'utilizzo della denominazione Vermut di Torino. Dal 1991 al 2014, però, nessuno dei produttori si è mosso per rivendicare l'utilizzo di tale dicitura. Solo l'anno scorso, i principali produttori di vermouth si sono incontrati per presentare una bozza di disciplinare alla Federvini, la quale dovrà inviarla dapprima alla Regione Piemonte, e poi alla Comunità Europea. “Da quello che so, dato che i lavori stanno avvenendo alla luce del sole, la bozza di disciplinare affronta tre questioni principali: il Vermut di Torino deve essere prodotto e imbottigliato in Piemonte, tranne per alcuni marchi storici, come Carpano ad esempio, l'Artemisia absinthum deve essere sempre del territorio piemontese e il grado alcolico deve essere di minimo 16 gradi”. Punto. E per quanto riguarda il vino? Nessuna limitazione. “Nonostante il vino sia per me determinante, non tutti la pensano così”.
La questione del vino
Effettivamente la ricetta di Arnaldo Strucchi non tiene conto del fatto che oggi il vitigno moscato viene utilizzato principalmente per fare lo spumante. Pare però che il problema si allarghi anche ai vini piemontesi: il Piemonte è una regione più vocata per i vini rossi, mentre il vermouth lo si fa con il vino bianco. E i pochi vini bianchi, ovviamente rispetto alla maggioranza di rossi, sono denominazioni. Questo creerebbe un problema burocratico: per essere a norma di legge, l'etichetta dovrebbe infatti indicare, per esempio, “Moscato d'Asti Docg” e la percentuale utilizzata. Siamo poi sicuri che il consorzio permetta l'utilizzo della denominazione? La provocazione successiva arriva spontanea: per lo meno che sia un vino italiano? Il problema quantitativo pare toccare anche la globalità dei vini italiani: da una parte ci sono i vini doc e docg, che comporterebbero beghe burocratiche, dall'altra ci sono dei vini bianchi adatti ma prodotti in piccole quantità. Non sufficienti per la produzione di colossi come Martini o Cinzano che, ricordiamolo, detengono praticamente il monopolio del mercato americano. È dunque evidente che la bozza di disciplinare ha lo scopo di difendere questo prodotto dalle imitazioni estere (ad esempio, oggi, il Vermut di Torino lo si può fare anche in Repubblica Ceca) senza però essere troppo limitante. “Uno scopo buono e giusto, basta che sia l'inizio di un percorso in cui si valorizzi, finalmente, la storia di questo prodotto”. Ballato rilancia così.“Perché non proporre, all'interno della denominazione, un'altra denominazione? Tipo Vermut storico di Torino?”.
Vedremo come andrà a finire, insieme ai protagonisti, nel corso di Gourmet, a Lingotto Torino dal 22 al 24 novembre 2015. Save the date.
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a cura di Annalisa Zordan
Gourmet | Expoforum | Horeca Food & Beverage | 22-24 novembre 2015 | Lingotto Fiere Torino | www.gourmetforum.it