Sostenibilità, l’ultima sfida nel mondo vino

22 Apr 2016, 07:12 | a cura di

Vinitaly 2016. Michele Manelli, presidente dell’azienda toscana Salcheto, spiega che significa essere sostenibili oggi.

Cosa vuol dire di preciso essere sostenibili? In occasione del noto evento fieristico sul vino più importante d’Italia, lo abbiamo chiesto a Michele Manelli, patron dell’azienda certificata bio Salcheto nel cuore di Montepulciano, da undici anni immersa in questa dimensione. Come il padrone di casa ha tenuto subito a precisare, il carattere biologico è però solo uno strumento, benché utile, per perseguire un impegno sostenibile dalla A alla Z. Il sistema di lavorazione dell’azienda si orienta quindi secondo le linee guida di questa filosofia: dalla tutela ambientale a quella della biodiversità, dall’aspetto sociale a quello economico.

Quanti produttori nel mondo del vino hanno a cuore il tema della sostenibilità oggi?

Tanti. A documentarlo è stato anche il progetto realizzato nel 2014 con il Gambero Rosso e il Forum per la sostenibilità del vino, presentato alla premiazione Tre bicchieri del 2015. Insieme abbiamo fatto luce su un movimento che in Italia si stima coinvolga tre miliardi di fatturato e più di cinquecento imprese. Questo non vuol dire che siano già tutti ultra convertiti a un mondo più illuminato, però è un chiaro segno che ci si sta muovendo. Le imprese sono sempre più consapevoli che la sostenibilità sarà il driver strategico di sviluppo dei prossimi anni e che il bio e il biodinamico sono una parte dei tanti strumenti utili per seguire questa direzione.

Quando è nato il movimento per la sostenibilità?

Forse il primo programma sulla sostenibilità ambientale, se vogliamo parlare principalmente di quella, l’ha fatto il Sud Africa nel 1998, creando un sistema di certificazione interessante, già strutturato e controllato. È stato subito seguito dai californiani (Californian Sustainable Winegrowing Alliance, ndr) che negli stessi anni hanno toccato argomenti giusti, gli stessi di oggi se vuoi, ma in maniera ancora semplice, poco incisiva e generica. Il loro modello ha avuto comunque la forza di stimolare la ricerca e accendere culturalmente gli animi. Poi siamo arrivati noi, gli italiani. Personalmente è dal 2005 che faccio ricerca su questi temi. Nel 2013, con il Forum per la sostenibilità del vino, abbiamo confrontato, messo insieme e codificato i vari indicatori sulla sostenibilità ambientale presenti in ben 14 programmi italiani, per tentare di allargare il più possibile la visuale. Alla fine del 2014 il rapporto delle associazioni rappresentanti ha lanciato la sfida: mettersi d’accordo per fare una norma unica e nazionale, per il quale è stato fatto un lungo lavoro di tessitura per tutto il 2015. Ieri (12 aprile 2016, ndr) è stata fatta qui la Conferenza Stampa che ha reso proponibile in tutta Italia una norma nazionale moderna e avanzata, frutto di tutto il lavoro precedente: le esperienze nate nel mondo, i programmi fatti in Italia, gli studi dei centri di ricerca e delle università e l’impegno delle imprese, che sono veramente tante: noi, Caprai, Tasca d’Almerita, Planeta, Arcipelago Muratori, lo stesso Ferrari. Ne ho citate solo lacune ma potrei andare avanti.

Cosa intende la vostra azienda per sostenibilità e in che modo si riscontra nel vostro sistema di lavorazione?

Intanto la nostra visione si riconosce in un percorso collettivo che affronta la sostenibilità a partire dai grandi temi ambientali, quindi acqua, emissioni di gas climalteranti, gestione dell’energia e della biodiversità. Il nostro è un approccio quantitativo, monitorato e proattivo: dipende da un bilancio dell’impatto che il nostro lavoro ha su questi grandi indicatori, punto di partenza per continui miglioramenti. Questo è il concetto forte. Sulla biodiversità noi italiani abbiamo poi proposto qualcosa di molto forte, un indice di misurazione della quantità e della qualità della biodiversità, ispirato al QBS - Parisi (inteso come il Prof. Parisi dell’Università di Parma che per primo lo pubblicò negli anni '90), che di fatto si è tradotto in quest’indice, che si chiama BF, “biodiversity friend”. Detto ciò, accanto a questo strumento bisogna compiere indipendentemente e di pari passo delle azioni. Noi, ad esempio, abbiamo una cantina energicamente autonoma; abbiamo ridotto la meccanizzazione; chiaramente abbiamo abbandonato da tantissimo tempo tutto ciò che è chimica di sintesi in vigna; facciamo anche i preparati 500 e 501 ma non siamo ortodossi da questo punto di vista. Il punto non è usare o non usare prodotti chimici e basta; il punto è com’è il vino: m’interessa se è buono o no, questo è il messaggio. La sostenibilità oggi, e l’essere sostenibili, è il risultato. Sei bravo? Si vede dalla CO2, si vede dall’acqua, da come la gestisci e si vede da quant’è e qual è la biodiversità che hai nel tuo vigneto.

 

 

Sostenibilità è anche cambiamento sociale ed economico, che vuol dire trasparenza nella gestione dei lavoratori, ad esempio. A livello interno ci preoccupiamo di fare bilanci sociali: facciamo interviste anonime per far esprimere le persone su problematiche che non direbbero direttamente; abbiamo un piano di crescita delle retribuzioni; accogliamo stagisti, non per fare sfruttamento ma per fare formazione; non abbiamo contratti precari; tutte cose che diventano parte di un insieme coerente. Però è chiaro che, in queste circostanze, abbiamo avuto molte più sfide da dover fronteggiare, sia sul lato ambientale sia su quello sociale come economico, dove promuoviamo la trasparenza nella gestione dei fondi pubblici, i controlli di gestione, la tutela del patrimonio. Questo perché un’impresa, in fin dei conti, deve rendere conto a tutti, non può essere una questione privata e basta perché ha comunque una visione sociale.

Il fatto di allestire lo stand con i banchi di scuola e la lavagna è stato fatto per cercare di educare il più possibile pubblico (e produttori) al progetto che portate avanti sulla sostenibilità?

Allora, sì, volendo ci possiamo anche mettere questo ma fondamentalmente la cosa che mi è piaciuta di questo progetto è l’aver messo insieme una rete di relazioni e contenuti coltivata negli anni. A questo punto ho ritenuto che parlare di marketing e gestione d’impresa servisse a dare un volto a questi temi, per fare evolvere il modello di business e trasmettere i concetti a tutti gli operatori della filiera: i piccoli imprenditori, i capi area, quello che è, che tra l’altro sono quelli che ne avrebbero più bisogno, quelli che forse hanno più difficilmente accesso a questo tipo d’informazioni. Questa è l’idea. De resto, per dirne una, il 60% delle emissioni di CO2 sono generate dalla produzione di beni di largo consumo: questo ci da l’idea che se riuscissi a cambiare il prodotto potresti cambiare anche il mondo. Non c’è niente da fare se non fare del prodotto migliore un prodotto sostenibile. 

a cura di Flavia Previtera
allieva del Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico del Gambero Rosso

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