L’impatto è straniante. Ve lo immaginate di mangiare un trancio di sgombro tra le cosce del Nudo Sdraiato di Modigliani? O di piluccare del salame dal culo del Gallo di Picasso? L’esperienza è decisamente “emozionante”, nel senso che scatena discordanti e simultanee emozioni: il primo approccio (almeno per chi è abituato a vederne di tutti i colori e a dover selezionare il semplicemente kitch dal provocatorio ai limiti del food porn) rischia di essere abbastanza snob. Si scatenano diverse emozioni, di ripulsa e di curiosità. alla fine, però vince la piacevolezza di poter distendere la vista e di avere davanti un appetitoso trancio di sgombro e sullo sfondo il rassicurante e ammiccante richiamo della donna di Modì.
Progetto mainstraming
Ma di cosa stiamo parlando? Di un progetto con cui un prof ceramista di Macerata ha deciso di intraprendere il viaggio aperto nella corrente del comune sentire quotidiano, esponendosi a critiche e a ignoranze varie pur di «portare l’arte sulla bocca di tutti. E cosa la porta più in bocca, se non un piatto?» sorride Paolo Nannini. Lui insegna all’Accademia di Belle Arti di Macerata e ha realizzato – attraverso l’amicizia con il collega Leonardo Melatini, docente all’Alberghiero di Sant’Elpidio a Mare (Fermo) – una serie di piatti-opere d’arte dedicati ai ragazzi che studiano da cuochi per poterli utilizzare al concorso Assaggi di Fine Anno organizzato da Pandolea – Donne dell’Olio e tenutosi nelle cucine della Città del gusto di Roma il 20 marzo scorso. Il ceramista marchigiano ha perso tutto nell’ultimo terremoto che ha devastato l’Italia Centrale: la sua casa-laboratorio nel Parco dei Monti Sibillini, a Monte San Martino, è stata distrutta e con essa il lavoro di trent’anni di vita e la scuola dove gli studenti dell’Accademia andavano ad approfondire i loro esperimenti.
Tra Accademia d’Arte e Alberghiero
«Lì è nato questo ultimo progetto didattico con l’obiettivo di portare l’arte a tutti, di suscitare in ogni individuo una domanda sull’arte – spiega il prof che ora vive in un b&b nella vicina Amandola – e con lo scopo di stimolare i miei allievi ad analizzare, studiare, passare ai raggi X le opere d’arte che studiano a scuola per poterle poi adattare e riprodurre sulle diverse forme dei piatti. Chi mangia, invece, o fa un ripasso delle sue nozioni di pittura, o si gode l’opera, o se non la conosce chiede di cosa si tratti. Ecco, questo mi interessa: che ciascuno abbia una reazione, che chi non sa arrivi a fare una domanda!»
La prova al ristorante
In effetti, non è facile scegliere un’opera da riprodurre e valutare se sia adattabile o meno alla forma di un piatto. «Già – sorride Nannini – e non è facile neppure decidere come fare un piatto! Per questo da due anni collaboro con Alberto Rastelletti (cuoco da Ninetta di Sanseverino Marche) che mi ha introdotto alle diverse forme dei piatti da ristorante (compresi quei particolari e scenografici cappelli di prete, fondine con larghe falde modulate in vari modi) e che sperimenta quotidianamente le creazioni dei miei studenti utilizzando come cavie i suoi ospiti». Che ci sia un rischio di eccessiva volgarizzazione delle opere d’arte prese in prestito per servire salami e fettuccine? «Ma no. Il fatto che a volte sembri un’operazione “volgare” indica che la mission è raggiunta! Io voglio arrivare sulle bocche di tutti, voglio che anche chi non ha mai visto un’opera di Mark Kostabi si chiede cosa sia quell’affare lì! Voglio arrivare al volgo, dunque un po’ di “volgarità” è anche necessaria. Inoltre, per i miei ragazzi è un’esercitazione fantastica».
Cultura o food porn?
Dunque, l’arte come mezzo di crescita: del resto, quale altro è il suo scopo? Ah, sì… quello di far nascere domande. E non è anche questa, appunto, una mission raggiunta!? Per altro, anche nel cuoco e non solo nel commensale, nasce una domanda: quale forma, quale cibo, avvicinare al cappello della Jeanne Hébuterne di Modigliani? O collocare nella Stanza di Van Gogh?