Passano gli anni, cambiano le esigenze della comunicazione e del mercato, ma Benvenuto Brunello resta un appuntamento imprescindibile nel calendario delle Anteprime italiane. Per la sostanza ancor prima che per la forma: il Chiostro del Museo di Montalcino è davvero quella “splendida cornice” costantemente evocata dai comunicati stampa, l’organizzazione e il servizio sono sempre all’altezza del blasone di una delle denominazioni italiane più amate nel mondo e più in salute, vendite e prezzi degli sfusi alla mano. Ma soprattutto non c’è occasione migliore per confrontarsi con i vini di questo distretto in un’ottica davvero collettiva, con oltre centoventi aziende in degustazione e tante iniziative collaterali coordinate da uno staff giovane e preparato come quello del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino.
Un’edizione che probabilmente non passerà alla storia per quel che riguarda il livello medio e le punte dei vini testati, specialmente sul fronte Brunello, chiamati a fare i conti con due millesimi complicati, anche se per motivi opposti. I primi assaggi ufficiali della vendemmia 2009 hanno confermato l’imprinting di una strana e controversa annata calda, condizionata da un’estate torrida, da lunghi periodi con venti di scirocco e precipitazioni a carattere temporalesco a ridosso della raccolta. Raccontata da un’ampia serie di vini poco articolati e a volte stanchi sul piano aromatico, un po’ troppo asciugati nel frutto e nella trama tannica, mancanti di fittezza ed energia. Le eccezioni come sempre non mancano, ma a differenza di quanto registrato in altre annate “tropicali” (come per esempio la 2007), non è facile isolare dei versanti o delle zone che hanno risposto con maggiore efficacia. Più che le esposizioni, i terreni o le altitudini, ci sembra che abbiano potuto fare la differenza le “interpretazioni”, nel lavoro di vigna ma soprattutto in cantina. Chi ha scelto la strada della delicatezza nelle estrazioni e negli affinamenti, è spesso riuscito a plasmare dei Brunello di stampo “gourmand”, non particolarmente complessi e profondi ma coerenti e proporzionati, accessibili fin dai prossimi mesi. Fuligni, Gianni Brunelli – Le Chiuse di Sotto, Lambardi, Salvioni e il Vecchie Vigne de Le Ragnaie ci sembrano in questa fase i 2009 più “completi”, ma indicazioni più che confortanti arrivano anche da quelli di Canalicchio di Sopra, Caprili, Castello Romitorio, Le Chiuse, Il Poggione, La Gerla, Vigna Manapetra de La Lecciaia, Vigna Spuntali di Val di Suga, Vigna Loreto di Mastrojanni, Sanlorenzo.
Millesimo completamente differente il 2008, più fresco e piovoso, che non ha scoraggiato un gruppo significativo di aziende nella produzione delle loro Riserve e selezioni. Sono vini che tuttavia poco sembrano aggiungere in rapporto ai rispettivi “base” monitorati nell’ultimo anno: nella media prevalgono sensazioni crude e immature, abbinate a sorsi diluiti e “insipidi”. È pur vero, però, che i migliori hanno quella scintilla che spesso manca nelle due annate vicine e lasciano immaginare interessanti prospettive di crescita in bottiglia, almeno nel medio raggio: le Riserve di Ucccelliera e La Lecciaia sembrano avere le carte in regola per porsi nella scia dei magnifici 2008 de Le Chiuse, Madonna delle Grazie de Il Marroneto, Le Potazzine, ancora più convincenti nel riassaggio ad un anno di distanza.
Un’ultima nota sui Rosso di Montalcino, tipologia che cresce a ritmi elevati di anno in anno in termini di livello medio e carattere. Per troppo tempo considerata, con la stessa complicità dei produttori, come una “seconda scelta” del Brunello più che come un vino con una sua precisa identità, meriterebbe oggi ulteriore attenzione da parte di critici e operatori. Perché in generale costano il giusto e mettono in mostra una vitalità, una versatilità gastronomica, una brillantezza di beva che spesso mancano ai Brunello pari annata, specialmente in millesimi caldi e capricciosi. Restando per esempio sulla 2009, per noi non sono poche le aziende ilcinesi che hanno proposto dei Rosso più convincenti dei rispettivi Brunello. Uno scenario che potrebbe ripetersi in millesimi come 2012 e 2011, da cui provenivano tutti i Rosso di Montalcino assaggiati nell’ultima rassegna. Sono vini golosi e polputi, a volte fin troppo generosi nell’apporto alcolico, ma destinati a fare pienamente il loro dovere a tavola e, nelle migliori riuscite, a evolvere con autorevolezza in bottiglia. Tra i 2012 nota di merito per quelli di Collelceto, Le Potazzine, Citille di Sopra, Fattoi, Sesti, mentre l’Ignaccio de Il Marroneto è un 2011 da non lasciarsi scappare.
a cura di Paolo De Cristofaro