Si chiama E.A.T. Educazione Alimentare Teenagers il progetto della Fondazione del Gruppo Ospedaliero San Donato che applica una strategia integrata di prevenzione degli stili di vita sbagliati negli adolescenti. Esiste una concreta emergenza: obesità e sovrappeso interessano oltre 40% della popolazione adulta italiana, poco meno nella fascia di età scolare in cui si riscontra un'incidenza allarmante di diabete di tipo 2, quello legato ad alimentazione e stile di vita. L'obiettivo di E.A.T. è correggere le cattive abitudini alimentari, incentivare l'attività fisica, sviluppare un rapporto più sano e consapevole nei confronti del cibo. Non solo: E.A.T. può essere considerato un progetto pilota per sviluppare un protocollo di educazione alimentare efficace e facilmente replicabile, che costituisca la base di un percorso formativo per gli insegnanti, attualmente assente.
Il progetto, guidato dal prof. Alexis Malavazos, nasce a dicembre 2008, e coinvolge ragazzi di seconda e terza media per almeno due anni consecutivi. “A quell'età i ragazzi vogliono sentirsi protagonisti, possono influenzare i più piccoli e incidere nelle abitudini familiari. Riteniamo si crei una contaminazione virtuosa anche fuori dalla scuola” ci dice il prof.Malavazos, che aggiunge “i risultati rimangono anche dopo la fine del programma”.
Attualmente il programma prevede 4-5 lezioni frontali sostenute da una didattica interattiva, educational wall, poster e materiale informativo nelle scuole, un libretto di testo, questionari e un piccolo ricettario, il monitoraggio dei ragazzi durante l'anno scolastico, l'assegnazione di un contapassi (secondo Save the Children in Italia un bambino su 4 non fa sport) e di una borraccia per stimolare il consumo di acqua corrente, l'apporto i social network, e di sms inviati a una parte dei genitori e ragazzi con messaggi forti che invitano a camminare, mangiare frutta e altre buone pratiche, così da valutarne l'efficacia. “Perché non si potrà fare sempre tutto questo”.
Fondamentale è la bonifica dell'ambiente scolastico con distributori automatici di prodotti sani, e a prezzi contenuti. “La teoria vale poco se poi non si dà la possibilità di mangiare bene”, quindi sì a frutta e verdura, biscotti con fibre yogurt senza aggiunte di additivi, crostatine con burro bio e composta con poco zucchero, cioccolata di alta qualità. Ma con realismo: a molti non va di sbucciare e preparare frutta e verdura, così insieme alle mele intere c'è la frutta già tagliata, la macedonia e il pinzimonio. I risultati? A fronte di prodotti freschi facilmente deperibili, lo scarto è minimo. Il rifornimento è quotidiano o tre vole a settimana.
Quali sono state le difficoltà? “Abbiamo trovato tantissimi ostacoli e ricevuto anche delle minacce”. Il posizionamento e il rifornimento dei distributori automatici è in mano alle società di vending, che guadagnano in base al ricarico sui prodotti a cui si deve togliere il costo dell'affitto del suolo. L'interesse di queste società non sta in cosa viene venduto ma in quale è il margine. È esagerato parlare di lobby? “Ci si avvicina molto. Alcune fanno cartello e hanno legami strettissimi con le grandi aziende. Loro hanno la logistica ma non le competenze specifiche in termini di nutrizionismo e alimentazione, al punto che vedono come garanzia di qualità il grande brand commerciale. Senza riconoscere che le aziende, soprattutto se fanno prezzi stracciati, inevitabilmente risparmiano sulla qualità degli ingredienti”.
Un passo importante è stato studiare contratti su misura che definiscono rigidamente i parametri dei prodotti in vendita: la percentuale di fibre, l'indice glicemico, il livello di sale e la qualità dell'olio contenuto. “Sono contratti blindati per garantire continuità nella selezione ed eliminare il rischio di trovarsi, poco dopo, di nuovo con forniture di junk food: i distributori automatici sono i primi canali di vendita di cibo-spazzatura”.
Ma questa iniziativa è economicamente sostenibile? “Abbiamo chiamato economisti della Bocconi a valutare la validità, anche a lungo termine, del progetto. L'azienda di vending che partecipa guadagna, meno, ma guadagna. Infatti le aree bonificate aumentano: in un week end abbiamo sostituito 15 distributori all'ortopedico Galeazzi, entrati a regime economico in un mese e mezzo”.
Per l'Expo il progetto E.A.T. interesserà più di 6000 ragazzi di 5 plessi scolastici, con una spesa di circa 50-60 mila euro l'anno. Ma chi la sostiene? “La Fondazione San Donato che ha messo a disposizione i suoi nutrizionisti; quindi le spese vive sono quelle dei materiali: contapassi, borraccia e materiale didattico che traduce in termini comprensibili la letteratura scientifica internazionale”. Naturalmente ci sono gli sponsor: Eni, Sanofi e partner minori come Sigi, Evs, Cda, Oregon Scientific e R.M. Service. Ma non c'è il sostegno dei Ministeri dell'Agricoltura e della Salute, come mai? “Siamo monitorati dal Comitato Tecnico e Scientifico Scuola per Expo 2015 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Abbiamo il patrocinio, tra gli altri, di Expo 2015, Provincia di Milano, Coldiretti/Campagna Amica. Ma non riceviamo soldi dal Ministero perché è fondamentale che E.A.T. abbia continuità e non dipenda dall'erogazione di fondi, che potrebbero essere interrotti all'improvviso. Così com'è ora è strutturato e autosufficiente, quindi potenzialmente duraturo. Non si dà solo la frutta ai ragazzi, si vuole educarli e codificare un metodo”. Obiettivo che coincide con l'Expo, anche se il programma continuerà oltre quella data, per questo già nel 2011 sono state scritte le linee guida di educazione alimentare nelle scuole. “Attualmente l'Expo è un contenitore, bisogna metterci dentro i contenuti, noi come Comitato Scuola per Expo, possiamo fornirli. Porteremo al Padiglione Italia i dati di questo progetto come esempio di educazione alimentare italiana, che punta su varietà qualità e sicurezza alimentare”.
Ma è necessario anche un ripensamento del sistema scolastico che contempli l'educazione fisica come elemento primario del sistema scolastico “perché due ore a settimana sono pochissime (in Giappone è un'ora al giorno), è necessario prima di tutto cambiare mentalità” continua il prof. Malavazos “bisogna coinvolgere nel progetto edilizio delle nuove scuole anche un nutrizionista che suggerisca come disegnare spazi e aree ricreative accessibili, e inserire zone dove erogare cibo sano”. E anche se da noi i ragazzi non mangiano sempre a scuola bisogna tener presente l'esempio delle mense virtuose, per esempio quelle ospedaliere del gruppo San Donato dove si trovano i prodotti della filiera italiana di Coldiretti: “bisogna cambiare il sistema della ristorazione aziendale e dare più importanza, negli appalti, al livello qualitativo, non solo ai prezzi!”
Ci sono molte richieste da parte di istituti scolastici, che a oggi possono avere materiale didattico e sostegno per creare un ambiente salubre: i contatti con Coldiretti, i modelli di contratto, le campagne di comunicazione efficace, tra cui la nuova icona del piatto In Forma, con l'aggiunta di cereali integrali e legumi, che sostituisce la piramide alimentare.
“I ragazzi sono martellati da immagini ed esempi negativi e noi non possiamo certo competere con i mezzi dei grandi marchi di junk food, ma possiamo intervenire in modo più diretto, trasferendo una cultura che non hanno, facendo conoscere l'origine dei cibi, il loro valore”. Per esempio? Spiegare che una bibita in lattina contiene le stesse calorie di un piatto di pasta, ma non le stesse proprietà nutrizionali, e che l'assunzione di calorie liquide comporta all'esigenza di cibo solido, che i nostri recettori dello zucchero e del sale sono stimolati da prodotti industriali studiati appositamente per indurre al consumo eccessivo. Una volta conosciute le dinamiche i ragazzi hanno gli strumenti e l'interesse per cambiare le proprie abitudini, anche a casa grazie a un libretto di ricette. Si riuniscono in gruppo per cucinare e documentare con materiali audio e video, come fossero compiti a casa, aumentando la conoscenza e la consapevolezza riguardo al cibo. Perché avere dei comportamenti sani non sia visto come una cosa da sfigati, ma diventi cool, così è stato coinvolto il gruppo rap Club Dogo che, come punto di riferimento per gli adolescenti, può sostenere modelli alimentari positivi.
Perché la cultura è contagiosa, soprattutto se diventa di moda.
www.grupposandonato.it/progettoEAT
a cura di Antonella De Santis