Stati Uniti d'America, anno 2014: sembra un paradosso, ma gli effetti del Proibizionismo che dal 1920 al 1933 comportarono il divieto di produrre, di distribuire e di vendere gli alcolici, vino compreso, resistono tuttora. La cultura e la mentalità proibizionista presente in ampi strati della società americana, non sono mai cessate completamente.
E così se in alcuni Stati l’accesso agli alcolici è più friendly, in molti altri, esistono leggi, eredità di quel passato, che ancora oggi limitano il consumo e l’acquisto di vino e di alcolici in genere. Un paradosso visto che il contesto sociale, economico e culturale, rispetto agli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, è radicalmente cambiato. Non solo: qualsiasi Paese esportatore di vino del mondo, vede il mercato statunitense come un punto di riferimento obbligato per capacità e dimensione della spesa oltre che per qualità della domanda.
L’America è un grande mercato
Attualmente più del 16% del consumo mondiale di vino è appannaggio degli Stati Uniti rispetto ai 15 % della Francia, al 13,6% dell’Italia, all'11,95% della Germania. Il 72% del vino consumato dagli americani proviene dal Paese. D’altra parte gli Usa, dopo Italia, Francia e Spagna, sono il quarto paese produttore del mondo (90% in California) e il più grande fuori della UE. I primi ad essere penalizzati da queste limitazioni sono gli stessi consumatori americani i quali a secondo dello Stato in cui vivono, sono sottoposti a delle rigide prescrizioni che vanno dal divieto di farsi spedire il vino a casa all’impossibilità di acquistarlo nei negozi di alimentari o non di domenica e così via. Già perché ogni Stato ha una propria autonoma legislazione in materia e ciò vuol dire 50 modi diversi quanti sono gli Stati dell’Unione - di affrontare il problema.
Come funziona il sistema
Generalmente il vino si può consumare al ristorante oppure si può acquistare in enoteca o nelle cantine, mentre i ristoratori e gli enotecari possono comprarlo solo da distributori domiciliati nello Stato. L’importatore, a sua volta, non può vendere direttamente né ai consumatori né ai ristoratori né agli enotecari, ma solo ai distributori. Le vendite di vino via Internet sono un campo in evoluzione - riguarda soprattutto le enoteche di alcuni Stati dove vengono tollerate - ma in ogni caso sono inibite sia agli importatori sia ai distributori. Il sito Wine-Searcher, per esempio, ha in lista quasi 950 New York Wine Stores dove si possono trovare e ordinare i vini. Da qualche tempo poi i produttori di vino di New York State, possono vendere le proprie bottiglie anche sulle strade vicine alla propria azienda e ai propri vigneti e lo stesso si apprestano a fare anche i loro colleghi di Long Island.
Tre passaggi obbligati: un imbuto
Questi paletti alle vendite e al commercio naturalmente influiscono sulle importazioni. Infatti prima che una bottiglia di vino (italiano, francese, spagnolo, ecc.) riesca ad arrivare dalla cantina produttrice al consumatore finale, è costretta ad almeno tre passaggi obbligati: l’importatore, il distributore ed infine il retailer.
Naturalmente i passaggi ogni volta fanno lievitare i costi (tasse, trasporti, magazzinaggio, ecc.) in modo tale - si tratta di 3,5 o 4 volte il prezzo di partenza – da comprimere i consumi. Consumi che nel caso di un euro forte rispetto al dollaro, vengono ulteriormente rallentati.
La strozzatura più evidente del sistema americano sta proprio nella distribuzione che negli ultimi anni ha subito una concentrazione, dando vita a dei veri e propri colossi del settore. Secondo le stime di Leonardo Lo Cascio, presidente e fondatore della Winebow Inc, società specializzata nell’importazione e distribuzione sia di vini italiani che di tutto il mondo, negli anni Novanta i grossisti erano circa 7 mila a fronte di 400 mila retailers di vario tipo (ristoratori, ecc.). Nel 2010 i grossisti erano rimasti appena in 700 a fronte di 550 mila retailers. Da soli, i Top 5 di questi 700 rappresentano il 48% del volume di affari mentre gli altri 695 si dividono il 52%. Nel caso di queste grandi imprese c’è da dire che l’attenzione è più che altro rivolta ai liquori e molto meno al vino. Considerando l’allargamento del mercato al vino di paesi quali la Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Argentina, di cui è necessario avere conoscenza, spesso la professionalità degli addetti è assai carente.
In base alle attuali leggi in vigore, 18 Stati hanno il monopolio sui superalcolici, cinque il monopolio sul vino mentre 26 si affidano al franchising. In questo ultimo caso, non si può cambiare distributore senza ottenerne prima l’assenso dallo stesso. Sempre in conseguenza di queste leggi, Stati come New York, New Jersey e Massachussets, non permettono licenze multiple o vendite nei supermercati. Inoltre i termini di pagamento sono assai rigidi non solo per garantire chi vende ma anche per limitare i consumi. Insomma una filiera lunga e onerosa, assai diversa da quella europea.
Le catene dei supermercati hanno selezioni limitate di vino, con buyer poco portati alle novità, con preferenze spiccate per i brand più noti e per i varietali. I buyers inoltre sono sottoposti a rapidi turn over per evitare tentazioni di indebiti accordi con i fornitori.
Nella prossima puntata la situazione stato per Stato secondo lo studio effettuato dall’American Wine Consumer Coalition (AWCC) la nascente lobby che difende i diritti dei consumatori.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 9 gennaio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. E' gratis, basta cliccare qui.