) dimostra nei numeri di essere riuscito a reggere l'impatto del calo dei consumi, grazie a una forte vocazione all'export.
E dopo un 2010 in crescita del 5,3%, al 31 dicembre 2011, secondo i dati del Consorzio che Tre Bicchieri è in grado di anticipare, sono state rilasciate oltre 5,1 milioni di fascette con un +2,2% (pari a 38mila ettolitri, di cui 25% provenienti da uve biologiche). “Il dato più incoraggiante è la riduzione delle giacenze che sono pressoché nulle”, spiega Letizia Cesani, presidente del Consorzio di tutela e titolare di un'azienda a conduzione familiare (100mila bottiglie e fatturato da 400mila euro). “Un trend – aggiunge – dovuto alla preferenza del consumatore per i vini bianchi, soprattutto all'estero”. I 76 soci del Consorzio, il cui giro d'affari supera i 15 milioni di euro, esportano il 50% del prodotto, con Usa e Germania in primis: “Siamo presenti anche in Cina – tiene a sottolineare Cesani – dove la Vernaccia è il vino bianco italiano più conosciuto”.
Un Consorzio in salute, dicevamo, come emerge anche dal bilancio della vendemmia 2011 e dall'andamento dei prezzi: “La raccolta è aumentata, quindi siamo in netta controtendenza rispetto alla media nazionale, e i prezzi delle uve sono riusciti comunque a salire (ndr: 135 euro per ettolitro). Merito anche – afferma – del lavoro della Commissione prezzi, istituita due anni fa, che riunisce allo stesso tavolo produttori, imbottigliatori e intermediari per concordare i giusti prezzi della Vernaccia ed evitare pericolose speculazioni”.
Una strategia che ha dato i suoi frutti, visto che nessuno finora ha abbandonato il vigneto. Segno che coltivare Vernaccia conviene. Su questo punto la presidente Cesani lancia un messaggio chiaro: “Con l'aumento dei costi ci attendiamo prezzi più remunerativi, ma pur di salvaguardare la coltivazione potrebbe essere preferibile rinunciare a una parte dei margini”.
Nel frattempo, il 20% dei circa 800 ettari totali di Vernaccia deve essere sicuramente reimpiantato: “Lo faremo nei prossimi dieci anni”, dice Cesani, fiduciosa nella spinta agli investimenti che verrà dagli undici nuovi cloni recentemente omologati, dopo decenni di sperimentazioni con l'Università di Firenze. “Dopo aver codificato il Dna del vitigno Vernaccia è allo studio una convenzione con l'Università di Siena che consenta ai viticoltori di certificare, attraverso l'analisi del Dna, e a prezzi sostenibili, le barbatelle di Vernaccia prima del rinnovo degli impianti”.
Ma c'è di più: “Anche nel vino è possibile individuare e riconoscere lo stesso Dna dell'uva come avete scritto su Tre Bicchieri di qualche mese fa”. I risultati di questo lavoro di ricerca saranno presentati al prossimo Vinitaly. Ma occorrerà superare le molte diffidenze e i contrasti già emersi negli ambienti scientifici su questo innovativo sistema di certificazione. E sarà proprio questa la sfida più grande.
di Gianluca Atzeni
09/02/2012