ilmente esclusivi. Uno dei primi a portare l'alta cucina fuori dai recinti consueti desacralizzandola in happening “no noia” è stato Alexandre Cammas, il quarantenne critico gastronomico francese che ha decretato la fortuna planetaria del termine Fooding sulla scia del movimento più cool del momento. La ricetta? Mettere insieme chef superstellati o quantomeno famosi e mischiare i generi: musica arte cucina grafica moda design... Shakerare e servire. In genere funziona come nell'ultimo happening milanese (dopo quello parigino e newyorchese) dove la tribù dei fooding si è riversata in massa su “ set” di via Tortona assaggiando come in una sagra di paese i finger di René Redzepi, Massimo Bottura, Carlo Cracco, Aimo e Nadia, Davide Scabin, David Chang, Inaki Aiziparte....
Perché la cucina oggi ha così bisogno di eventi e di essere un evento?
«La comunicazione mediatica è utile per promuovere gli chef e gli artisti che amiamo. Avere tra noi chef di palazzo che cucinano piatti da strada è un modo per promuovere la loro filosofia. Ma i giganteschi picnic cucinati dagli chef star sono anche un altro modo per portare il cibo fuori dai ristoranti. Le performances di personaggi famosi come la cantante Neneh Cherry, per citarne solo una, ci hanno aiutato ad attirare l'attenzione. Si tratta di eventi in grado di cambiare i codici. Passo dopo passo, effimero dopo effimero, i codici infatti cambiano.
E come stanno cambiando questi codici, allora?
«La gente non va più al ristorante solo per la cucina. Ci va per vivere un'esperienza. I ristoratori non devono dimenticare che non sono lì solo per servire un cibo perfetto. Puoi trovare indimenticabile una pizza mangiata in un semplice pizza truck solo perché il pizzaiolo era divertente, i pomodori buoni e l'atmosfera chill, fresca e rilassata. Mentre magari ti lascia indifferente l'aragosta intinta nel burro servita su una tovaglia bianca immacolata. Questi codici sono ormai acquisiti».
Che cos'è gastronomicamente noioso?
«Dire noioso è come dire buono o cattivo. Ognuno ha la sua opinione. Per me la gastronomia è noiosa quando non è sincera. Il che include i posti alla moda e quelli che non accendono nessun feeling. In generale è noioso quel locale dove il ristoratore non è davvero interessato a dare piacere ai suoi clienti».
Per Cammas cos’è più noioso al ristorante?
«Ogni decoro che sia la brutta copia di qualcosa che esiste già. E qualsiasi chef che voglia dimostrare al mondo di essere un artista dimenticando che il cibo non è solo tecnica e geometria, ma anche umanità e semplice piacere. Aggiungo anche: qualsiasi ristorante disonesto che rimane fedele alle vecchie regole (che spesso fanno aumentare i prezzi per i clienti) solo per avere riconoscimenti e premi.
E cosa è più emozionante?
«Sincerità e senso. La sincerità può essere rinvenuta in una semplice torta di mele ma anche nella storia personale di uno chef. O in un posto dove non avresti mai pensato che...»
Quali sono i cuochi più divertenti e perché?
«Gli chef che non dimenticano che cucinare non è né una scienza né un'arte elitaria. Di conseguenza quelli che non si prendono troppo sul serio. Che sono abili a creare quello che vogliono rendendo il loro lavoro accessibile (intellettualmente, se non proprio economicamente) alla gente».
Facciamo una classifica parigina: quali sono per Cammas i luoghi del cuore, dove food e feeling si incontrano?
«L'Ami Jean, Le Chateaubriand, Le Caffé dei Cioppi»
Quali sono i criteri con cui giudicate un ristorante?
«Non abbiamo i cosiddetti criteri oggettivi, ci chiediamo solo se in quel ristorante vogliamo tornare oppure no. Questo è il criterio decisivo».
Perché la formula del neo bistrot è così amata?
«I neobistrot corrispondono al cinema indipendente: un oste che vuole farti vivere un'esperienza condividendo empaticamente con te la sua stessa passione. Camdeborde aprì La Regalade perché voleva cucinare per i suoi amici. Il prezzo è ovviamente un elemento di successo, ma l'autenticità e la qualità dell'esperienza sono il fattore determinante»
Quando un cuoco è veramente progressista?
«Gli chef e i proprietari dei neobistrot: ci fanno sognare molto più degli chef che aspirano ad avere una stella in più o si disperano se ne hanno una in meno».
Come si misura l'ispirazione di uno chef?
«Non saprei. Ma ciò che è certo è che alcuni chef con un ego smisurato sono più interessati a dare dimostrazioni tecniche che a trasmettere piacere ai clienti con la loro ispirazione».
Qual è lo spirito dei tempi? Gastronomicamente parlando che fase stiamo attraversando?
«Tutta l'arte è sempre stata attraversata da rotture nel passaggio dal classico al contemporaneo. Tutte, tranne la cucina. Negli ultimi tempi però anche la cucina sta consumando il suo Sessantotto. A partire dal riconoscimento dei desideri degli chef, dalla domanda di singolarità, curiosità, meticciato, eterogeneità e dal continuo riesame delle questioni. Purtroppo il blocco costituito dalla Michelin, la guida francese per antonomasia, ha fatto sì che siamo ancora e sempre interessati solo all'alta cucina. Almeno sin qui. Così a un'alta cucina se ne è sostituita un'altra: dopo la cucina borghese è arrivata la Nouvelle Cuisine, poi superata dalla cucina molecolare o scientifica che dir si voglia. Ma la vera rottura non è nel trasgredire i codici della haute cuisine per poi ricodificarla. No, il vero break è il ritorno alla libertà».
La fantasia al potere.... dove allora?
«A Le Fooding, chiaramente...»
La nazione gastronomicamente emergente?
«Il cibo non è per forza legato a un continente. Non c'è una nazione emergente sul piano gastronomico, ma gli chef della Scandinavia sono quelli da osservare con attenzione».
La nazione gastronomicamente più noiosa?
«Chi può dirlo...?»
Dopo Ferran Adrià chi è il genio oggi?
«Che cos'è un genio? È sempre la solita storia, non ha senso confrontare chef che provengono da diverse tradizioni, stili, luoghi. Questo è il motivo per credere poco, ad esempio, alle classifiche dei Migliori 50 ristoranti del mondo...»
Un piatto intramontabile?
«Il pollo arrosto, può essere divino, ovunque, in ogni occasione».
Lei cucina...?
«Ho la mia andouillette!»
Intervista di Raffaella Prandi
dicembre 2010