A Philadelphia, quasi due milioni di abitanti, il ragazzo che si affaccia al bancone chiede strascicando un «cheesesteak», a Monte di Procida, poco più di undicimila abitanti, un altro con una forte cadenza napoletana ordina «una cistecca» col pane nel cotto, grazie. Le due città distano, in linea d’aria, quasi 8mila chilometri eppure nel Novecento hanno condiviso un pezzo importante di storia. Italiana. Dal promontorio dei Campi Flegrei, la parte più estrema della penisola flegrea, come da altre parti d'Italia, all'inizio del secolo scorso decine e decine di italiani hanno lasciato le loro case per tentare la fortuna dall'altra parte del mondo. Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani, su nove milioni circa di emigranti che scelsero di attraversare l'Oceano verso le Americhe.

E durante il primo ventennio del Novecento, Monte di Procida, come tutte le piccole città costiere di provincia, offriva poco e niente. O si lavorava in nave, costretti a imbarcarsi con i grandi armatori dovendo stare mesi lontani dalle famiglie, oppure ci si impiegava nell'agricoltura locale (perlopiù grano e viti). Alla fine dell'Ottocento, in poco meno di dieci anni partirono centinaia di montesi alla ricerca di un lavoro e un futuro migliore. Diversi decenni dopo, negli anni Settanta, anche altri se ne andarono strozzati dalla crisi petrolifera. Ma alcuni di questi fecero ritorno a casa portando qualcosa con loro. Così dopo aver esportato nei ristoranti statunitensi lasagna, parmigiana, pastiera e polpette, dopo aver creato alcuni piatti iconici della cucina italo-americana come le fettuccine Alfredo e spaghetti and meatballs, chi tornava a Monte di Procida si portava dietro il ricordo di un panino con carne e cipolle fritte irrorato con quantità immorali di “cheeze whiz”, un formaggio giallissimo ritrovato della chimica che rimane cremoso anche a temperatura ambiente. Non sono ammesse variazioni per il cheesesteak. Almeno in terra statunitense, perché quegli stessi immigrati una volta tornati lo trasformarono in altro.

Caro vecchio cheesesteak
Iconico della Pennsylvania, nato a Philadelphia, il cheesesteak fa parte del corpus di leggende italo-americane che punteggiano la storia culinaria degli Stati Uniti. Nei primi anni Trenta i fratelli Pat e Henry Olivieri, stanchi di mangiare sempre hot dog che vendevano nel loro carretto nella zona dell’Italian Market, un’isola di solida immigrazione da generazioni, un giorno si preparano un panino con un pezzo di carne di manzo tagliata grossolanamente e delle cipolle fritte nel burro. Un camionista lo assaggia, gli piace e decreta che avrebbero dovuto venderlo, altro che hot dog. E così fanno. Iniziano a proporlo al mercato costruito dagli operai italiani immigrati. È un successo immediato. In breve tempo aprono il locale Pat’s King of Steak, che ancora oggi è un’istituzione cittadina.
Nessuno sa con certezza che taglio di carne avessero usato allora, ma di certo non era molto nobile: negli anni della Grande Depressione non circolavano molti pezzi pregiati, specialmente nei quartieri popolari di Philadelphia. Oggi le regole locali prescrivono di usare la Rib Eye. Più tardi è arrivato il formaggio. Il nipote di Harry, Frank Olivieri Jr, che ha rilevato il locale dopo la più classica delle faide familiari sull’eredità, sostiene che è stato aggiunto negli anni Quaranta. Inizialmente, in ottemperanza alla tradizione italo-americana, veniva usato il provolone, che anche oggi è l’unica alternativa accettabile.
Il test del panino più politico d'America
Sarebbe un peccato perdonabile se la Philly Cheesesteak fosse soltanto un panino, mentre ogni quattro anni diventa un test elettorale per i candidati che battono ossessivamente la Pennsylvania, uno degli stati spesso in bilico che è fondamentale conquistare per arrivare alla Casa Bianca. Tutti sono costretti a celebrare la liturgia gastronomica del luogo, cioè azzannare continuamente il cibo del popolo, avendo cura di non sbagliare formaggio. È il modo per dimostrare di essere sintonizzati sulle frequenze del demos. Kamala Harris ha eseguito il rituale elettoral-gastronomico lo scorso maggio, mentre Donald Trump ha fatto un passaggio l’anno scorso e aveva timbrato il cartellino anche nel 2016.

Cistecca, so italian
Qualche decennio dopo, arriva la grande crisi energetica del 1973, con il prezzo del petrolio che schizza alle stelle, le industrie collassano sotto il peso dei nuovi prezzi, il declino della marineria mercantile è inevitabile, inclusa quella montese. La crisi diede vita a un nuovo fenomeno migratorio, costringendo tanti cittadini locali a spostarsi in America in cerca di fortuna, seguendo l’esempio degli antenati che partirono da Monte di Procida nel secolo precedente. Quegli stessi migranti assaggiarono sicuramente il panino iconico della famiglia Olivieri, come avevano fatto i loro nonni nella prima metà del Novecento. Alcuni di loro tornarono qui un decennio dopo. E negli anni Ottanta il piccolo comune di Monte di Procida inizia a ripopolarsi. Nel 1984 i montesi Luigi Coppola, Ernesto Coppola e Luigi Guerrini, dopo una lunga gavetta negli Usa, si ritirano a Monte di Procida per aprire una paninoteca tutta loro: Chalet Sunrise. Sono i primi a servire la cheesesteak, inizialmente nella versione americana, poi in quella montesizzata, adattandola ai gusti e agli ingredienti locali. So italian.

Riprodurre il panino non è stato semplice. Sono stati interpellati i migliori macellai della zona alla ricerca del taglio di carne giusto per rendere il panino succoso, stessa cosa per il pane dalla forma allungata e ovoidale che venne studiato per mesi dai forni montesi. Oggi in tanti preparano i piccoli sfilatini morbidi, dalla mollica tenera, che una volta scaldati diventano croccanti il giusto. All'interno carne bovina, soprattutto straccetti tagliata a dadini sottili, e scamorza filante. Non c'è voluto molto tempo a capire che era troppo poco italiano. E infatti oggi la cistecca è un ventaglio di aggiunte e varianti: friarielli ripassati, funghi e peperoni, melanzane a funghetto, zucchine alla scapece, a volte patatine fritte, altre con l'aggiunta di sottiletta.
I montesi vanno orgogliosi del loro panino. Per qualche anno è stato organizzato anche il “Festival della Cistecca”, dove era possibile assaggiare decine di varianti. Nel 2014 macellai, panettieri, ristoratori hanno creato il Consorzio della Cistecca Montese per tutelarne la ricetta. Certo, ad alcuni non piace che si dica che la cistecca è l'erede della cheesesteak, ammonendola come figlia minore del panino d'America. Tutt'altro, il panino rappresenta una storia incredibile e molto più grande fatta di migrazione e contaminazione. Il legame innegabilmente c'è, entrambi sono da provare.