Attualmente segue più di 20 ristoranti, nei quali lavorano circa 700 dipendenti (tenendo conto anche dei ristoranti all'estero e le varie collaborazioni), è lo chef più stellato d'Italia, è Enrico Bartolini. Lo abbiamo intervistato su alcuni argomenti molto in voga di questi tempi, quali la crisi del fine dining, il burnout, la difficoltà di reperire personale. Non ama rilasciare interviste, evita come la peste le polemiche e si è lasciato sfuggire il nuovo progetto a Roma.
Il fine dining è in crisi?
È nato pochi anni fa e ora prende le misure per essere e continuare a essere l'haute couture del settore. E tra l'altro, l'alta moda in proporzione va peggio dell'alta ristorazione, eppure se leggo i giornali o i commenti nei vari social sembra che la seconda sia spacciata.
Non è così?
Credo sia più che altro una polemica mediatica anche perché, ammesso che ci sia un po' di flessione nel settore, questo non ricade sulla qualità dell'offerta, non in una determinata fascia di ristorazione, quella che oltre a far da mangiare, fa cultura. I ristoranti fine dining sono attività commerciali che non garantiscono una grande marginalità, questo è vero, ma non vedo la disgrazia dietro l'angolo. Certo, ci sono tanti fattori che vanno considerati, ma se se ne parla in maniera drammatica non si fa altro che peggiorare la situazione.
Fare/essere chef è un mestiere a rischio burnout?
Come tutti i mestieri. Le amicizie, i risultati, le aspettative l’approccio psicologico condizionano la carriera e anche l’esistenza. Spesso i difetti di alcuni sono i pregi di altri. Chi è in difficoltà va aiutato, questo è quello che vorrei succedesse sempre, piuttosto che celebrare qualcuno che non ce l'ha fatta o non ce la fa più come prima.
Come si aiuta chi è a rischio burnout a causa del lavoro nelle cucine?
In un paese civile come il nostro non credo dovremmo essere noi ristoratori ad affrontare una tematica così delicata, o se si reputa debba essere così allora che sia il governo a darci indicazioni in merito. È necessario avere uno psicologo in un'azienda con oltre venticinque dipendenti? Se sì, che sia un obbligo per legge. Dovrebbero esserci delle regole che favoriscano le imprese a capire quali sono gli strumenti giusti per affrontare determinate tematiche, non facciamo ricadere la decisione sul singolo. Che poi si fa a gara tra chi ce l'ha più lungo...
È difficile trovare personale oggi?
Più difficile, sappiamo che molti ex del settore e molti giovani fanno scelte di vita diverse dall’impegno del ristorante che nonostante sia evoluto, migliorato e cambiato tanto rispetto anni fa, richiede comunque ancora un coinvolgimento (al di là degli orari) piuttosto totalizzante. Detto questo sono a capo di un gruppo numerosi di ragazze e ragazzi competenti, appassionati e ambiziosi e ne sono orgoglioso: vivo costantemente in debito nei loro confronti perché so che danno tanto e non so se restituisco loro abbastanza.

Come convincere un giovane a intraprendere questa carriera?
I giovani vogliono essere accolti e guidati. Oggi non mi preoccupa il burnout per questi ragazzi, mi preoccupa di più un giovane che a venticinque anni si sente un fallito perché non trova la propria strada. Questo mi preoccupa.
Come seleziona i suoi dipendenti?
Spesso tramite passa parola o candidature spontanee. Le scuole e le accademie hanno un ruolo importante.
Come se lo spiega il gender gap evidente che c'è in questo settore?
Se ne parla molto, io guardo la qualità e cerco di assortire le squadre. Non è facile scegliere il genere quando si cerca un dipendente.
Girano meno soldi da investire in una cena al ristorante?
Molte famiglie danno giustamente priorità ad altro. Anche se oggi non sembra sia solo una questione di denaro, ma piuttosto di desiderio. I ristoranti sono costosi da sostenere e quindi il cliente paga cifre importanti, ma nulla rispetto al mondo della moda, del real estate o altre categorie.
Come scongiurare la noia al ristorante?
Andandoci con amici o familiari più simpatici. La compagnia fa tanto.
È solo una questione di “cattiva compagnia” a tavola?
Esistono dei ristoranti dove capita di annoiarsi perché la cucina non è saporita o il servizio ha delle pecche, menomale che c'è Cannavacciuolo che li mette in riga (ride, ndr). Scherzi a parte, in tutti i settori ci sono alcuni operatori che credono di fare bene ma non lo fanno, ma, anche in questo caso, se si parla solo degli esempi negativi, si rischia di gettare fango anche su chi lavora bene. Lo trovo, per l'intera categoria di cui faccio parte, denigrante.
Quanto deve durare una cena?
La permanenza a tavola oggi mediamente è diminuita, potrei rispondervi che una cena dovrebbe durare due ore ma ci sono troppe variabili per dare una tempistica precisa, da un eventuale pairing alla curiosità del commensale che magari fa qualche domanda in più. Ad ogni modo penso che l'esperienza a tavola sia un cerimoniale e chi non lo ama, non va nei due o tre stelle.
Progetti futuri?
A Roma c'è un progetto che vedrà luce nel 2026.
Qualche anticipazione?
Sarà in una terrazza all'ultimo piano di un palazzo che cambia destinazione d'uso e il team ha tutti gli strumenti per fare bene.