Georgia, terra di grande tradizione enologica. Lo sa bene Josko Gravner che tanti anni fa ne prese spunto iniziando a produrre vino in anfora, i famosi qvevri che hanno ispirato la produzione di molti, vera svolta 'filosofica' nel settore. Un territorio in cui è raro che si brindi senza vino. Ma si può mai ridurre un paese e la sua cultura enogastronomica semplicemente a questo? Sarebbe tanto riduttivo quanto ingeneroso, oltre che sbagliato. Basterebbe pensare a qualche pezzo forte del repertorio culinario georgiano. Come i khink’ali, dei ravioli tanto prelibati da conquistare chi li assaggia anche al di fuori dei confini nazionali.
Cosa sono i khink’ali?
Forse in pochi li conoscono. Sarà che qualcuno li confonde con altre preparazioni, apparentemente simili. Identificano un tipo di pasta ripiena diffusa in gran parte del territorio caucasico (ne esiste una versione armena altrettanto squisita). Costituiscono una delle preparazioni tipiche della Supra georgiana, il banchetto tradizionale che si svolge sulla base di determinate regole e riti identitari, con una persona incaricata della gestione della tavola, fra brindisi e intrattenimento. Vera corsa al cibo e all’alcol, una sorta di maratona in cui è previsto che si beva il vino in un colpo solo, senza sorseggiare. I khink’ali accompagnano quindi soprattutto i giorni di festa. Dei fagottini ripieni di carne che si mangiano solitamente in attimi di estrema condivisione, quelli che in linea con i costumi locali dovrebbero rendere orgoglioso il padrone di casa.
Escludendo le varianti vegetariane a base di patate, funghi e formaggio, sono solitamente fatti con carne mista, che viene inserita nel ritaglio di pasta a forma di disco cruda. Il macinato di agnello, maiale e manzo è esaltato poi da cipolla, spezie ed erbe aromatiche (cumino, pepe, peperoncino, prezzemolo o coriandolo). Una farcia ricchissima, perfetta per attutire i fiumi di vino che possono segnare la ritualità collettiva. Motivo per cui pietanze tanto caloriche diventano una componente essenziale della cerimonia. Peraltro qui si conserva una buona abitudine: non si brinda mai a stomaco vuoto.
Khink’ali vs Baozi
L’aspetto può tradire: ricordano il famosissimo Baozi, il paninetto cinese che ormai troviamo ovunque, propinato a destra e a manca. Come per altri piatti della cucina georgiana, si guarda a un ricettario frutto dello scambio eurasiatico e dell’influenza che in quell’area ebbe l’impero mongolo. Si può spiegare forse così la somiglianza. Le differenze fra i due comunque non sono trascurabili. Innanzitutto, quelli georgiani si preparano con un impasto basilare di acqua e farina, mentre i secondi pure con alcuni grassi e lievito, aggiunta che richiede anche una fase di lievitazione. Per quanto riguarda la cottura invece, i khink’ali vengono tuffati nell’acqua bollente qualche minuto, una prassi che sentiamo un po’ nostra, viste tutte le tipologie di pasta ripiena che cuciniamo in questo modo — tranne i tortellini — e che rendono vario il registro culinario dello Stivale. Per contro, nel pieno rispetto dei dettami culinari cinesi, i baozi si cuociono esclusivamente al vapore.
A tavola
Si gustano rigorosamente con le mani. Non c'è niente da fare, bisogna accettare di sporcarsi le dita. Il tatto conferisce un che di carnale all’assaggio, quel rapporto stretto e diretto con il cibo tipico dello street food che ogni tanto manca. Diversamente, con l’uso delle posate si rischierebbe di perdere la succosità interna, sicuramente fra i tratti distintivi dello scrigno caucasico. Esplosione di sapore che viene preservata solo da un morso tra le dita. Un’azione elementare, vicina al gesto primordiale. Un po’ come tornare bambini.