Report ci riprova a rovinare le feste al vino italiano. Ad un anno dalla messa in onda della puntata Il piccolo chimico, in cui venivano messi sotto torchio gli enologi per l’uso di troppi additivi in cantina, la trasmissione di Raitre torna sotto Natale a confezionare una nuova inchiesta vitivinicola: Vino su misura. Stavolta a finire nel mirino sono i rossi toscani. D’altronde, lo scorso dicembre, Sigfrido Ranucci, nell’intervista del Gambero Rosso, lo aveva in qualche modo (un modo tutto suo, che aveva fatto sghignazzare gli intenditori) preannunciato: «Io sfido i degustatori a trovare tutta questa differenza tra una bottiglia di Primitivo - parlo di un marchio conosciuto e pure abbastanza buono - e il Sassicaia: forse qualcosa di simile dentro c’è. Ma torneremo sull’argomento in modo più dettagliato». Promessa mantenuta (e con un certo tempismo!).
Nel mirino le più blasonate cantine toscane
È proprio a Bolgheri che si reca l’inviato Emanuele Bellano. La premessa è sempre la stessa che avevamo visto nelle inchieste precedenti: ci sono partite di vino sfuso che da Marche, Abruzzo, Puglia e Sicilia arrivano in Toscana, dove grazie all’intervento di correttivi e documenti ad hoc, finiscono per essere trasformati in Chianti Docg, Chianti Classico, Toscana Igt e perfino Supertuscan.
La prova? I documenti consegnati da una fonte anonima al giornalista di Raitre, in cui si evincono compravendite di vino sfuso da fuori regione da parte di Cantine Borghi, società di Scandicci (Firenze). Cosa ne fa? Si chiede l’inviato Emanuele Bellano e lo chiede allo stesso Mario Borghi, che però preferisce non rispondere. Dai documenti viene fuori che la suddetta società abbia venduto vino a grandi nomi, come Ornellaia (si deve, però, andare indietro di dieci anni, al 2015), Tenuta San Guido, Barone Ricasoli, Ruffino, Luigi Cecchi, Folonari, Rocca delle Macìe. E chi più ne ha più ne metta. Si aggiunga che viene tirata dentro anche una terza società - la Vedovato, con sede in Veneto - che all'occasione sarebbe pronta a ricreare in laboratorio qualunque vino si voglia (peccato che anche i sommelier incaricati di affrontare la prova degustazione per conto della trasmissione di Raitre appaiano poco convinti del risultato), ma tanto basta per per creare quel sensazionalismo - vino sfuso, prodotto da laboratorio e grandi cantine - secondo i canoni a cui ci ha abituato Report.
Il caso di Cantine Borghi
Non si fa tuttavia chiarezza su un punto: le suddette aziende, se davvero hanno comprato vino da Borghi – e sarebbe da verificare la destinazione finale nell’ambito dei vini aziendali – erano a conoscenza che quel vino non fosse toscano? Perché in quel caso sì, ci sarebbe un illecito da parte loro rispetto ai disciplinari di produzione, non di certo nell’acquisto di vino da altre aziende. Sul punto risponde, infatti, il produttore Cesare Cecchi (presidente del Consorzio Toscana Igt) incalzato da Report: «Se Borghi mi vende una Igt Toscana io lo compro come tale. Bisognerebbe chiedere a loro se non è quanto dichiarato».
La pratica della vendita su carta
Oltretutto, lo stesso Report, nella seconda parte della puntata, parla di una pratica che, stando a una anonima produttrice toscana, sarebbe molto diffusa: la cosiddetta vendita della carta. Ecco come la spiega Ranucci: «Poniamo che un produttore in base al massimale, possa produrre mille quintali per ettaro. Poi arriva la stagione storta, quindi ne produce 800. A quel punto ha due strade: vendere a prezzo maggiore o far figurare sulla carta di aver prodotto comunque mille. In questo caso, interviene un commerciante di sfuso che compra la carta e colma la differenza con vino proveniente da altre regioni. «Qui lo fanno quasi tutti» rivela la produttrice, che a quanto pare fa parte del sistema che denuncia.
I documenti in mano a Report
Tra allusioni e passaggi repentini dal lecito all’illecito, ci sono tutti gli ingredienti per mandare di traverso le feste di Natale all’intero mondo vitivinicolo. Nel tritacarne mediatico stavolta finiscono i più grandi nomi del vino e perfino il sistema dei controlli. Di fatto tutta l’inchiesta si basa su documenti di una fonte anonima (alcuni anche di un decennio fa) che sostiene di aver consegnato il plico in «mano alle autorità competenti» e aggiunge (parole forti) che «nessuno sia intervenuto perché significherebbe mettere in dubbio tutto il sistema». «Il sistema delle eccellenze – è l’affondo di Ranucci - che consente quotazioni stratosferiche».
Al centro la questione prezzo
Ai produttori citati, però, non viene data neanche la possibilità di un contradditorio (se come tale non si considerano le dichiarazioni degli addetti all’accoglienza di alcune delle aziende citate che sostengono la provenienza aziendale di tutte le uve). Solo Tenute San Guido ha avuto modo di dichiarare che il vino acquistato nel 2021 da Borghi (un potenziale di 140mila bottiglie) non sarebbe stato destinato al Sassicaia ma al Guidalberto e Le Difese, sulle cui etichette c’è, infatti, scritto «imbottigliato da». Nessun illecito, quindi. Rimane la questione prezzo, che probabilmente – se non fosse finita in mezzo a tutti gli altri strati di accusa di Ranucci&C. – sarebbe il vero tema: si può pagare un vino comprato a 2,4 euro a venti volte tanto o anche più? Ma su questo andrebbe intavolata una discussione più profonda di quella di Report, che dal vino può essere allargata anche ad altri settori del lusso: vale più il marchio o il prodotto? E fin dove la forza di un brand può giustificare un prezzo spropositato?