Un piacere gastronomico per ricchi, un simbolo di sfarzo e raffinatezza. Ma anche un cibo troppo caro che non merità di essere tassato come un bene di lusso. Sono le ostriche, e la loro Iva, la nuova frontiera del dibatitto nel comparto dell’acquacoltura in italia. Che sia colpa dei prezzi troppo cari, o dell’invasione del Granchio blu - che negli ultimi anni ha quasi azzerato la produzione di cozze e vongole - oggi più che ma la riduzione dell’Iva per le ostriche sta monopolizzando l’attenzione di venericoltori e non. Basti pensare che lo scorso mese sono stati depositati in Commissione Bilancio ben quattro emendamenti bipartisan alla Manovra per ridurre dal 22 al 10% l’Iva su questi bivalvi. Una proposta che ha incassato la soddisfazione di molti, ma che per altri come Federico Menetto, fondatore di Blufarmer, non mette al centro il lavoro e lo sviluppo produttivo di chi la coltiva questi molluschi. «Non si tratta solo di aiutare un mercato in difficoltà, ma di riconoscere un modello produttivo che migliora il nostro ecosistema. Ostriche e vongole - racconta - assorbono CO2, ma nessuno lo dice».
Come mai le ostriche sono percepite in maniera errata?
Molti reputano le ostriche un bene di lusso. Per chi guarda da fuori, anche con un po' di ignoranza o con un'idea borghese del cibo, questo prodotto sembra sempre da ricchi, un po' come il caviale. E invece non è affatto così. Le ostriche, come le vongole, la conchiglia Saint-Jacques e gli altri molluschi, sono un grande aiuto in termini di sostenibilità.
Sono davvero un’opportunità per il nostro ecosistema?
I molluschi bivalvi sono un po’ dei “sequestratori naturali di carbonio”, così come li ha definiti il professor Carlos Duarte - (uno dei maggiori biologi marini al mondo, ndr). La loro produzione, infatti, non ha solo un impatto ambientale molto ridotto ma addirittura positivo perché non crea anidride carbonica e al contrario la sottrae all'ecosistema. Un aspetto che, come già sottolineanto dal Protocollo di Kyoto, dovrebbe essere incentivato, ma che non viene mai preso in considerazione, neppure in materia di Iva.
In che senso?
Bisognerebbe tenere conto di questi aspetti così come succede per tutte le attività sostenibili dove l'Iva si modifica e viene in aiuto alla filiera. Altri Paesi europei lo hanno capito, come la Svezia che applica Iva ridotta ai prodotti biologici. In Italia invece, ad eccezione dell’Iva agevolata per l’energia rinnovabile, non lo facciamo. È tutto al 22 per cento.
Come mai secondo lei?
Beh, se si pensa ad esempio al fatto che ogni ettaro di vigna che produce vino è nociva tanto quanto un auto che percorre 30mila km l'anno, allora è giusto tassare ogni bottiglia al 22%. E non tanto perché sia un bene di lusso, quanto più per pareggiare con l’imposta sul valore aggiunto le sostanze nocive immesse nell’atmosfera dalla produzione. Questo chi acquista una bottiglia di vino lo sa, perché acquista il suo valore. Ma con i prodotti dell’acquacoltura è diverso.
Che cosa fare allora?
Forse bisognerebbe applicare gli stessi principi del mondo del green alle ostriche, che producono proteine sostenibili e proteggono gli ecosistemi marini. Si potrebbe attribuire loro un credito, come funziona per i certificati di Carbon Credits ai pannelli solari che producono e non inquinano. Ovviamente questo varrebbe in generale per tutti i molluschi bivalvi, e cioè tutti quelli che prendono carbonato di calcio e lo trasformano in calcio.
Perché non è stato proposto?
È strano che le associazioni di categoria non abbiano minimamente sollevato il tema, anche se quest'anno - va detto - sono riuscite a spingere un po' di più. Hanno ricevuto appoggio maggiore per la riduzione dell'Iva nell'industria delle ostriche rispetto agli scorsi anni, facendo leva sulla crisi del comparto. Ma le considerazioni emergenziali fatte per convincere la politica rischiano di essere un po' sterili e di portare solo a un premio di consolazione.
Quindi abbassare l’Iva al 10% non è la strada giusta?
Uno sconto del 10% sull'Iva potrebbe essere ovviamente un aiuto per il consumatore ad acquistare le ostriche a meno prezzo e dunque un aiuto anche all'industria. Ma io sono sempre contro i contributi, malgrado mi occupi di pesca. Le sovvenzioni sono una cosa che oggi c'è, domani chissà. Il punto è che nessuno ha fornito all'esecutivo informazioni del perché questo tipo di produzione sia molto sostenibile, allontanando qualsiasi misura più strutturale. Se c'è una ragione piena, reale, quantificabile e dimostrabile - come in questo caso - beh l'approccio cambia e cambia per sempre.
Meglio una soluzione più strutturata quindi?
La crisi del settore è un problema reale e richiede interventi immediati, ma non possiamo fermarci qui. La riduzione dell’Iva non deve essere una misura temporanea, bensì una scelta strategica stabile, coerente con una fiscalità verde integrata e con gli impegni presi a livello internazionale. Ecco perché credo davvero che fare luce su questo aspetto possa offrire una lettura migliorata del tema al legislatore e alle associazioni. In pochi sono al corrente del fatto che durante la produzione si sottrae CO2, un valore enorme per l'intero pianeta.