Pangiallo contro panpepato: la sfida dei dolci natalizi tra Lazio e Umbria

8 Dic 2024, 08:01 | a cura di
C’è qualcosa che rende questi due dolci natalizi locali tanto diversi e, al contempo, tanto simili. Che la sfida abbia inizio

È una vera e propria battaglia dolce quella che oppone il pangiallo e il panpepato. Tra panettone e pandoro, che sembrano irraggiungibili protagonisti della scena delle festività, si insidiano nell’atmosfera natalizia del centro Italia altri due dolci locali: da un lato, il pangiallo, tondo e dorato come il sole che annuncia la fine dell’inverno, rappresentante del mondo rustico e solare dei contadini romani. Dall’altro, il panpepato, ricco di spezie e frutta secca, porta con sé l’atmosfera colta e sontuosa dei prelati umbri. Nonostante le radici geografiche e le storie differenti, questi due dolci si somigliano per l’uso di ingredienti simili, come il miele e la frutta secca. Ma si vocifera che, con l’arrivo dell’8 dicembre, giorno storico di preparazione di questi dolci, nei forni e nelle case tra Lazio e Umbria nascano aspre polemiche su quale sia il mix di ingredienti migliore. E, soprattutto, attenzione a non confonderli l’uno con l’altro.

Pangiallo vs. panpepato

La magia del Natale italiano si gioca anche nei dolci. Il pangiallo nasce a Roma e il suo nome, che significa pane giallo, è un chiaro rimando al colore della sua crosta esterna, simbolo di speranza e rinascita, legato al ritorno della luce dopo il solstizio d’inverno. Tradizionalmente preparato nell’antica Roma per celebrare il dies Natalis solis invicti (Natale del sole invincibile) il giorno del 25 dicembre, il pangiallo aveva una funzione rituale: le mogli dei contadini lo preparavano e lo offrivano ai notabili, augurando prosperità e fertilità. L’elemento centrale del pangiallo è il suo colore, che può essere ottenuto grazie a un mix di spezie (come lo zafferano) e a una leggera glassatura d’uovo, che gli conferisce quella caratteristica nuance oro. Gli ingredienti principali – noci, mandorle, cedro candito e miele – lo rendono un dolce ricco (in calorie) ma semplice, che una volta rappresentava la tradizione delle famiglie romane più modeste, che sostituivano le nocciole e le mandorle con noccioli di frutta essiccati per ridurre i costi. Nonostante la sua popolarità sia diminuita con l’ascesa di pandoro e panettone, il pangiallo si può trovare ancora oggi, specialmente nei Castelli Romani, dove le pasticcerie e i forni continuano a farne un must natalizio, ancor più del pandoro e panettone.

Se il pangiallo celebra la semplicità e il buon auspicio per il nuovo anno di raccolto, il panpepato è un dolce che racconta l’opulenza della nobiltà umbra. La sua preparazione si distingue per l’utilizzo di spezie ricche e aromatiche – pepe, cannella, noce moscata – che gli conferiscono un carattere più complesso e speziato. Il panpepato è originario dell’Umbria, di Terni per la precisione, dove risiede dal 2020 la sua Igp e il disciplinare. Si narra che il suo nome derivi dalla ricchezza di pepe utilizzato nella preparazione, e che veniva consumato soprattutto dai prelati e dalla nobiltà, che potevano permettersi ingredienti pregiati come il cioccolato fondente e le spezie provenienti dall’Oriente. Come il pangiallo, anche il panpepato è ricco di frutta secca (nocciole, noci e mandorle) e miele, ma a differenza del suo concorrente, si distingue per l’uso di una maggiore quantità di spezie e per la presenza del cioccolato, che nelle varianti moderne è diventato un elemento distintivo.

Le varianti

La preparazione di pangiallo e panpepato è tradizionalmente legata alla festività dell’Immacolata Concezione, e il dolce viene preparato già a partire da quel momento per essere consumato fino alla Pasqua, segno di quanto la sua conservabilità fosse apprezzata nelle famiglie. Ogni variante ha una sua peculiarità: in Toscana, e in particolare a Siena, ad esempio, il dolce è ricoperto di zucchero a velo e viene chiamato panforte Margherita, in onore della Regina Margherita, mentre in Emilia-Romagna, a Ferrara, è caratterizzato dall’uso del cioccolato fondente per coprirne la crosta esterna. Sostanzialmente, la differenza tra i due dolci risiede soprattutto nei sapori: mentre il pangiallo è più zuccherino, grazie al miele e all’uvetta (ecco perché viene preferito dai più piccini), il panpepato ha un carattere più deciso, e il pepe lo rende più piccante e aromatico. De gustibus. In fondo, sono due facce della stessa medaglia: una più solare e rustica, l’altra più aristocratica e speziata. Chi vincerà questa sfida nel cuore dei golosi italiani? La risposta, probabilmente, dipenderà da quale ricetta è più legata ai ricordi e ai profumi della propria infanzia.

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