«Dateci il voto e cucineremo il meglio per una visione ampia». Eccolo, l’ingegnoso espediente delle sufragette per rassicurare gli uomini e convincerli di essere meritevoli di decidere per le sorti del proprio paese. Tanto quanto loro. In fondo, in cucina sarebbero rimaste comunque, i mariti non avevano di che preoccuparsi. Tutto questo, le donne che hanno ispirato un movimento intero e grazie alle quali, oggi, possiamo esprimere la nostra opinione, lo hanno scritto nei ricettari.
Il primo ricettario delle suffragette
D’accordo, lo hanno prima di tutto urlato. Hanno manifestato, lottato, camminato sotto la pioggia torrenziale da Hyde Park Corner all’assemblea di Exeter Hall nella celebre Mud March, la marcia del fango del 1907. Emily Davison ha perso la vita gettandosi di fronte al cavallo di re Giorgio V durante il Derby del 1913 passato alla storia. Ma poi ci sono stati anche i libri di ricette, e non solo nel Regno Unito, dove è nato il movimento: il primo fu pubblicato nel 1886 negli Stati Uniti e da allora, fino al 1920, quando le donne americane ottennero il diritto di voto, ne susseguirono almeno un’altra dozzina.
I ricettari come atto politico
A pubblicarli erano le associazioni suffragiste, che tra una ricetta e l’altra facevano un po’ di propaganda per tutte coloro a cui la vita politica era inaccessibile. I piatti descritti spaziavano dalla Lady Baltimore Cake, un dolce tipico degli stati del Sud ricoperto con glassa di meringa, all’insalata di emergenza con mela e cipolla, e poi zuppe, sughi, arrosti, torte, frittate e budini, oltre a preparazioni base come il parfait alle mandorle o il riso bollito. Ma tra un pasticcio di carne e una pagnotta, si trovavano anche battute sprezzanti e citazioni pro-suffragio, come accadeva in The Holiday Gift Cook Book, pubblicato dalla Equal Suffrage Association di Rockford, Illinois, nel 1891. Un periodo in cui la legge affermava: «Gli idioti, i pazzi, i poveri, i criminali e le donne non avranno diritto di voto».
Cucina e diritto di voto vanno di pari passo
«Le donne hanno usato ciò che conoscevano, ciò che potevano per sostenere le loro cause» ha spiegato la storica culinaria Jan Longone, «se questo significava preparare una torta, una cena o scrivere un libro di cucina, lo facevano. Per gran parte dell’Ottocento una donna non aveva alcun controllo sui propri soldi, i propri figli o il proprio destino». Era, però, la regina della vita domestica, padrona assoluta della cucina: allora il cibo è diventato strumento politico, come è successo con la torta elettorale, dolce preparato in tempo di elezioni per partecipare alla vita politica, seppur da casa.
Dipinte come madri negligenti che rifiutavano le faccende e odiavano la cucina, troppo impegnate a lottare per sfamare i propri figli, le suffragette rispondevano a queste accuse a suon di ricettari, perché «la buona cucina e il voto vanno di pari passo» come spiega il Washington Women’s Cook Book del 1909, che si apre con la celebre frase: «Dateci il voto e cucineremo il meglio per una visione ampia».
Chi scriveva le ricette del suffragio
La prima di queste pubblicazioni c’è stata il 13 dicembre 1886 con The Woman’s Suffrage Cook Book. Tra i membri dell’associazione (che però non ha partecipato al ricettario) c’era anche Louisa May Alcott, che al tempo aveva appena pubblicato Jo’s Boys, l’ultimo libro della serie di successo Piccole Donne, in cui aveva descritto la statua di Minerva con lo slogan «Diritti delle Donne» inciso sul suo scudo. Le ricette erano quelle delle casalinghe sposate, ma anche di donne single che portavano ancora il loro cognome.
E persino donne lavoratrici, come Alice Bunker Stockham, ostetrica e ginecologa di Chicago passata alla storia per essere stata una delle prime donne (la quinta, per l’esattezza) a diventare medico autorizzato negli Stati Uniti. Sua è la ricetta per la Caroline Cake, una torta infusa con succo di fragola e farcita con crema pasticcera. Ed erano donne come Cora Scott Pond, militante proibizionista e investitrice immobiliare, che ha contribuito con la ricetta dell’Irish stew. Piatti elaborati, ma anche consigli, dritte per vivere in modo semplice ma pensare in maniera elevata. Con una sezione finale intitolata «Eminenti opinioni sul suffragio femminile».
I ricettari venivano venduti perlopiù alle fiere di paese e servivano per raccogliere fondi per il movimento del suffragio. In più, aiutavano le donne a fare rete e acquisire anche nuove competenze nel campo dell’editoria e della vendita. Tra i tanti volumi pubblicati, uno dei più curiosi risale al 1915 e si chiama The Suffrage Cook Book: qui si trovavano ricette dal nome provocatorio come la Torta dell’Imene o la Torta dell’elezione della mamma, o ancora la Torta per il marito dubbioso di una suffragetta. L'ingrediente principale? «Gentilezza umana».