«Tra due o tre anni avremo l’extravergine. Il clima è buono e anche il terreno sembra essere idoneo all’olivicoltura. Pensi che questi terreni sono stati bonificate nel Seicento dagli olandesi, poi sempre coltivate a grano e barbabietole e situate a pochi metri sotto il livello del mare». Quello di cui parla Pietro Leone, titolare dell’Oleificio Cericola nel Foggiano, non è un nuovo impianto in Puglia o in altre zone italiane, bensì il primo oliveto progettato e realizzato nel Regno Unito. Leone ci spiega che si tratta di un progetto che gli è stato affidato da David Hoyles, titolare dell’azienda agricola The English Olive Co. situata a Spalding, un centinaio di chilometri a nord di Cambridge, e che una coltura di questo tipo è stata possibile da realizzare in quanto negli ultimi dieci anni in quella zona la temperatura media si è alzata di almeno due gradi. Fino a qualche anno fa sarebbe stata una cosa impensabile per qualsiasi agronomo, ma Leone (a cui è stata affidata la consulenza tecnica per la realizzazione dell’oliveto) si è subito accorto del potenziale di questa pianura.
Il primo frantoio inglese
«Tra poco realizzeremo anche il primo frantoio in questa area. Sono convinto che in questa zona molti seguiranno questa strada, le condizioni ci sono», aggiunge Leone. Per ora l’oliveto conta circa 20mila piante su una dozzina di ettari, caratterizzati da un sesto d’impianto superintensivo dove dimorano cultivar come arbequina, arbosana e lecciana. L’obiettivo dell’imprenditore agricolo inglese però è di arrivare a coprire l’intera proprietà che conta 170 ettari. D’altronde che il Vecchio Continente sia al centro di un iniziale stravolgimento agricolo e paesaggistico ormai comincia a essere sotto gli occhi di tutti. Se in Sicilia avanza la desertificazione, amplificata da estati pesantemente siccitose come quella appena trascorsa, in regioni come Bordeaux nel giugno 2023 il ministero dell’agricoltura francese ha annunciato lo stanziamento di 57 milioni di euro per l’estirpazione di circa 9.500 ettari di vigneti nella regione di Bordeaux, mettendo a disposizione ulteriori fondi per incoraggiare i produttori a passare ad altre produzioni, come quella di olive. Insomma, meno Cabernet e più “huile d’olive”.
Anche l’Italia spinge gli oliveti verso l’alto
Anche in Italia, seppur con i tempi molto lenti che l’olivicoltura impone, si percepiscono segnali di cambiamento che ormai cominciano a essere sotto gli occhi di tutti. Pur essendo l’olivo una pianta che resiste meglio di molte altre alla scarsità idrica, in annate come questa la penuria di acqua e le alte temperature hanno messo a dura prova la produzione di olive, specialmente nel Sud Italia che è poi l’area dove si realizza circa il 70% della produzione nazionale. A uno spaccato del genere si contrappone la realtà di alcune zone del Nord fino a oggi mai considerate particolarmente adatte alla produzione olearia, dove l’acqua non manca e l’aumento delle temperature invernali e primaverili sta gettando le basi per una produzione olivicola che, seppur ancora in fase embrionale, ci catapulta in un futuro ricco di aspettative. Una di queste è la Valtellina dove l’olivicoltura è presente dagli anni ’90, ma che ultimamente si sta sviluppando anche grazie a condizioni climatiche particolarmente favorevoli. Ad averci accennato di questa tendenza è Elena Fay dell’azienda vitivinicola Sandro Fay, che, pur non avendo olivi, si è accorta negli ultimi anni dell’incremento della presenza di questi alberi nella zona.
L'aiuto dell'olivo ai viticoltori in Valtellina
A spiegare bene il nuovo trend olivicolo in questa area considerata quasi “di montagna” è Ivano Foianini, tecnico della Fondazione Fojanini di Sondrio che, ormai da molti anni, si occupa di seguire gli agricoltori nelle loro produzioni, sia olivicole, ma anche frutticole e vitivinicole. «L’olivicoltura qui sta crescendo e non è andata a intaccare le zone di produzione dei grandi vini valtellinesi, anzi, è una pianta che porta benefici anche ai viticoltori stessi in quanto aiuta a contrastare l’avanzata boschiva che altrimenti andrebbe a impattare pesantemente sulla vita dei vigneti. Inoltre, in una zona come questa, la presenza dell’olivo aiuta a prevenire il rischio di dissesto idrogeologico». Ovviamente non si tratta di una produzione cospicua, ma si sta assistendo a una crescita costante. «A livello di numeri, abbiamo poche aziende che dispongono in media di 400-500 olivi. Da un censimento recente abbiamo contato circa 15mila alberi in provincia di Sondrio che coprono un centinaio di ettari e una produzione stimata intorno ai 1.000 quintali, ma vediamo una realtà in continua evoluzione», spiega Foianini. Ovviamente non si può ancora parlare di un’olivicoltura da reddito, ma nelle parole del tecnico si capisce che l’obiettivo per il prossimo futuro è quello di far capire ai consumatori (ma anche agli agricoltori) che pure in zone come la Valtellina si riesce a produrre oli che non hanno nulla da invidiare a quelli di altre parti d’Italia.
Campo sperimentale e nuovo frantoio a Sondrio
A essere maggiormente impiantate nel campo sperimentale della Fondazione, istituito nel 1996, sono state soprattutto le varietà toscane come Leccino, Frantoio, Pendolino e Maurino, ma non mancano prove fatte con altre cultivar del Sud Italia (come la Coratina) che sembrano reagire molto bene al terreno e al clima. «Negli anni ‘90 non si credeva molto all’olivicoltura e nessuno ne ha fatto un progetto imprenditoriale. Negli ultimi anni, invece, di inverni particolarmente freddi non ce ne sono stati e l’olivo è diventata quella pianta arrivata nel posto giusto al momento giusto. A distanza di un decennio dall’impianto di questi olivi, ci siamo resi conto che la produzione è buona, così come la qualità degli oli», ci racconta il tecnico valtellinese. E nella sede della Fondazione, a Sondrio, sta per nascere anche un nuovo frantoio: «I lavori partiranno agli inizi del 2025 e puntiamo a renderlo operativo già per la campagna olearia 2025/2026», ci spiega il tecnico Ivano Foianini.
Olive e olio tornano in Piemonte
Una realtà che invece risulta essere più consolidata e dalla storia più antica è quella piemontese. Ormai produzioni quantitativamente rilevanti e degne di nota, pur non raggiungendo il peso specifico di quelle del Sud Italia, coinvolgono territori che vanno dalla provincia di Alessandria fino all’astigiano e al vicino Monferrato. A spiegare le peculiarità di questa olivicoltura è Fulvio Castagna, presidente dell’Associazione Piemontese Olivicoltori: «In realtà la coltura dell’olivo in Piemonte è frutto di una riscoperta in quanto era stata abbandonata durante la piccola era glaciale intorno al Settecento, per essere poi ripresa circa 25 anni fa». A essere coinvolte sono varie aree della regione: nell’astigiano, per esempio, le zone collinari sono coinvolte in cambiamenti come lo spostamento dei vigneti dalle parti basse alle fasce intermedie dove il clima è meno asfissiante per le piante. Le parti collinari più alte, essendo più asciutte, non vengono considerate idonee per la vite e quindi vengono piantati gli olivi. Nel Monferrato, per esempio, ne stanno piantando molti, soprattutto nelle parti alte. Oltre a quelle già citate ci sono zone abbastanza “estreme” dove comincia ad affacciarsi l’olivo come nel caso del Canavese e del Pinerolese; ma qualche albero prova ad attecchire anche in Val di Susa. In generale qui trovano il terreno ideale varietà prevalentemente toscane come Leccino, Pendolino, Leccio del Corno e Frantoio.
Nuovo frantoio anche per la Valle d'Aosta
L’associazione di Fulvio Castagna, inoltre, coinvolge anche i vicini valdostani che, come ci dice, vorrebbero anche loro aprire un frantoio perché, seppur con quantitativi minimi (si parla di circa 4.000 piante in tutta la regione), sono obbligati a frangere le olive in Piemonte. La crisi climatica, insomma, cambia paesaggi e colture obbligando a trovare nuove soluzioni per la cura dei terreni: «Se guardo a queste colline vedo i castagni stanno morendo. In una situazione così siccitosa, con le precipitazioni così irregolari il problema ormai è evidente. L’olivo, invece, con inverni così asciutti come quello scorso resisterebbe. Io credo che nei prossimi anni cambierà il paesaggio, si vedranno meno castagni e più olivi».