Ricerca di linguaggi nuovi e pensiero laterale accomunano le nuove Tre Forchette della Guida Ristoranti d'Italia 2025 del Gambero Rosso. Ma più delle caratteristiche comuni, a colpire è l'unicità di ciascuna cucina e dei rispettivi artefici. Ve li presentiamo.
Sei ristoranti Tre Forchette, per la prima volta
Dina
Until then if not before. Fino ad allora se non prima. È il mantra quasi romantico di Alberto Gipponi, uno degli inclassificabili della cucina italiana. La sua visione è di quella freschezza che è frutto di un continuo stupore, di una ricerca di linguaggi nuovi tipici del “dummie” quale in fondo resta, arrivando da altri mondi (principalmente dalla sociologia). Suo scopo sorprendere dapprima se stesso, e il resto va da sé. Viva quindi il pensiero laterale, anche quando trova il punto di partenza in un locale che si trova in Franciacorta e che è dedicato alla nonna, ciò che farebbe pensare piuttosto a un ragionamento piuttosto centrale. Ma no, questo è un ristorante di evasione (se non altro dalla normalità) e un po’ di eversione. Il locale è composto da vari ambienti tutti differenti: penombre, sovraesposizioni, colori, bianchi e neri, ogni stanza un mondo, perché la testa di Gipponi è una giungla e chi va a trovarlo ne diventa esploratore. E poi lui ha un approccio emotivo e ironico (che cos’è l’ironia se non voglia di tenerezza?) che disarma. In fondo sospettiamo che abbia intenzione di farsi voler bene da tutti, incluso chi non lo comprende fino in fondo, e per questo talvolta sembra cercare il modo di tenere a bada certi eccessi di inaccessibilità.
Un menu, Antologia, retrospettiva dei primi sei anni di Dina con piatti tuttora attuali come salmerino con la rosa, casoncelli con crema di Grana Padano, risotto all’ostrica e alloro, crostatina cruda ma cotta. Ma i nomi danno a malapena il senso dello straniamento del percorso, tra i più interessanti e personali che sia dato incontrare in Italia. Poi il più recente menu Cucina Ragionale che va prenotato ed è consigliato a chi è già stato da Dina ed è predisposto all'imperfezione. In ogni caso lui, Alberto, si concede generoso a chi è venuto a trovarlo, quasi stupendosi della circostanza, concepisce l’atto del cucinare e del mangiare come un "do ut des": quindi spiega, racconta, si narra, si espone quasi in una psicoterapia con tovagliolo, a volte chiede, ascolta, medita. Del resto se la cucina è gesto di memoria, il futuro incomincia da oggi.
Gussago (BS) – via Santa Croce, 1 – 030 2523051 - www.dinaristorante.com
Andrea Aprea Ristorante
Ora che si è accomodato nella sua nuova sede in cima alla Fondazione Luigi Rovati, da dove si sbirciano i grattacieli meneghini, Andrea Aprea mostra tutta la nuova consapevolezza all’interno di un progetto nato già grande ma il cui successo era tutt’altro che scontato. Lui ci ha messo un'idea di cucina precisa e spavalda, una memoria che non è solo personale ma collettiva e storica e che potremmo chiamare la sua "napoletanità contemporanea", che rifugge dai cliché e quando vi fa ricorso è solo con una mestolata di ironia. Fatto sta che un pasto da Aprea rappresenta una delle migliori esperienze che uno possa assicurarsi a Milano, con un tasso di fallimento prossimo allo zero e con un tasso di noia altrettanto basso, anche perché a tenere deste le papille e il cervello soccorrono i continui dialoghi tra gusti differenti (l’amaro, il dolce, l’acido, il sapido) e diverse consistenze. Tre menu, ciascuno in direzioni distinte. Il Partenope (230 euro) rappresenta la sua idea delle origini: il peperone 'mbuttunato con il calamaro, l’uovo di Selva “Purgatorio style”, i cannelloni con genovese d’asino e zucchine alla scapece. Il Contemporaneità (200 euro) è il più breve ma pure il più sfidante, con creazioni come le animelle di vitello con scalogno nero, asparagi e cagliata di ricotta di capra. Poi c’è la carta dedicata ai signature che recano l’indicazione dell’anno di concezione: le seppie alla diavola (2015), la patata all’amatriciana in stagnola (2016) e il coloratissimo, quasi pollockiano, "ri-sotto marino". E poi Andrea fa capolino spesso a spendere il suo carisma. Scenografico il locale, disegnato da Flaviano Capriotti, e c'è pure il bistrot.
Milano – corso Venezia, 52 c/o Fondazione Luigi Rovati – 02 38273030 - www.andreaaprea.com
L'Argine a Vencò
Il romantico casolare in pietra fra il limitare del nulla e i bordi del Collio, fresco di ulteriore, accurata ristrutturazione, si immerge nella natura attraverso le estese vetrate. L’interno esprime scelte al limite del rivoluzionario come le tovaglie nude che vestono i pochi tavoli, con un verdeggiante rimando alla stagione quale scarno elemento decorativo. Del resto ridurre all’essenziale, spogliare finanche dei naturali cromatismi, significa esaltare la sostanza enfatizzandone la sobrietà. Immaginiamo la parte di limone fra la scorza e la polpa, quella che per chiunque, ad agrume spremuto, diventerebbe un rifiuto, ma che in mano ad Antonia Klugmann assume un senso che va oltre alla fantasia o alla teoria anti spreco, diventando la più assoluta, basica idea di amuse bouche. A Vencò restano spiazzati anche gli habitué, dal pane “ammollato e arrostito” con semi di finocchio, o dal sorbetto di alloro e asparagi selvatici che pare sospendere due declinazioni del raviolo: quello piccino con robiola di Zore, estratto di asparago bianco, olio ai fiori di pruno e mandorla, e quello più grandicello di aglio orsino, piselli, crescione e abete, quest’ultimo conferente una nota amaricante borderline. Lo spirito creativo e l’indole tenace della pluripremiata chef giungono da lontano: suona il flauto, è stata campionessa di vela, ha praticato sci agonistico, ha studiato legge; attitudini di una personalità poliedrica che si riverbera in caleidoscopiche preparazioni mignonne, siano esse parte dei due menu degustazione (piccolo a 100 euro, più completo a 130) siano invece scelte alla carta, vince la progettazione del piatto, seguita dalla rigorosa esecuzione.
Dolegna del Collio (GO) – località Vencò, 15 – 350 5212804 - www.largineavenco.it
DaGorini
L'insegna di Gianluca Gorini e Sara Silvani è diventata una delle tappe obbligate per gli appassionati in transito in questa parte di Romagna poco caciarona, come lo è questo locale quieto e rilassante celato tra le stradine in pietra di San Piero in Bagno. “daGorini è una casa”, si legge nel menu, ed è vero, perché ha la non comune capacità di coniugare un'atmosfera calda, intima, rilassata (sarà per quel camino all'ingresso, chissà) a una proposta che brilla per originalità e materie prime, pescando con disinvoltura tra intuizioni personali, echi contadini (il coniglio in tegame con patate alla cenere nocciola e rosmarino fritto) e canoni contemporanei (gli spaghetti tiepidi acqua di pomodoro albicocca e mandorla). È una cucina gentile ma di carattere, in cui Gorini batte su note erbacee, tostate e amaricanti con sicurezza, capace di portarti per mano verso profondità inaspettate, quasi senza farsene accorgere (si veda la pasta ripiena di cacciagione, brodo di funghi, alghe, verdure e spuntature). Il merito va a piatti pienamente soddisfacenti, alla precisione delle cotture: del piccione (scottato alla brace con estratto di alloro e cipolla al cartoccio) o anche dell'animella che in primavera abbiamo provato con camomilla zenzero lattuga e piselli, aromatica sintesi dei primi caldi, ma nel menu estivo è più sfidante e decisa, con kiwi alla brace e bottarga di muggine. Quello di Gorini è un lavoro che continua a crescere in modo costante, espressione di un talento pienamente sviluppato che dimostra di essere perfettamente a suo agio nel maneggiare una materia prima selezionatissima, integrando la complessità tecnica e concettuale al punto da renderla invisibile. E sempre facendo sentire l'ospite perfettamente a suo agio. Diversi menu (da 78 a 140 euro), con un percorso componibile su misura e una carta dei classici come il colombaccio, il risotto funghi e tabacco latte di mandorla e nepitella o il carciofo alla brace con salsa di carciofo e pesto di erbe tostate.
Bagno di Romagna (FC) – via G. Verdi, 5 – 0543 1908056 - dagorini.it
Dalla Gioconda
L'orizzonte è il tema de La Gioconda. Lo è nella toponomastica, in quanto la via che lo accoglie si chiama così. Lo è per i panorami offerti dal punto più alto di Gabicce Monte: la linea blu infinita disegnata dall'Adriatico, la silhouette filante della costa romagnola che sale fino a Rimini, gli sguardi che si perdono tra la Rocca di San Marino e la campagna del San Bartolo. Ma lo è anche per una linea di cucina convincente, libera, personale, che sa usare il mare ma non rinnega la terra. È la cucina di Davide Di Fabio, chef abruzzese cresciuto per anni alla corte modenese di Massimo Bottura. Tre i menu degustazione: Hit Parade (110 euro) con i successi più gettonati; New Realise (140 euro) con le ultime novità e Orto e Fantasia (140 euro di 9 portate, 110 di 6 portate). La carta permette di crearsi il proprio percorso scegliendo il saltimbocca di ricciola e spigola con lattuga di mare, lo scorfano fritto all'arrabbiata, la nota "zuppiera" di pasta e pesci dell'Adriatico, il pescato del giorno con salsa di albicocche acerbe e acetosella, il piccione allo spiedo con lardo di seppia. Presentazioni curate, belle per gli occhi e per il palato in un contesto ricco di colori e atmosfera. Sapori nitidi, eleganti, di alta scuola e ancor più profonda visione. Quella dell'orizzonte, per l'appunto.
Gabicce Mare (PU) – via dell'Orizzonte, 2 – 0541 962295 - www.dallagioconda.it
I Tenerumi del Therasia Resort
Un’esperienza gastronomica in un contesto di rara bellezza che possiamo tranquillamente definire metafisico, questo in breve il riassunto di una delle migliori cene degli ultimi anni. Definire spettacolare la location probabilmente è riduttivo, si sta in un lussureggiante giardino letteralmente sospeso sul mare, tra cascate di rampicanti, cespugli di erbe aromatiche e piante grasse. Semplicemente incredibile il panorama, e il consiglio è di arrivare al tramonto, magari per l’aperitivo, quando il sole tuffandosi nel mare fa diventare rossi il cielo e i faraglioni, mentre la cima dei coni dei vulcani ormai spenti delle altre sei isole si infiamma. In un simile contesto regna Davide Guidara, classe ’94, chef giovane ma dal talento indiscusso, di quelli cui arde dentro il fuoco della passione per il proprio lavoro, passione che diventa rigore quando la applica a una cucina che lui chiama "vegetale", e che in effetti è più che vegetariana, quasi totalmente vegana. Ha iniziato giovanissimo, appena quindicenne, senza abbandonare gli studi, passando negli anni da Don Alfonso al Mosaico o all’estero da Michel Bras e quindi al Noma, per poi, dopo un paio di esperienze in Sicilia e diversi riconoscimenti, arrivare nel 2022 al Therasia.
Il taccuino del nostro ultimo passaggio registra una ventina di portate dal menu degustazione a 200 euro comprensivi di cocktail, kombucha, tisane e infusi egregiamente abbinati ai piatti, tutti analcolici tranne l’ultimo. In un crescendo rossiniano, in poco meno di due ore scanditi da un servizio di rara efficienza, arrivano al tavolo una serie di piatti mai banali, per nulla ripetitivi, ma soprattutto buonissimi, accompagnati da grissini e pani fatti in casa di altrettanta bontà. Tutto cambia di continuo in questo viaggo, cotture a freddo o a vapore, fermentazioni, crudità, conserve, si alternano in un caleidoscopico susseguirsi di sensazioni che coinvolgono tutti e cinque i sensi. Tra i ricordi più vividi il pomodorino datterino in tre magistrali cotture, il carboncello alla brace, il cetriolo e mandorle, la cipolla e capperi, l’immaginifica tartelletta, uno dei pochi piatti non vegani.
Vulcano (ME) – località Vulcanello – 090 9852555 - www.therasiaresort.it