L'areale attorno al comune di Chambave è tra i più vocati per i vini di alta qualità della Valle d'Aosta, regione dove prevalentemente la viticoltura è considerata eroica, per le altitudini, per le pendenze dei terreni e per le rese. La prova è sia nei riconoscimenti ottenuti dalle cantine che lavorano in questi difficili territori, come il premio Tre Bicchieri Gambero Rosso 2025 allo Chambave Moscato Passito Prieuré 2021 della cooperativa La Crotta di Vegneron, ma anche nel livello medio dei prezzi di un ettaro di vigna che, come ha recentemente testimoniato il report sul mercato dei terreni agricoli del Crea, sono aumentati di quasi il 15 per cento in un anno, passando dai 150 ai 170mila euro tra 2022 e 2023. Il Consorzio di tutela vini Valle d'Aosta conferma il trend crescente e l'interesse per una micro zona che, se si torna indietro nella storia, è stata sempre considerata di alto livello, coi vini che finivano nelle tavole dei reali d'Europa e recuperata, poi, dai pionieri del vino valdostano.
Zona emergente, ma non troppo
Chambave è certamente uno dei territori più noti, ma se si guarda alla storia, come spiega a Tre Bicchieri Vincent Grosjean, presidente del Consorzio di tutela dei vini regionali, la documentazione certifica che tra Cinquecento e Seicento i vini di queste aree erano «serviti nelle tavole dei re europei, ricercati soprattutto in Francia e Svizzera, dopo che i monaci di Cluny, provenienti dalla Borgogna, svilupparono la coltura della vite intorno al 1300». La viticoltura valdostana ha queste profonde radici, una lunga tradizione e una solida esperienza nelle tecniche di vinificazione: «Nel 1760 - prosegue Grosjean - un decreto reale impedì addirittura i nuovi impianti di vite per preservare la qualità ed evitare che tutte le superfici agricole fossero occupate dalla produzione di vini». In epoca napoleonica, si stimavano fino a 3mila ettari di vigneti, prima del lento declino dovuto sia alla fillossera sia all'industrializzazione delle valli piemontesi, che tolsero la manodopera nei campi, e che durò fino agli Anni Settanta del secolo scorso, quando si scelse di recuperare e rilanciare l'attività viticola e, soprattutto, di salvare i vitigni autoctoni che stavano rischiando l'estinzione.
L'aumento delle superfici vitate
Chambave, in questo quadro, è sempre rimasta un'area d'elite. I prezzi delle vigne sono lì a dimostrarlo: +13% in un anno, con quotazioni mediamente più alte rispetto al resto d'Italia (massimi a 170mila euro/ettaro). «A tratti - racconta Grosjean - i terreni sono stati pagati anche più cari. Ma il problema è il frazionamento. Per mettere assieme un ettaro di terreno occorre fare oggi fino a otto atti notarili. Il problema fondiario c'è e non è indifferente, per tutta la valle. Basti pensare - spiega - che il popolo valdostano abitava soprattutto nei villaggi in altura dislocati nelle valli, ma tutti avevano allo stesso tempo dei terreni vitati in fondovalle. Terreni che, ovviamente, venivano divisi a ogni passaggio generazionale. Quindi, oggi, abbiamo micro-parcelle che misurano appena 80 metri quadrati e che sono troppo piccole. E quanto più il terreno è piccolo tanto più costa». Nel frattempo, le superfici regionali potranno avere un maggiore sfogo rispetto al passato: i produttori valdostani, infatti, hanno recentemente chiesto e ottenuto alla Regione e al Masaf la possibilità di crescere di un minimo di 30 ettari l'anno, anziché di 5 ettari previsti fino al 2017, pari all'1% della superficie regionale, secondo l'attuale regime europeo delle autorizzazioni per gli impianti viticoli.
I vigneti salgono oltre quota 800 metri
Di fronte alla sfida climatica, invece, anche questa micro-zona viticola potrà d'ora in avanti beneficiare della possibilità di innalzare il limite altimetrico di coltivazione dei vigneti, seguendo un trend comune in diverse regioni viticole di tutto il mondo. «Possiamo recuperare quella fascia di terreni tra 800 e 1.000 metri sul livello del mare, che non era compresa nei limiti altimetrici fissati nel lontano 1985, quando il clima era molto più freddo. Ora - afferma Grosjean - dobbiamo ridare a queste zone la possibilità di svilupparsi, dal momento che sono terreni a riposo, mentre anticamente erano tutte vigne».
La sfida in altura dei viticoltori cooperativi
Lo sanno bene i vertici della Crotta di Vegneron, cantina pluripremiata dal Gambero Rosso soprattutto per i suoi vini dolci e in particolare per il Chambave Moscato Passito. Cinquemila bottiglie l'anno, 53 famiglie di viticoltori, 25 ettari vitati per un vino fortemente identitario, che ha un mercato prevalentemente locale, come spiega il presidente della cooperativa, Alessandro Neyroz: «I moscati di Chambave sono un'istituzione in Valle d'Aosta. Molti imprenditori, anche provenienti da altri comuni, ne sono attratti. E lo sono, ovviamente anche i vigneti a Chambave. L'interesse è cresciuto e con esso le produzioni. E di fronte a un incremento dei volumi auspichiamo quantomeno che ci siano dei controlli severi e certi». «Più bottiglie fatte bene ci sono sul mercato meglio è per tutti noi, ma occorre garantire - ha sottolineato l'enologo Andrea Costa - l'esistenza di una filiera tracciabile e certificata». Guardando al futuro, la sfida della cantina è mantenere alta la qualità di questo vino simbolo: «Oggi i vigneti sono a circa 780 metri sul livello del mare e con il nuovo disciplinare della Doc Valle d'Aosta potremo salire ulteriormente. Lo abbiamo fatto progressivamente negli ultimi 25 anni, spostandoci via via più in alto. E dovremo fare ancora così - concludono Neyroz e Costa - se vogliamo mantenere gli stessi standard qualitativi».