La gente prima di loro non viaggiava come oggi. Tony e Maureen Wheeler erano una giovane coppia – lui 26 anni, lei 22 – in tasca avevano pochi contanti, appena 400 sterline in due, eppure decisero di salire su un traghetto ormeggiato ad Harwich, un vecchio porto del sud-est dell’Inghilterra pieno di cicatrici belliche, come quelle inflitte nel Seicento da Guglielmo d'Orange che lo attaccò per invadere la Gran Bretagna. Molte meno, invece, quelle della Seconda guerra mondiale quando il Corpo aereo italiano cercò di compiere un’impresa memorabile: l’azione fu un fallimento totale. Ma torniamo a Tony e Maureen. Era un giorno del 1972 quando salparono con quel traghetto. Sei mesi dopo, senza soldi, affamati ed esausti, sbarcarono su una spiaggia bianchissima del remoto North West Cape in Australia. Ancora non lo sapevano, ma quel viaggio pazzo e selvaggio avrebbe cambiato non solo la loro vita ma pure quella di milioni di persone in tutto il mondo. A tratti vagabondaggio, a tratti pellegrinaggio, con diversi pericoli in mezzo, la traversata finì per riempire le pagine di Across Asia on the Cheap, la prima Lonely Planet.
Un volumetto da sole 96 pagine, battute a macchina in un monolocale di Sidney, oggi impossibile da trovare in commercio se non in edizione digitale. Contava solo 1.500 copie, eppure è stato in grado di generare un impero editoriale da 150 milioni di guide, che alla fine del Duemila è sato venduto per ben 130 milioni di sterline. Le cifre sembrano dei topolini se messe a confronto con il cambiamento epocale che ha portato quella pubblicazione amatoriale: diede ai giovani viaggiatori di allora le conoscenze e, soprattutto, il coraggio di partire per avventure lontane, accessibili con pochi soldi. Chi non era mai uscito dai propri confini poteva raggiungere mete sconosciute e incontaminate. Quell’esperimento di coppia, che altro non era che un viaggio di nozze, ha democratizzato l’idea di viaggio. Ma – sostengono alcuni – quel processo ha generato pure un mostro: «Un’ondata di viaggiatori economici che travolse alcuni dei luoghi più belli del mondo», ha scritto il Times in un lungo articolo dedicato alla Lonely.
La panchina di Regent’s park
Nel 1972 per andare in Asia esistevano solo viaggi di gruppo organizzati dalle agenzie turistiche e dai costi proibitivi. Tony, ingegnere con un’infanzia in giro per il mondo grazie al padre che dirigeva un aeroporto, e Maureen, aspirante assistente di volo, si sono incontrati in un mercoledì uggioso di Londra, su una panchina di Regent’s Park. Un anno dopo si sposano e iniziano a pianificare un grande viaggio. Nel libro The Lonely Planet Story: Once While Travelling raccontano di aver comprato un minivan di seconda mano per 50 sterline e di aver deciso di partire. Approdano in Olanda, poi in Francia e in Italia, proseguono in Grecia e poi in Turchia. Si spingono fino allo sconosciuto Iran dello Scià, qualche anno prima della rivoluzione khomeinista del 1979; a Kabul dopo tre giorni di contrattazioni riescono a vendere l’auto e zaini in spalla si dirigono verso Pakistan, India, Nepal, Thailandia e Indonesia.
Ma a questo punto il viaggio si fa durissimo: le 400 sterline finiscono e per proseguire si affidano a un neozelandese che gli garantisce il viaggio nel suo yacht. Impiegano 16 giorni per attraversare il pezzo di Oceano che li separa dall’Australia anziché i sei preventivati: finiscono sia il cibo sia il carburante, e una tempesta rischia di far capovolgere la barca. Alla fine arrivano. Maureen si china verso Tony per sussurrargli in un orecchio: «Quanti soldi ci sono rimasti?», «Ventisette cent», risponde esaminando il patetico mucchietto di monete sul palmo della mano. È Santo Stefano del 1972.
Strade da backpacker
In Australia lavorano per guadagnarsi il biglietto di ritorno per l’Inghilterra e ricominciare la loro vita normale. Ma chi fa piani così, poi alla vita normale spesso non ci torna. E Tony e Maureen non lo fanno: pubblicano la prima guida – «il risultato è stato un libro molto amatoriale», ha detto Tony al Times – e poi una seconda, una terza e via dicendo, scrivono di Africa e Birmania, grazie anche al lavoro di una serie di scrittori alle prime armi che imparavano sul campo. Viaggiano e scrivono, arrivano i figli, continuano a viaggiare e a scrivere, i due bambini al fianco: prima dell’inizio della scuola sono stati in tutti i continenti tranne l'Antartide. Le persone, i potenziali “backpacker” alla disperata ricerca di informazioni su come viaggiare in modo economico, trovano quello che stavano cercando. La coppia insomma intercettò un’esigenza sconosciuta in quel momento, non c’era grande concorrenza (solo la mitica Routard del globetrotter francese Philippe Gloaguen nata quasi in concomitanza con la Lonely, nel 1973) e le guide una dietro l’altra si riempirono di mappe, indicazioni su dove prendere l’autobus, dove dormire a poco prezzo, cosa mangiare. Andare dove gli altri non hanno osato, documentare, sperimentare, creare un'idea di viaggio avventurosa, indipendente e consapevole, crescere con i propri lettori. L’iconico India: A Travel Survival Kit vendette in poco tempo oltre 50mila copie. Con le altre edizioni arrivano in una manciata di anni a oltre due milioni. Inizia il fenomeno delle guide Lonely Planet con 500 dipendenti e uffici in tre continenti.
Democratizzare (troppo) i viaggi
L'espansione globale del progetto dei Wheeler porta con sé una contraddizione, oggi quasi del tutto assopita. Lo scopo di quei due imprenditori, prima viaggiatori partiti da soli e senza una lira per paesi sconosciuti, era aiutare i lettori a trovare le strade meno battute; ma lo stesso successo della Lonely Planet assicurò che milioni di persone in più le percorressero. E quelle stesse destinazioni iniziarono a cambiare. La giornalista di viaggi Julia Buckley, citata dal Times, ha spiegato come alcuni iniziarono a vedere Lonely Planet come «la faccina sorridente della globalizzazione, la versione alla moda di McDonald's, con ogni guida che contribuisce a distruggere la cultura che pretende di celebrare». Certo è che le guide più famose al mondo sono state solo la punta dell’iceberg della globalizzazione dei viaggi low cost; aerei a basso costo, alloggi economici, e oggi influencer di viaggio su Instagram o TikTok che promuovono mete oniriche dietro compenso economico, in grado di trasformarne il volto, hanno fatto il resto.
Si può criticare l’aspetto etico di Lonely ma non di certo la sua strategia aziendale. Per decenni ha dominato i viaggi low cost, con centinaia di giornalisti e scrittori freelance in giro per il mondo a dare indicazioni. Mappe affidabili, indicazioni molto spesso aggiornate e consigli adatti al grande pubblico. Ci avevano abituato a guide esteticamente minimal, pochi colori, poche foto se non nelle prime pagine. Ma le ultime edizioni sono diventate graficamente più accattivanti, con foto anche all’interno delle città, colori per segnalare i vari argomenti o sezioni. Certo, l'immagine, in alcuni casi, ha preso il posto di informazioni utili e consigli rendendo le guide meno complete.
In ogni caso, Lonely sta vincendo pure la sfida più grande: in modo contro intuitivo rispetto agli altri prodotti editoriali, la carta vince sul digitale. «Lavoro per la casa editrice da 25 anni e sono 25 anni che nel nostro mondo ci si prepara a un momento in cui si venderà più digitale che formato a stampa, ma ad oggi questo non è mai accaduto», ha spiegato ad HuffPost Angelo Pittro, Direttore generale per l’Italia della guida. L’interessante è che nonostante Lonely Planet fornisca una guida turistica in formato digitale qualitativamente uguale a quella cartacea e a prezzi notevolmente inferiori, l'utente continui a scegliere il libro. «Nel 2019 abbiamo avuto il record di vendite in Italia. Il Covid ci ha messo sul lastrico, ma dall'anno scorso abbiamo quasi recuperato tutto il nostro fatturato: rispetto al 2019 mancava un 10%. E quest'anno stiamo facendo dati che sono in linea con il 2019», da detto Pittro. Il mondo sicuramente non è stato più lo stesso dopo il viaggio dei coniugi Wheeler. Maureen taglia corto e respinge le critiche: «Abbiamo democratizzato i viaggi ed è stata una forza positiva».
Per le foto ringraziamo Edt per la gentile concessione