Siamo alle solite: arriva la notizia dell’aumento del caffè e scoppia la bufera. Colpa dell’aumento della materia prima, come ha spiegato Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè, una crisi di settore che ha portato il costo della tazzina a crescere di non poco negli ultimi tre anni. Si dice che ora possa arrivare a toccare i 2 euro, cifra culturalmente inaccettabile in un paese come l’Italia, dove sembra che tutto possa aumentare tranne il caffè: e pensare che, anche in questo caso, sarebbe ancora troppo poco.
Il prezzo del caffè aumenta, ma non è ancora abbastanza
A fronte di un tasso di inflazione del+16% tra luglio 2021 e luglio 2024, i prezzi nei bar sono cresciuti del 13% (dati Fipe), percentuale non sufficiente a far guadagnare il barista che, lo ricordiamo, è solo l’ultimo anello di una filiera ben più complessa. Il prezzo della tazzina in Italia continua così a essere uno dei più bassi d’Europa, primato nient’affatto lodevole. Ancora più drammatici per i torrefattori sono stati gli ultimi 18 mesi che, come spiega Luigi Morello, presidente dell’Istituto Espresso Italiano, si sono trovati ad affrontare una difficile reperibilità del caffè, il costante aumento dei prezzi e ulteriori problematiche logistiche. Senza dimenticare la questione della mancanza di personale qualificato (che è in parte il motivo per cui le caffetterie moderne sono costrette ad aprire sempre più tardi).
La mancanza di personale
Solo in Italia il mestiere del barista è considerato un lavoro di serie B, un ripiego, roba da ragazzi, da stagione estiva, al massimo eredità di famiglia. Non è affatto vero, invece, che chiunque può aprire un bar: competenze e un buon servizio sono qualità indispensabili per far funzionare una piccola impresa (basti pensare all'impero Starbucks, che sull'esperienza del cliente ha fondato il proprio successo). Proprio come per una qualsiasi attività, che si tratti di un ristorante o un bistrot: perché per le caffetterie dovrebbe essere diverso? Perché qualsiasi regola applicata per il mondo della ristorazione viene meno quando si parla di bar? L’assenza di personale qualificato è solo l'ennesimo elemento che va a contribuire una crisi strutturale del comparto e che, secondo Fipe Confcommercio, negli ultimi 10 anni ha portato il numero dei bar a diminuire di oltre 22mila unità. Servono figure preparate, che siano remunerate adeguatamente, messe in regola e con contratti dignitosi (dettaglio, purtroppo, per niente scontato).
Quanto costa il caffè crudo
Il «prezzo fisso», per l’espresso, non può esistere. Proprio come non c’è per un piatto di pasta, una torta di pasticceria o una bottiglia di vino. Lo scontrino è il risultato del lavoro di ricerca del titolare, frutto della somma di una serie di risorse preziose: il lavoro dei dipendenti, il costo del locale, quello della materia prima – che continua ad aumentare esponenzialmente – del lavoro in piantagione e di quello di tostatura. In Italia urge, prima di tutto, un cambio di mentalità, il superamento di quel limite culturale che ha settato il prezzo dell’espresso a 1 euro. Parlando di puri numeri, come ricordava Socchia, il caffè verde (crudo) oggi «costa 245 cents per libbra, il 66% in più dell’anno scorso, oltre il doppio rispetto a tre anni fa». A questo, va aggiunta tutta la manodopera sopraccitata (senza dimenticare le condizioni di difficoltà in cui vertono gran parte dei lavoratori in piantagione).
E poi, la media italiana ormai da tempo si aggira attorno a 1,50 euro. Non parliamo di caffè di nicchia, specialty e simili, ma di prodotti spesso mediocri, se non scadenti, su cui continuiamo a investire i nostri soldi nonostante gli aumenti. Arriveremo presto a uno standard di 2 euro, e con questo bisogna iniziare a fare i conti. Non stupiamoci, allora, se un espresso buono, più buono, nelle caffetterie di livello viene venduto a cifre superiori: la differenza di qualità si valorizza anche attraverso il prezzo.