Cenare a casa di uno Chef

21 Set 2024, 15:53 | a cura di
L'home restaurant di Cristian Nardulli è il suo modo di accogliere i clienti per raccontare il territorio del Collio attraverso la sua abilità di cuoco e una carta dei vini che promuove le cantine locali

L’importante è prenotare. Oltre alla sicurezza di assicurarsi un posto, la telefonata allo chef Cristian Nardulli è determinante per l’esperienza. Dalla chiacchierata, infatti, si determina il menu in degustazione. Carne o pesce? La domanda non è così banale, perché se nella prima opzione lo chef ha più possibilità di manovra, per la seconda dipenderà molto da cosa è disponibile dal pescato del giorno dei pescatori da cui si rifornisce. Deciso il numero di portate e il menu è tutto in discesa: ci si siede all’unico tavolo disponibile che si trova letteralmente nell’abitazione dello chef, a San Floriano nel Collio in Friuli, e ci si gode il pasto tra una chiacchiera e un bicchiere di vino.

L'home-restaurant del Collio

 «L’idea è stata quella di creare un vero è proprio ristorante -con tanto di licenza- nella casa dove abito. Posso ospitare una decina di persone e raccontare il territorio attraverso piatti che cucino davanti a loro. È un modo per avere un rapporto più vicino con i miei clienti. Preferisco questa modalità a un posto sempre pieno con 200 coperti». Dopo aver vinto i mondiali della ristorazione del 2009 di Lucerna, in Svizzera, Nardulli ricopre diversi ruoli e gira tra ristoranti stellati. «Per la Benetton con Briatore responsabile, dal 2014 al 2016, sono stato executive chef e responsabile di circa 28 hotel di proprietà. Ho  lavorato anche dietro le quinte di Masterchef per le prime 2 edizioni, dove mi occupavo dei formazione dei concorrenti».

Poi l’esperienza Al Cason a Lignano, l’incontro con la compagna e da lì un cambio di direzione. «La mia compagna voleva abitare nel Collio e prima di partire per una nuova esperienza lavorativa in provincia di Udine al Paradiso di Pocenia, le ho detto che se avesse trovato una casa in mezzo al verde ci saremmo trasferiti subito. In tre giorni ha trovato un posto di cui mi sono innamorato subito. Finita la stagione al ristorante ho visto che non c’erano ristoranti nella mia zona, mi sono ingegnato e ho avviato le procedure per aprirne uno a casa mia».

Tutto inizia con il passa parola e una pagina Facebook del ristorante. «Il mio nome non è comparso da nessuna parte all’inizio, non volevo che si pensasse che fosse un ambiente da ristorante “stellato”. Cucino sul fornello di casa e la cosa più “strana” che ho in fatto di attrezzature è il Roner, ma -ripeto- faccio cucina di casa, perchè voglio che chiunque entri qui si senta in una situazione informale e a suo agio». La formula funziona, la voce si sparge e arriva una variegata clientela. «Una volta sono venuti quattro vescovi di Gorizia, un’altra Ralph Schumacher, poi il proprietario della Birkenstock. Tutti però cercavano la stessa cosa: sentirsi a casa passando un po di tempo a mangiare insieme, in maniera libera. Miro ad offrire questo tipo di esperienza a chiunque venga a sedersi al mio tavolo».

Piatti per raccontare il territorio

Cosa si mangia alla Taverna? «Carne, pesce o anche, quando disponibile, selvaggina. I piatti si decidono al momento della prenotazione. Seguono un discorso stagionale e sono legati al territorio: raccolgo erbe spontanee e mi rifornisco da piccole aziende e piccoli produttori nei dintorni. Per il pescato lo scelgo quotidianamente da alcuni pescatori, mentre la selvaggina la procuro io in quanto mi dedico anche alla caccia. Di solito offro un’indicazione, un’idea di piatti che potrei cucinare, ma tanti mi dicono “fai tu”. In piccolo quello che fa Dario Cecchini in Toscana valorizzando e comunicando il territorio».  Prodotti locali sono dirottati per creare piatti leggibili e diretti, a partire dalla selvaggina, interpretata in maniera tutt’altro che banale. Un esempio? Tartare di cinghiale, dal sapore incredibilmente pulito e delicato. «Diverso da quella che puoi assaggiare in altri posti».

Se ai fornelli c'è Christian insieme al sous chef Nicolas Zampa, la carta dei vini è uno spazio dedicato ai produttori di zona. «Ho circa 900 etichette. Il primo che mi ha portato i suoi vini è stato Josko Gravner. Pian piano ho creato un posto dover poter venire a scoprire i vini del Collio e le diverse aziende. Qui i clienti bevono e mi chiedono di mettermi in contatto con la cantina per poi acquistarli. É un modo per stare con i clienti e fare promozione, raccontargli il Collio e i suoi vini.  Per scelta i vini del collio sono a prezzo di costo di cantina più un paio di euro per il costo di servizio. Trovo che sia il modo migliore di promuovere il vino del territorio nel mio ristorante».

Se non siete del Friuli, prendete una camera in affitto a Cormons, Dolegnano del Collio, Oslavia o San Floriano, in mezzo al verde dei boschi e dei vigneti di Friuliano e Ribolla Gialla. Se vi sentite più internazionali, va bene anche in Slovenia, a cavallo del confine Italiano. Un pranzo o una cena alla Taverna sul Collio possono diventare l’incipit per conoscere l’offerta di questa zona in termini di cibo e vino. É sconsigliato fare poche domande mentre si mangia, perché sarebbe un’occasione mancata. Date sfogo alla curiosità: chiedete degli ingredienti, ma anche di raccontarvi qualche aneddoto sui personaggi che si sono seduti a quel tavolo e visto che ci siete, qualche consiglio sulle cantine della zona. Lontano da un ristorante convenzionale, la Taverna sul Collio è una cucina di territorio di alto livello offerta proposta nella maniera più semplice possibile.

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