«Maretta». È questo il termine che usa la presidente del Consorzio dell’Oltrepò Pavese Francesca Seralvo per descrivere la situazione della denominazione all’indomani delle dimissioni dal Consiglio di amministrazione di cinque rappresentanti della categoria imbottigliatori (Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Azienda vitivinicola Vanzini, Società agricola Vercesi Nando e Maurizio e Losito e Guarini) in polemica con il lavoro dell’ente di tutela. La fuoriuscita delle cinque aziende – per il momento solo dal Cda non dal Consorzio – ha molto sorpreso la presidente, eletta appena quattro mesi fa. Al Gambero Rosso ha raccontato la sua versione dei fatti e i piani futuri per la denominazione.
Partiamo dall’analisi della situazione. I fuoriusciti avevano già palesato il loro malcontento?
Nei precedenti incontri c’erano stati dei confronti su vari argomenti, com’è giusto che sia, ma non era emerso un atteggiamento così negativo. Le dimissioni irrevocabili ci hanno sorpreso perché arrivate senza nemmeno un tentativo di dialogo e questo, da presidente, mi è molto dispiaciuto.
Ad essere andati via sono tutti imbottigliatori - cinque su sette – cosa potrebbe non essere andato giù alla categoria?
La risposta che mi sono data è una sola, ovvero la paura e la difficoltà di digerire il cambiamento.
In particolare, a quale cambiamento si riferisce?
Storicamente gli imbottigliatori hanno sempre avuto un ruolo cruciale nelle decisioni dell’Oltrepò Pavese. A marzo, però, qualcosa è cambiato: per la prima volta nel Cda sono andati in maggioranza i viticoltori e chi si occupa della filiera completa, grazie al supporto delle cooperative Terre d’Oltrepò e Torrevilla.
Parla della scelta del mondo cooperativo di convogliare i voti da grande elettore sui candidati produttori di filiera e non, come accaduto finora, sugli imbottigliatori?
Esattamente. Diciamo che le cooperative per la prima volta si sono girate verso di noi e ci hanno dato possibilità di ottenere la maggioranza.
E questo ha cambiato gli equilibri?
Noi non abbiamo nulla contro gli imbottigliatori. Quello che abbiamo chiesto ad ognuno è di portare le proprie competenze in un progetto territoriale.
Un progetto che riguarda anche il valore della denominazione in termini di prezzi?
In questi anni, aver sempre privilegiato lo sfuso ha disallineato un po’ il lavoro. Quello che, come Consorzio, stiamo cercando di fare è privilegiare la filiera completa, pur rispettando tutte le categorie e gli attori del territorio. Se aumenta il valore, i benefici arrivano per tutti. Non so se questo può averli spaventati.
Nel comunicato che i cinque fuoriusciti hanno diffuso, il Consorzio è accusato di una gestione poco trasparente. Come se lo spiega?
Sinceramente non me lo spiego. Io sono in carica da appena quattro mesi: un periodo troppo breve per prendere delle decisioni di rilievo. L’unica scelta già presa è stata quella di cambiare il direttore.
L’addio al direttore Carlo Veronese potrebbe averli indispettiti?
È vero che loro hanno votato contro questo cambiamento, ma successivamente si sono espressi a favore del neodirettore, il cui nome sarà annunciato a settembre. D’altronde, è stata una scelta strategica: avevamo bisogno di una profonda rifondazione, di un cambio di passo. E per farlo bisognava scegliere una figura che non fosse legata alle vecchie dinamiche. In questo momento, un cambiamento era necessario: lo stanno capendo tutti i produttori che stanno riacquistando fiducia in sé stessi.
Di questo ne avevate parlato con tutto il Cda, imbottigliatori compresi?
Doveva essere un cambiamento condiviso. Mi piacerebbe dire che abbiamo già preso delle decisioni per il futuro ma non è così. Per giovedì 11 luglio era già previsto un nuovo incontro del Cda, il terzo dal mio mandato. Loro si son tirati indietro prima di iniziare.
Il Cda si riunirà ugualmente?
Certo. Noi andiamo avanti per la nostra strada. Giovedì procederemo con la cooptazione dei cinque nuovi consiglieri in sostituzioni dei dimissionari.
In un altro passaggio del comunicato diffuso dalle aziende fuoriuscite si parla anche di un rischio di dissesto finanziario. È davvero così?
Non lo trovo corretto da parte loro: è un’affermazione priva di logica. Torno ai quattro mesi dall’insediamento: come si può accusare un nuovo Cda della situazione degli ultimi quattro anni? Oltretutto, la destinazione dei fondi per la promozione – principale voce di spesa del Consorzio – era stata approvata dal precedente Consiglio. Al di là dei costi per il cambio della figura del direttore, non abbiamo ancora approvato altre spese. Stiamo anzi lavorando per ridurre i costi di gestione del vecchio Consiglio. Saremo pienamente responsabili del bilancio 2026.
Intanto, anche la Regione Lombardia si è detta preoccupata della situazione e si è offerta per fare da mediatore …
Con la Regione abbiamo un dialogo aperto costante e positivo. Prossima settimana è fissato un appuntamento con l’assessore all’Agricoltura Alessandro Beduschi per fare il punto.
Usa spesso la parola cambiamento. Cos’è che non andava nel passato dell’Oltrepò e quali gli errori principali che sono stati commessi?
Fondamentalmente è sempre mancata una strategia. E questo ha portato a una dispersione delle risorse. Perché, se mancano un progetto e una strategia non si arriva a destinazione. Anzi la destinazione non sai neanche quale sia.
Qual è oggi la destinazione del Consorzio?
Rilanciare il territorio con i suoi vini, attraverso un progetto chiaro e condiviso da tutti.
In questo progetto, il Pinot Nero avrà un ruolo determinante?
È una delle anime del territorio su cui lavorare e sicuramente, delle tante uve, è quella che ha maggiori potenzialità nelle sue diverse versioni. A fine settembre avremo il principale evento della zona che è Oltrepò: Terra di Pinot Nero. Tuttavia, credo che per il futuro dovremmo parlare meno di vitigno e più di territorio.