L'esperienza del turismo del vino coinvolge 13,4 milioni di italiani e il 64,5% dei viaggiatori, particolarmente gli statunitensi e gli europei. Il loro livello di soddisfazione degli italiani è molto alto, con tre clienti su quattro che si dicono soddisfatti, in particolare per la qualità del servizio durante le visite in cantina e le altre iniziative, per i rapporti con la comunità locale e per le modalità di presentazione delle esperienze proposte. Mentre per i giovani under 24 il giudizio cambia ed è meno positivo con la categoria che indica margini di miglioramento soprattutto in merito alla qualità del servizio, alla facilità di prenotazione e al reperimento di informazioni (non è la prima volta che vengono evidenziati i limiti di questo segmento economico). La percezione dei nativi digitali è influenzata da un uso più spinto di internet e dei social network. I dati sono emersi durante il Vinitaly, grazie alla prima indagine sull’enoturismo frutto del protocollo d’intesa tra Ismea e Aite (Associazione italiana turismo enogastronomico).
Pubblico sempre più esigente
L’indagine, illustrata durante il convegno In viaggio tra vigne e cantine: numeri, profili e tendenze dell'enoturista italiano, ha evidenziato come la maggior parte dei turisti (50% tra quelli generici e quasi 55% tra quelli legati al mondo del vino) si trattengono nei luoghi di vacanza per 2 o 3 giorni, andando oltre il classico mordi e fuggi. Il 31% indica una durata di 4 giorni o più e questo valore sale per gli enoturisti al 38%. Tra i wine lover, la metà ha visitato una o due cantine, il 36% almeno tre strutture, ma si osservano valori anche più alti nella classe tra 25 e 34 anni di età.
Enoturismo vitale
«Il turismo legato al vino - secondo la relazione introduttiva di Tiziana Sarnari, analista ed esperta di Ismea - si dimostra ancora più vitale per le cantine in annate meno fortunate come quella appena trascorsa, in cui alla lieve battuta d’arresto dell’export, si associa una stagnazione della domanda domestica». Secondo la presidente di Aite, Roberta Garibaldi, il comparto enoturistico rappresenta ormai un «fenomeno rilevante in termini economici e in ulteriore crescita per i ricavi delle aziende italiane del vino. Il livello raggiunto dall’enoturismo - ha sottolineato - è tale da richiedere una vera e propria analisi scientifica strutturata, per poter delineare i flussi in ingresso e colmare il gap tra il desiderio del turista e la reale fruizione e per realizzare progetti di sistema, accompagnando il turismo rurale e gli investimenti pubblici e privati necessari per rilanciare occupazione e creare ricchezza». Secondo l'esperta, si sta andando verso una definizione di enoturista standardizzata in base al lavoro tra Unwto (l'agenzia delle Nazioni unite che si occupa di turismo) e Oiv (l'Organizzazione internazionale della vite e del vino), che accompagnerà queste ricerche.
Terzo pilastro
L'Oiv ha riconosciuto l'importanza del comparto enoturistico. Lo ha spiegato lo stesso Giorgio Del Grosso, capo del dipartimento statistica e trasformazione digitale dell’Oiv, intervenuto al convegno con un video messaggio: «L’enoturismo – ha affermato – è un driver di sviluppo locale e rurale e uno strumento di diversificazione del reddito. Per questo motivo è stato introdotto come terzo pilastro del nostro attuale piano strategico». Per lo stesso motivo è nata l'intesa tra Oiv e Unwto. E per analoghe ragioni è stata siglato il protocollo tra Ismea e Aite. «L’obiettivo dell’intesa - ha dichiarato il presidente di Ismea, Livio Proietti - è mettere sotto la lente di ingrandimento le principali variabili qualitative e quantitative dell’enoturismo italiano, un segmento rilevante del sistema vitivinicolo nazionale che, come anche l’agriturismo, rappresenta un’importante leva di marketing, preservando l’attrattività delle aree rurali sempre più soggette a fenomeni di spopolamento».