Il cliente ha sempre ragione, recita il mantra della ristorazione. Anche quando francamente rompe le scatole con richieste irragionevoli, tragicomiche o decisamente irritanti. Tra queste occupa un posto d’onore la grande famiglia delle intolleranze. Pensateci: fino a solo dieci, 15 anni fa si sceglieva dal menù evitando i piatti con ingredienti che non piacevano o che creavano problemi alla digestione, e tutti amici come prima.
Poi, sarà l’arrivo della dittatura dei menù degustazione o il grado di insofferenza che è salito alle stelle, è diventato cura, o piuttosto obbligo, del ristorante chiedere al cliente di “segnalare eventuali intolleranze”: etiche, salutari o semplicemente di gusto.
Ormai da noi è un fatto acclarato, come la scelta tra l’acqua con o senza bollicine e il pane con l’apposito piattino (a sinistra, è quello di sinistra!).
Ma ciò che diamo per scontato alle nostre italiche latitudini non sempre lo è altrove nel mondo. Sacche di resistenza allo strapotere digestivo di colui o colei che ha sempre ragione esistono. Noi le abbiamo trovate a Vilnius, capitale della Lituania (per capirci quello dei Paesi baltici che sta più in basso, sulla cartina).
Cucina nordica design pure, con un’intrusione
Nel centro di una graziosissima Vilnius, non a caso scelta come set da innumerevoli film e serie tv, da Stranger Things a Chernobyl al Giovane Wallander, Nineteen18 è un locale assai chic, in un palazzo del Seicento ristrutturato con gusto minimalista. Si trova all’interno di un complesso, Senatorių Pasažas, che nel 2020 è stato trasformato in una sorta di hub culinario in cui il focus è sulle materie prime locali coltivate in modo sostenibile. Tanto che oltre a due ristoranti accoglie anche un panificio, una macelleria, un'enoteca naturale, una libreria e negozi di arredamento.
Un luogo piacevole dunque con cemento a vista e legni chiari che non sfigurerebbe in una capitale nordica anche più blasonata. A sorprendere però è la cucina, attualissima, con ampi rimandi a erbe e sapori nordici utilizzati con sapienza e misura.
Chef Andrius Kubilius è un po’ rude ma sa il fatto suo, ci diciamo, dalla postazione al bancone affacciato sulla cucina a vista dove si muovono alacremente cinque o sei giovani cuochi di ambo i sessi. Da un ripiano di acciaio – le cucine sono sempre un tripudio di acciai – ci osserva un pelouche a forma di unicorno, che in effetti non immaginiamo tra gli oggetti di design che potremmo trovare, che so, al Geranium di Copenaghen o al Maaemo di Oslo, mutatis mutandis (e comunque il Ninteen18 ha incassato una, meritata, nomina nei 50 Best Discovery ed è segnalato tra i mille migliori ristoranti al mondo da La Liste). E già qui qualche sospetto insorge, allontanato come un pensiero molesto indotto dal designer tetragono che alberga in ognuno di noi.
Il problema è tuo, non mio
Primo pasto e prima volta in un ristorante lituano di un certo peso, anche economico (il prezzo si aggira sui 90 euro) la scelta non può che andare diretta al menù degustazione. Che scorrendo appare interessantissimo: erbe e frutti della foresta, selvaggina, trota. E una sorprendente “carbonara” dove al posto della pasta c’è un sottile strato di asparagi bianchi.
“Per due secoli, sotto l’influenza russa, siamo rimasti tagliati fuori dall’Europa. Poi negli anni ’90 abbiamo raggiunto l’indipendenza ed è arrivato il libero mercato – ci racconta Kubilius -, e siamo passati dal non avere nulla, come nell’epoca sovietica, ad essere invasi da cibo straniero di tutti i tipi anche più assurdi, come la pizza con l’ananas. Poi qualche anno fa abbiamo iniziato a pensare che avevamo tanti ingredienti nostri, da sempre pratichiamo il foraging nelle nostre foreste e lo facciamo per sussistenza, non perché va di moda. E da sempre usiamo le fermentazioni, in tante cantine ancora oggi si trovano i recipienti di vegetali fermentati. Anche seguendo l’esempio della cucina nordica abbiamo quindi iniziato a fare ricerca e a utilizzare gli ingredienti locali”.
Il tutto è molto bello e affascinante, e ci fa sognare e sentire gli aromi di pigne e sottobosco e muschi e bacche e funghi. Senza dimenticare ciò che sta ai Paesi del nord est dell’Europa come l’olio d’oliva sta ai Paesi mediterranei: la panna acida.
Da cliente convinta di avere una certa dose di diritti, oltre che di appetito, dichiaro quindi la mia intolleranza ai latticini, con un giro di parole che vorrebbe essere educato: “Io sarei intollerante alla panna, spero che per voi non sia un problema mi spiace non averlo segnalato prima”. La risposta sembra una battuta: “Ah no, per noi non è un problema, se non lo è per te”.
Avranno capito? Con i piatti seguenti il dubbio si chiarisce: non era una battuta, la panna acida resta, magari nascosta sotto una tortilla o un petalo di fiore e insomma, non rimane che, come mi diceva mia nonna, mangiar questa minestra o saltar dalla finestra. Via di fuga peraltro sconsigliata, trovandosi il ristorante al primo piano.
Se si guarda il lato positivo certo è bello sapere che non tutto nell’alta cucina è omologato, appiattito, globalizzato e ridotto alla vulgata delle materie prime locali e del foraging e della ripresa delle tradizioni perdute, e recuperate. Dal lato negativo, o pratico: se avete problemi con i latticini procuratevi una pastiglietta. E dimenticatevi di avere sempre ragione.
Nineteen18, Dominikonų st. 11, Vilnius - https://nineteen18.lt/en/