Si intitola "Obbligatorietà della doggy bag" la proposta di legge che verrà presentata il 10 gennaio dal deputato di Forza Italia e responsabile nazionale Dipartimento pesca e acquacoltura di FI Giandiego Gatta con il presidente dei deputati di Forza Italia, Paolo Barelli, con l’obiettivo dichiarato di contrastare lo spreco alimentare, come previsto dall’Agenda ONU 2030 (12^ obiettivo).
Come prima cosa sgombriamo il campo dagli equivoci: si chiama doggy bag per consuetudine, è un'eredità (statunitense) di quando chiedere al ristorante un contenitore per portare a casa i resti del pasto era motivo di imbarazzo, per cui era nato questo escamotage, lasciando intendere che gli avanzi sarebbero stati cibo per il proprio amico a quattro zampe. Acqua passata, sembrerebbe. Al punto che non sprecare il cibo potrebbe presto non essere più solo l'ammonimento di un genitore, ma un obbligo di legge.
«In realtà si tratterebbe di disposizioni che concernono la riduzione di rifiuti, quelli che derivano da cibi e bevande non consumate presso l'attività di somministrazione» spiega l'Onorevole Giandiego Gatta. «Ogni italiano contribuisce con 65 kg di cibo l'anno allo spreco alimentare, principalmente per consumi sbagliati a casa o nel ristorante, ridurre lo spreco coniuga tre diverse esigenze: una di natura etica, una di materia ambientale, e una che ha a che fare con la nostra cultura e lungimiranza».
Fare qualcosa contro lo spreco alimentare non è solo un imperativo morale, di fronte a regioni nel mondo in cui scarseggia il cibo, ma significa anche ridurre la pressione sul cibo di rifiuti e impiegare con maggior consapevolezza le risorse, preservandole per le generazioni future, «in un momento in cui diminuisce la disponibilità del cibo per la popolazione mondiale, per cui si parla di ricerca di cibi alternativi come la carne sintetica o le farine di insetti, è importante non sprecare le risorse a disposizione e modificare il nostro stile di vita per ridurre lo spreco, e con esso anche la perdita economica».
Obbligare i ristoranti a mettere a disposizione dei clienti (con sanzioni minime tra i 25 e i 125 euro «con scopo educativo, non vessatorio» in caso di mancato rispetto) vuole spingere a nuove abitudini di consumo, fuori e dentro casa. In buona sostanza, si rende obbligatorio quel che in gran parte dei ristoranti si verifica già, in modo volontario. Attenzione però: la maggior parte degli sprechi alimentari nella ristorazione avviene durante la fase di preparazione degli alimenti (45% del totale), solo in seconda battuta si deve ricercare nei piatti dei clienti (34%), senza dimenticare il deterioramento dei cibi (21%).
Le reazioni alla proposta
Se il plauso è pressoché unanime, da più parti si solleva qualche perplessità: «Come consumatrice, avere la possibilità di portare a casa gli avanzi è un atto di buon senso e di rispetto verso il cibo – dichiara Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, per esempio, segnala che «lo spreco a tavola si combatte prima ancora di mettere le gambe sotto a un tavolo in un'osteria, in una pizzeria o in un ristorante. Lo si combatte attraverso l'educazione alimentare, comprendendo il valore del cibo, il modo in cui viene prodotto, confezionato, venduto e distribuito e scegliendo di conseguenza», quindi ben venga un meccanismo che consenta la più ampia diffusione della doggy bag negli esercizi pubblici, purché non gravi sulle spalle dei ristoratori già coinvolti nell'educazione all'alimentazione, ma è insufficiente se pensato da solo: l'impegno deve riguardare tutta la filiera, attuando «interventi decisi a livello politico e gestionale». Il punto per Fipe, che pure esprime apprezzamento per un’iniziativa che ha il pregio di accende un faro su un tema, è convincere i consumatori, responsabilizzandoli sulla necessità di adottare abitudini più corrette lasciandosi alle spalle imbarazzi e resistenze verso l'uso delle doggy bag che - non dimentichiamo - è già una realtà in gran parte del Paese. Motivo per cui parte fondamentale della proposta dovrebbe essere legata a iniziative di sensibilizzazione che diffondano una vera e propria cultura della sostenibilità alimentare. Secondo Coldiretti/Censis, invece, i tempi sarebbero maturi: da un'indagine emerge che il 49% degli italiani (percentuale che cresce quasi di 10 punti tra i giovani) sarebbe pronto a chiedere la sportiva per recuperare il cibo non consumato, conseguenza anche di una nuova sensibilità green che coinvolge anche le buone pratiche a tavola oltre che da esigenze di risparmio. Ancora c'è qualche resistenza, ammettono, che oggi si supera spesso con l'arma della discrezione con cui si propone di portare via cibo o bottiglie non finite. A breve si spera che non sarà più necessario, come già accade in altri Paesi dove la doggy bag è pratica frequente, quando non obbligatoria, come in Francia e Spagna.
La proposta di legge
La proposta di legge che potrà ancora essere migliorata - «siamo aperti a modifiche e aggiunte che le associazioni di categoria o quelle dei consumatori o di chiunque graviti nel sistema della ristorazione» commenta Gatta - prevede, secondo quanto si legge nel testo che il Gambero Rosso è in grado anticipare, l’introduzione per gli esercizi di ristorazione e più in generale per le attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, dell’obbligo di mettere a disposizione dei clienti che li richiedano dei contenitori riutilizzabili o riciclabili che consentano di portare via cibi o bevande non consumati in loco nel rispetto delle norme igienico sanitarie. Non c'è però l'obbligo da parte del consumatore di portare via cibi e bevande non consumati in loco.
Obbligo di informazioni
La proposta introduce, inoltre, l’obbligo per gli esercenti di offrire una adeguata comunicazione della disponibilità del contenitore, così da indurre il cliente ad utilizzarlo. Insomma: il ristorante deve anche informare i clienti di questa possibilità.
Il contenitore
Il ristoratore deve munirsi di vaschette riutilizzabili o riciclabili. Ma a carico di chi sono? «Sta al buon senso di ognuno, si parla in ogni caso di pochi centesimi a vaschetta». In ogni caso la proposta di legge prevede anche la possibilità di imporre una cauzione o di utilizzare altri metodi il contenitore riutilizzabile (si pensi al PAS – Packaging as a service). Tra le ipotesi messe nero su bianco, anche l'uso di diversi strumenti, anche tecnologici, idonei ad incentivare la restituzione e/o a penalizzare la mancata restituzione entro un termine stabilito.
Il contenitore riutilizzabile o riciclabile può anche essere portato direttamente dal consumatore (che ne è responsabile dell'igiene e dell'idoneità), purché esso rispetti le norme igienico-sanitarie per la pulizia e l'idoneità dei contenitori riutilizzabili o riciclabili, norme che devono essere esposte in un apposito cartello informativo all'interno dei locali. Il ristorante può rifiutarsi di servire il consumatore se il contenitore portato da quest'ultimo è palesemente sporco o non idoneo. In tal caso, deve fornire un contenitore riciclabile o riutilizzabile adeguato.
La responsabilità
Ma cosa succede se qualcuno si sente male? Di chi è la responsabilità della salubrità del cibo una volta che questo esce dal ristorante? «Nel momento in cui viene impacchettato e consegnato il cibo avanzato, in linea di massima il consumatore ne è responsabile. Ma quello della sicurezza alimentare è un tema delicato: per ora il testo disegna a grandi linee le norme che approfondiremo in sede di audizione, e arricchiremo con indicazioni date dal mondo della ristorazione e dalla Commissione Sanità».
Non è una questione secondaria: un cibo si può rovinare perché mal conservato, perché non si hanno le nozioni o gli strumenti adeguati per trattarlo correttamente, soprattutto nei casi in cui questo sia esotico o diverso da quello che abitualmente viene preparato e consumato tra le mura domestiche.
In caso di controversie come ci si regola? Per i ristoranti c'è l'obbligo di informare i clienti di come trattare i resti di cibo per evitare proliferazioni batteriche o contaminazioni? «Si dovrà studiare un format per i locali con cui dare indicazioni delle regole per pulizia e idoneità. Ma non è certo una perplessità peregrina, anche se in realtà nessuno si è prefigurato un caso del genere, un po' perché diventa difficile dimostrare dove nasce il problema, un po' perché già succede nei ristoranti che offrono questo servizio, nelle tavole calde o nei locali che propongono cibo da asporto: e tutto quel che attiene alla conservazione del cibo entra nell'orbita della responsabilità personale del consumatore. Poi se dobbiamo fare in modo che i ristoratori debbano dare indicazioni, faremo nostre le loro proposte: fa parte della responsabilità del legislatore».