"Da un punto di vista economico i danni della contraffazione sono sottostimati intorno ai 600 milioni di euro. Questo è quello che ci sfugge, che non riusciamo a controllare. La parte che riusciamo a contrastare come Consorzio di Tutela è molteplice". Lo rivela il Presidente del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana Dop, Domenico Raimondo, in una intervista all'alba del suo quinto mandato alla guida dell’organo di tutela del latticino più amato del mondo. "Per contrastare gli abusi abbiamo istituito una task force - spiega il presidente Raimondo - e grazie alla legge ex-officio gli ispettori riescono a captare chi delinque in Italia e in Europa: insieme ad altre Dop (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Gorgonzola) abbiamo fatto un’approfondita formazione per creare un corpo di ispettori specializzati che girano continuamente per l’Europa, che fanno segnalazioni e riferiscono ai Consorzi di Tutela eventuali frodi".
Ambita e invidiata in tutto il mondo, la mozzarella di bufala campana è troppo spesso vittima di illeciti, e subisce inevitabilmente i danni legati a frodi e contraffazioni: sia per i consumatori che per le aziende socie che puntano all'eccellenza nella qualità. Presidente, come si muove il Consorzio di tutela?
In Italia la cosa è abbastanza sotto controllo: facendo 15mila controlli l'anno solo in Italia all'interno del Consorzio, riusciamo a tenere d'occhio il territorio. Ma lo controlliamo "a valle" fingendoci consumatori, acquistiamo il prodotto e poi verifichiamo se è stato rispettato il disciplinare. In ordine di gravità c'è poi il problema della vendita online. Le piattaforme social vendono di tutto, prodotti illegali compresi. Le mozzarelle fake si comprano su Facebook e Instagram, e benché sia difficile risalire al venditore, qualcuno lo abbiamo anche acciuffato. Nel 2022 su 3.606 link scrutinati, in 713 abbiamo riscontrato illecito ed è stato necessario agire.
Tuttavia, il più grande problema di contraffazione avviene Oltreoceano. Gli Stati Uniti e la Cina sono i Paesi dove è più difficile perseguire a causa dell'estensione dei territori, e di regolamenti diversi che rendono difficile il contrasto. Il nostro obiettivo è lavorare con gli Stati Uniti per farci riconoscere le nostre Dop italiane e portare a casa un risultato che ci permetta di far pagare a chi delinque il giusto prezzo, ed evitare così che una determinata fascia di operazioni illecite sottragga ulteriori capitali alla nostra filiera, che dà lavoro a circa 11 mila addetti.
La delicata pelle della mozzarella non si può marchiare: è tutto affidato alla confezione. Serve una più severa etichettatura?
Sulla mozzarella non possiamo apporre un microchip come fa il Parmigiano Reggiano, ma per fortuna siamo l'unica filiera al mondo che possiede una particolarità unica: riusciamo a seguire i quantitativi di latte dalla bufala che mungiamo la mattina fino alla mozzarella che arriva sul tavolo. È possibile grazie a controlli incrociati – che partono dal singolo animale esaminato prima e dopo la mungitura – che permettono di monitorare quanto latte produce un allevamento, quanto ne conferisce al trasformatore, e quanto di quel latte questi ne trasforma. Di conseguenza, il trasformatore che si assoggetta con delle clausole a firmare il disciplinare di produzione è difficile che faccia pasticci, perché dalle quantità di latte prodotte possiamo verificare i numeri.
Come può difendersi il consumatore?
Il consiglio pratico che possiamo dare è di comprare sempre mozzarella di bufala confezionata, e mai "sfusa". Bisogna avere l'abitudine di leggere l'etichetta: sulla confezione cartacea, contenuta della bustina trasparente con presenza di liquido di governo, devono sempre essere presenti la dicitura "Mozzarella di Bufala Campana Dop", il logo del consorzio di tutela con la testa della bufala, e quello della Denominazione di origine protetta, nonché gli estremi di legge nazionali e regionali, e il bollino sanitario che identifica in maniera univoca uno stabilimento di produzione, nonché il numero di autorizzazione del caseificio: questi sono gli elementi che assicurano la completa tracciabilità del prodotto.
Da una ricerca promossa da Afidop (Associazione Formaggi Dop e Igp italiani) che ha valutato l'entità e le modalità con cui i formaggi Dop sono riportati nei menù dei ristoranti, risulta che la mozzarella di bufala campana è il latticino Dop più presente nei menù dei ristoranti italiani.
Confermo. La mozzarella di bufala campana Dop figura nel 90% dei menu esaminati (un campione di 21,800 esercizi) e l'acronimo "Dop" è riportato nel 46,5% dei casi, come elemento distintivo rispetto a una mozzarella generica. Ma in taluni casi si tratta di uno specchietto per le allodole, senza che in realtà venga servita la vera mozzarella Dop.
Quello che è grave è che il bacino più grande di questo abuso è costituito dalle destinazioni turistiche cosiddette "di lusso". Nel corso dei controlli si è scoperto che i turisti venivano ingannati anche nella famosa piazzetta di Capri, meta del lusso e del jet set internazionale, dove un ristoratore indicava nel menù pizze con mozzarella di bufala campana Dop, ma in realtà le preparava con mozzarella vaccina pugliese. Identico raggiro in un locale vicino al Duomo ad Amalfi. In un ristorante sul mare a Ischia Porto, la tipica "caprese" era realizzata con mozzarella mista, a prezzi esorbitanti e inspiegabili. Al termine dell'operazione sono stati controllati 14 punti vendita e segnalate 13 violazioni, più una diffida: in pratica il 100% delle verifiche ha riscontrato irregolarità. Sono stati sequestrati 150 chili di prodotti non a norma ed applicate elevate sanzioni per 45 mila euro.
Oltre al danno economico al comparto c'è la truffa nei confronti del consumatore. Che rischi corre?
L'Italia sta vivendo un boom dei flussi turistici dall'estero e gli stranieri hanno voglia di assaggiare l'autentico Made in Italy. Proporre prodotti fake danneggia l'immagine non solo della bufala campana, ma più in generale del comparto agroalimentare che punta tutto sulla qualità. Convinto di mangiare una bufala fresca, il turista meno avvezzo non si accorge che nel piatto è assente il vero prodotto del territorio di origine, un prodotto che magari ha viaggiato lunghe distanze, subìto sbalzi di temperatura e mal conservato. Mangerà in tal modo un prodotto scadente, e così la reputazione del nome, della qualità, dell'accoglienza e la ricezione delle località di produzione della bufala campana soffrono. Al consumatore non è stato dato quello che gli è stato promesso.
C'è in particolare un rapporto controverso con la pizza. Da ideale "compagna di viaggio" la pizza può diventare per la mozzarella di bufala Dop un potenziale nemico. Quali sono le strategie per frenarlo e evitare che sulle tonde venga aggiunto un prodotto scadente?
L'abuso del marchio Dop in pizzeria è una pratica ahimè comune. Sui menù di alcune pizzerie del territorio, la dicitura 'Mozzarella di Bufala Dop', attrae e promette, ma non mantiene, perché alle volte tutto fuorché quella troviamo nel piatto. Il comparto deve fare fronte, ma anche il consumatore va educato al dialogo con il gestore del servizio.
Aprire un dialogo fra consumatore e ristoratore, come?
Va normalizzato il fatto di chiedere al ristoratore da dove viene il prodotto, e se si tratta di una Dop, pertanto protetta. Non ci si deve vergognare di verificare da dove viene il nostro cibo: in presenza di menù dove si fa bella figura (e si alza il prezzo) con il vanto della Dop sulla pizza, è perfettamente lecito chiedere di vedere la il packaging originale del prodotto usato. In pizzeria il prodotto non è come al negozio, dove la confezione ci fa capire cosa stiamo comprando, in pizzeria il pomodoro è in una ciotola, la mozzarella è già frantumata, pronta ad essere adagiata sul disco steso, l'olio non è nella sua bottiglia bensì nell'oliera di rame, bella, certo ma che può potenzialmente nascondere un olio d'oliva di dubbia provenienza.
Parola d'ordine trasparenza, quindi.
Sì, per il consumatore, chiedere di vedere la confezione della mozzarella che è stata usata per la nostra Margherita, il barattolo del pomodoro, o la bottiglia dell'olio, nonché poter leggere le etichette non è essere sospettosi o malfidati, è il sacrosanto diritto di esercitare una scelta. È una questione di fiducia. Di reciproco rispetto.