Da Giacomo Giannotti, bartender di Paradiso (arrivato quarto nella World’s 50 Best Bars 2023 ma primo lo scorso anno) ad Agostino Perrone, Giorgio Bargiani e Maura Milia del Connaught Bar di Londra, a Simone Caporale del Sips a Barcellona, sono tanti gli italiani che hanno deciso di trasferirsi e investire all'estero. C'è un motivo o è una semplice casualità? Lo abbiamo chiesto a Caporale che, insieme a Marc Álvarez, gestisce l'attuale miglior cocktail bar al mondo.
“La meritocrazia l'ho conosciuta in Inghilterra, Barcellona è perfetta per gli investimenti”
“Vivo e lavoro fuori dall'Italia da vent'anni, quello che posso dire con certezza è che la meritocrazia l'ho conosciuta in Inghilterra. A Barcellona, invece, va dato atto di essere una città dove si vive bene ed è ottima per gli investimenti. C'è un circuito culturale che tocca la gastronomia in toto, c'è un pubblico molto curioso e abbastanza esigente, a mio avviso è un posto dove vale la pena mettere a frutto i propri sforzi”. Tutta la Spagna è così? “Barcellona è Barcellona, non rispecchia l'intera Spagna. Lo dico per una questione di stimoli, c'è un'alta concentrazione di cultura gastronomica, ed è internazionale”. Non è dunque un caso che la città catalana, da tre anni a questa parte, si porti a casa il primo gradino del podio della classifica dei bar più famosa e riconosciuta al mondo, sbaragliando le roccaforti londinesi e newyorkesi.
La scena dei cocktail bar a Barcellona
“Il livello dei cocktail bar a Barcellona credo sia indiscutibile da parecchio ormai, già cento anni fa qui era normale bere un ottimo cocktail”. Simone, nello specifico, fa riferimento a Boadas Cocktails, il più antico cocktail bar di Barcellona, rilevato recentemente proprio da Caporale. “Quello che le mancava era la forza mediatica che ha acquisito negli ultimi anni anche grazie agli sforzi (economici, ndr) fatti dal Paradiso, e prima di lui da quello che è stato, per molto tempo, forse l'unico bar che si è impegnato a divulgare il lavoro e la passione del bartender, ovvero il Dry Martini di Javier de las Muelas. Ma ci sono decine di bar in città che fanno bene il loro, chiaro, sempre a fronte di centinaia di locali che propongono porcherie!”. Un po' come accade in Italia, a differenza di un percepito, il nostro (specie della stampa generalista), sempre orientato a criticare e demonizzare chi lavora di notte, specie con alcol e affini. Incalzando Simone sul concetto di mala movida (concetto e parola abusati durante la pandemia), non abbiamo infatti ottenuto nulla: “Qui nessuno parla di mala movida, Barcellona è una città dove le persone vogliono divertirsi e ce n'è per tutte le tasche. Ovvio, ci sono zone più turistiche e “trash”, passatemi il termine, ma chi non vuole i chupito a un euro, ci sta alla larga”.
“Trattare le persone come re e trattare i re come persone”
Come sempre, dunque, è la qualità della proposta a differenziare il tipo di clientela. Il che non significa che i cocktail bar di livello debbano essere luoghi esclusivi, anzi, sempre di più sono spazi aperti a tutti. Il balzo di oltre cinquanta posti in classifica di Freni e Frizioni, ne è un esempio. Per chi non lo conoscesse, a Roma, è un punto di ritrovo per tutte le età, dove Riccardo Rossi e il suo team macinano centinaia di cocktail al giorno mantenendo sempre elevata la qualità delle materie prime utilizzate e delle tecniche di miscelazione.
In linea con il motto di Sips: “Treat people like kings and treat kings like people. È il mantra che ci accompagna da sempre - racconta ancora Caporale - uno dei cavalli di battaglia del Sips è il servizio offerto al cliente, qui ci si concentra principalmente sulle energie umane, poi la metodologia di lavoro, l'idea del cocktail che abbiamo, il rispetto e la valorizzazione della materia prima, sono step (importanti) ma successivi”. Domanda a bruciapelo: tornerai mai in Italia? “In vacanza sicuramente o, perché no, quando sarò in pensione”. Lol.