“Una guida per i giornalisti” recita il sottotitolo (il titolo è “Report sull’alcol”), ma non è un decalogo per approcciarsi al mestiere, bensì un decalogo su come non fare questo lavoro, dal momento che promuove un unico punto di vista: l’alcol fa male, sic et simpliciter. Peccato si tratti di un report pubblicato dall’Oms (qui il testo), la principale organizzazione mondiale della sanità che, partendo da un unico presupposto – l’alcol fa male – sembri voler dettare la linea al mondo dell’informazione.
Le linee guida dell’Oms e il pensiero unico
L’impostazione è chiara da subito e racchiusa in una frase che costituisce la tesi da cui si parte e a cui si vuole arrivare: “No amount of alchol is safe to drink”. In pratica, non esiste una quantità sicura di alcol. Il resto consiste in una serie di punti in cui a delle Faq si danno delle risposte preimpostate (takeaway), con buona pace della parola “giornalismo”.
Esempio: “Neanche un po’ di alcol fa bene alla tua salute?”. Risposta: “No, non c’è un’evidenza per cui una quantità moderata di alcol aiuti le persone a vivere più a lungo, diminuendo il rischio di problemi di cuore, diabete o infarto”. E così via per 45 pagine, che culminano in un vocabolario dei termini da utilizzare, perché “la responsabilità principale di avvocati e giornalisti è usare un linguaggio accurato e non dannoso al loro pubblico”. Ma siamo sicuri che tutto ciò faccia bene alla libera informazione?
La denuncia francese
A denunciare questo schiaffo alla libertà di stampa è stata Krystel Lepresle, Ad della società francese Vin & Société, in un articolo pubblicato sul magazine francese “Vitisphere” dal titolo “Quando l'Oms insegna ai giornalisti a pensare all'alcol!”. Il tono è ironico: “I giornalisti sono incorreggibili. Attaccati alla loro indipendenza, si sforzano di portare a termine la difficile missione che considerano la loro all’interno delle nostre società democratiche: informare i loro concittadini con rigore, etica e responsabilità. Quando si parla di bevande alcoliche e questioni culturali, economiche o sanitarie legate al loro consumo, alcuni giornalisti hanno l'ardire di sottolineare che la moderazione rischia di costituire una scelta ragionevole (e scientificamente fondata). Ma per l’Oms c'è solo una scelta ragionevole: non bere una goccia di alcol”.
Tra gli autori anche un ex Ordine dei Templari
Parlando di un “monumento della disinformazione”, Lepresle sottolinea come le linee guida Oms siano zeppe di assolutismi e imprecisioni e si sofferma, in particolare, su alcuni punti. Il primo è il profilo di chi ha redatto la guida che definisce “il fiore all'occhiello della nebulosa igiene internazionale”. A chi si riferisce? Dalla Ncd Alliance a Eurocare (“una lobby anti-alcol infiltrata a tutti i livelli delle istituzioni europee”, scrive), passando per la Global Alcohol Policy Alliance o l'organizzazione Movendi International, ovvero l’ex Ordine Internazionale dei Buoni Templari. “Questa lega evangelica della temperanza, creata nel 1851, ha svolto un ruolo importante nell'istituzione del proibizionismo americano e continua a lavorare per l'avvento di un mondo finalmente libero da tutte le bevande alcoliche”.
Ignorati gli studi sugli impatti positivi del vino
Il secondo punto contestato riguarda l’approccio e le “raccomandazioni basate sull'evidenza” che, scrive Lepresle “generalmente dimostrano solo una cosa: che i nostri attivisti dell'astinenza sanno come selezionare gli studi che funzionano per loro, mentre gli altri vengono sorvolati o screditati”. Di fatto, non vi è nel dossier nessun riferimento a quegli studi secondo cui il vino (rosso in particolare) avrebbe un impatto positivo sul rischio di comparsa di certe patologie cardiovascolari. Tra gli ultimi c’è quello pubblicato sulla rivista americana Bmc Medical Education, secondo cui tre e bicchieri di vino rosso riducono del 4% il rischio di mortalità precoce. Le linee guida Oms licenziano il tutto come “mito” o “credenza comune”.
L’appello alla resistenza
L’articolo si chiude, infine, con un’esortazione alla resistenza: “Il vino è parte integrante del patrimonio culturale, gastronomico e turistico della Francia. Modella i nostri paesaggi e fa parte di una storia millenaria. Conosciamolo, apprezziamolo, assaggiamolo con moderazione… Ma non sacrifichiamolo sull'altare di un igienismo globalizzato sempre più disinibito. Resistere al suo assalto è una lotta permanente, difficile ma assolutamente necessaria per preservare il patrimonio culturale che è il nostro bene comune”.
Si parla di Francia in questo caso, ma l’invito è rivolto a tutti i Paesi – Italia compresa – in cui il vino è parte integrante della cultura nazionale. D’altronde che soffino venti di neoproibizionismo è chiaro da tempo, e il caso irlandese degli health warning, è solo l’ultimo atto di un percorso iniziato da tempo e destinato a non fermarsi qui.