Orto e cucina agricola tra Tuscia e Sabina
Un tavolo da otto è tutto apparecchiato, ma non arriverà nessuno a occuparlo. “Hanno chiamato dicendomi che due di loro avevano il Covid... Mezz'ora fa... Gli ho detto di venire, anche in due, che gli avrei offerto la cena per fargli provare la serata, ci tenevo... si sarebbero divertiti. Mi hanno detto che da soli non se la sentivano. Peccato per loro!” Fabrizio Di Romualdo, chef nella campagna di Foglia, sotto Magliano Sabina, ha dismesso da tempo l’ansia da serata. Ha deciso di puntare tutto sulla sua vita, sul piacere di avere intorno il verde e rapporti umani più autentici. “Sinceramente a me non interessa l'aspetto economico in sé. Sono molto più attento alle relazioni con i miei ospiti: è questa la molla che mi ha spinto a stare qui”.
Chi è Fabrizio Di Romualdo
Quarant’anni, Fabrizio è un ex Colonna Boy. Il nome di Antonello (Colonna, appunto, uno dei grandi nomi della ristorazione capitolina) lo porta ancora scritto sulla sua giacca del cuoco. È rimasto legato al ristoratore di Labico fino all’alba del Covid. “Nel 2019 ho fatto l’apertura del suo Bistrot all’aeroporto di Fiumicino, anche se sentivo che non era più il mio mondo, che stavo cambiando, che avevo altre priorità…” Poi è arrivata la pandemia a cambiare il mondo. E col mondo è cambiato radicalmente anche il destino di Fabrizio. Da chef di eventi mondani e grandi numeri a cuoco di un home restaurant da 10 posti nella campagna ai confini tra Tuscia Viterbese e Sabina, lungo la via Flaminia che da Roma porta verso Terni e Rieti.
La campagna come scelta di vita e di lavoro
Appare particolare la scelta di Fabrizio di rifugiarsi in una sorta di buen retiro dopo 22 anni di professione a livelli alti. Tutto sommato, in realtà, non è neppure troppo lontana dalla scelta che ha fatto anche il suo mentore, quell’anarchico ai fornelli che da più di dieci anni si è anche lui arroccato nel suo resort a Labico abbandonando la Capitale (a parte alcuni strascichi residuali) e dedicandosi alla passione della sua vita, al sogno realizzato lì a Valle Fredda in una campagna d’altri tempi anche se a due passi dall’outlet di Valmontone e dall’A1. Anche Colonna, a domanda risponde: “Ho smesso tutto, niente più eventi. Al massimo cene private per non più di 20 persone e di livello solo molto molto alto”.
Dare senso al costo di un piatto
Ecco. Foglia e l’home restaurant di Fabrizio non sarà il resort di Labico, ma la filosofia è in linea. “Da 22 anni lavoro nelle cucine” sorride Fabrizio “E poiché mi piace ancora molto, ho deciso di concentrarmi su ciò in cui credo e che mi piace davvero fare. Sai, in due anni avrò cambiato 700 piatti. È divertentissimo per me stare qui. Ieri sera ho fatto una cena a tema sulle animelle: tutto a base di animelle, le diverse ghiandole della vacca, da quelle che stanno sotto alla mandibola, scendendo lungo la colonna e fino a quelle collocate sopra allo stomaco. Venivano dall’allevamento biologico al pascolo di bruno alpine di Fattoria Lucciano, a poca distanza da qui. Da loro prendo anche lo yogurt che realizzano utilizzando 4 diversi ceppi di enzimi in modo da evitare che ci sia una infestazione del laboratorio da parte di una sola famiglia, perché nessun ceppo riesce a prevalere. Sono queste le cose che mi piace seguire. Qui" continua "trovo ingredienti che a Roma non potrei avere. Del resto, ho sempre pensato che avrei voluto giustificare, dare un senso, al costo di un piatto. Qui ho trovato una risposta alla domanda. Sarà che vengo da una famiglia semplice, legata alla terra per le sue radici, ma qui riesco a dare risposte alle mie domande. Credo che l’etica di un cuoco sia legata inscindibilmente alla scelta di materie prime di qualità, che abbiano un legame con la terra: è una responsabilità che abbiamo verso noi stessi e verso i nostri ospiti”.
L’orto, il padre e una rivelazione
Ma non è pesante una scelta del genere? Dalle stelle alle… stalle, è il caso di dire. Dalle cucine blasonate e dai grandi eventi all’orto da zappare e alle padelle da lavare. “Pochissimo tempo dopo aver aperto, qui, ci è caduto in testa il Covid” racconta Fabrizio “E già la botta non è stata poca cosa. Poi è morto mio padre. Noi siamo originari di Collalto Sabino, a una mezz’ora di auto da qui. Lì ho appreso i sapori della terra, con la cucina e l’orto di mia nonna. Quando ho cominciato qui, mi ha sempre dato una mano mio padre nella cura dell’orto e delle piante di olivo. Con lui abbiamo raccolto le ultime olive, a metà ottobre, e quando è tornato a casa si è sentito male ed è morto. Per me è stato un colpo terribile. Volevo lasciare tutto". Poi cosa è successo? "Poco tempo dopo, una signora ha cominciato a chiamarmi perché voleva venire a cena da me. Io ero chiuso e le dissi che non sapevo quando avrei riaperto. Lei, però, mi chiamava a giorni alterni e insisteva che voleva venire a cena con degli amici. È andata avanti per un mese questa cosa, lei mi chiamava e io mi negavo. Ala fine ho deciso di accontentarla: poi avrei chiuso definitivamente. Così mi comunicò la data in cui lei e i suoi commensali sarebbero stati liberi di venire: l’11 dicembre. Era il giorno del compleanno di mio padre e il gruppo della signora era composto di persone che avevano tutte l’età di mio padre. Per me è stata una rivelazione, come se mio padre dal cielo avesse voluto lanciarmi un segnale, incitarmi a non abbandonare. E ho continuato a portare avanti il mio progetto”.
I Colonna boys
L’approdo alla corte di Re Antonello, per Fabrizio, data al 2001. Lui, appena arrivato, partecipa all’apertura dell’Open al Palazzo delle Esposizioni. “È stata un’esperienza importante”. Cosa ha lasciato maggiormente il cuoco di Labico nel giovane allievo? “La cura per i dettagli, il senso dell’eleganza. È la cifra stilistica di Antonello Colonna. Da lui ci siamo incrociati con Angelo D’Amico che oggi ha il suo ristorante Radici a Melizzano, in provincia di Benevento, con Adriano Baldassarre che ora sta a Tivoli con Li Somari e con Marco Martini che ha il suo locale all’Aventino. Siamo rimasti in contatto fino al 2019”.
Il rapporto con Re Antonello
E il rapporto con Colonna? Cone le sue idee di cucina? “Lui aveva le sue fisse, i suoi paletti. E ricordo che diceva sempre: 'Voi girate, passate, Colonna rimane’. Ricordo che una volta, verso la fine, riuscii a fargli assaggiare un mio piatto che non era per nulla in linea con la sua cucina: guance di rana pescatrice in zuppa di patate e asparagi bianchi. Le guance venivano setacciate finemente e messe nei silpat a forma di semisfera: cotte a 55 gradi in acqua salata diventavano solide quasi come degli gnocchi; le punte di asparagi sbianchite andavano con un’insalatina di asparagi condita con barba di finocchio in salsa ponzu e yozu. Su tutto, una cucchiaiata di caviale: al contraruo di tutto il resto, era questa la cifra che identificava la cucina di Antonello, elegante in ogni particolare, dalla sala al piatto”.
Osservazione della campagna
Come si svolge la vita qui in campagna? “Faccio tutto da solo. Mi sveglio al mattino e decido cosa mi va di cucinare. Non uso neppure il frigorifero. Scendo nell’orto e mentre lavoro osservo quello che mi sta intorno. Il mio orto è realizzato su base consociativa delle colture, piante che si sostengono e si rafforzano a vicenda nella lotta contro i nemici” racconta Fabrizio.
La cucina consociativa
“Così funziona anche la mia cucina: è un mettere insieme quello che è intorno a me affinché i diversi ingredienti aumentino la loro forza. Allora, da Fosco a Civita Castellana scelgo il pesce e lui, che ormai mi conosce, mi propone il meglio. Da questo rapporto, per esempio, nascono i tortelli di vignarola ai gamberi rosa nel loro succo: i crostacei danno forza alle verdure e viceversa. Mi piace giocare sugli elementi salati, iodati e vegetali; il gambero dà sia dolcezza che sapidità e si lega agli elementi vegetali che restano comunque protagonisti: cavolo nero, carciofi, fave e piselli vengono tenuti insieme dal gambero. Il succo di gambero, poi, rimane molto fresco essendo estratto con la centrifuga e accompagna e arrotonda gli spigoli vegetali più acuti e amari”.
Poi arriva il Merluzzo con tartufo estivo, cavolo nero e pil-pil di merluzzo alle mandorle. “Qui uso per le mandorle e il pil pil una panna che ha un grasso doppio rispetto a quella che trovi in giro: la prendo da Fattoria Lucciano e riesce a dare una densità e una dolcezza importanti al piatto. Anche l’agnello panato con misticanza selvatica e yogurt nasce dall’aver visto gli agnellini, qui intorno, seguire le madri che andavano brucando i residui dei carciofi, i ricacci dei broccoli e delle erbe dell’orto: che sapore avrà avuto il latte che avrebbero poi ciucciato gli agnellini? Così, quando sono finiti i broccoli e i carciofi, ho utilizzato la cicoria spontanea. Quasi tutto nasce dall'osservazione di ciò che mi gira intorno”.
Sostenibilità a 360°
Economicamente, come si vive in questo modo? È sostenibile? “Sì, decisamente sì" risponde sicuro Fabrizio "io non voglio arricchirmi, mi interessano più i rapporti umani che non i soldi. Sono aperto tutti i giorni a pranzo e a cena: anche se è gradita la prenotazione, se arrivi e vuoi mangiare, per me non c’è nessun problema se ho posto. Vado nell’orto, raccolgo e cucino. Questa la mia filiera. Ho dieci coperti che alla fine mi garantiscono una base decente di lavoro. Sono solo, qui. Pensa, che c’è una famiglia con un bimbo dodicenne che è fissato con il pallone: ogni volta che vengono qui, lui vuole giocare a pallone con me, così io tiro qualche calcio con lui e poi rientro a cucinare per lui e per i suoi genitori, quindi si riesce a giocare… Ormai è quasi un rito. E mi piace. Inutile dire, poi, che le materie prime che riesco ad avere qui non sono neppure paragonabili a quelle che troverei in una città. Per cui, se anche dovessi decidere un giorno di tornare a Roma, lo farei solo se riuscissi ad avere gli stessi ingredienti che ho qui, nulla di meno. Altrimenti non lascerei mai questo posto”. Parola di chef.
AM – Agricola Moderna – chef Fabrizio Di Romualdo – Magliano Sabina (RI) – loc. Foglia – via Romana – 3491062211 – https://www.instagram.com/agricolamodernabyfdr/