Il foraging in Italia, prima delle mode
Nel bosco ci si entra con il dovuto rispetto, “con gli occhi innocenti dei bambini e degli animali”, precisa la veterana del foraging Noris, al secolo Eleonora Cunaccia, 'la signora dei boschi', quelli della Val Rendena tra le Dolomiti di Spiazzo fra cui si muove con circospezione e a passo lento, lasciandosi stupire dai doni della natura, aspettando trepidante il momento in cui il bosco decide di rivelarsi. “Stagionalità? Va rispettata, certo: a settembre ci sono i frutti di bosco, la corniola, l’erba delle marmotte… poi però capita che ti avventuri in un giorno di pioggia e la natura decide di regalarti dei bellissimi muschi”. Ne parla come fosse un’amica di vecchia data, la montagna, e in effetti di erbe spontanee Noris ne ha raccolte, catalogate e cucinate moltissime negli anni, da molto prima che il foraging diventasse una moda. “Non provo certo invidia per i nuovi arrivati, sono però preoccupata: la raccolta può essere pericolosa, io dopo tanti anni sono ancora molto severa con me stessa. Alcune specie sono velenose, bisogna avere una conoscenza profonda della materia prima di iniziare a raccogliere”. E soprattutto rispetto per il territorio, dove Noris si incammina, “con le giuste intenzioni: solo approcciandosi in questo modo prati e boschi possono rappresentare la più grande forma di libertà per l’essere umano”. Con pudore, pazienza: “le erbe si presenteranno da sole”. Noris dal 2003 porta avanti la sua officina botanica Primitivizia, con cui raccoglie e confeziona i doni della terra. Noris ci tiene a precisare che il suo è un lavoro fatto di fatica, silenzio. Tanta gioia, sì, ma anche solitudine, mal di schiena, sacrificio: “In estate si lavora in quota per raccogliere il pino mugo. È un percorso che richiede uno sforzo fisico significativo”. Lavorare con e per la natura significa anche lasciarle spazio, metterla al primo posto, sapersi allontanare con discrezione al momento opportuno: “Capita di dover abbandonare il percorso più semplice per addentrarsi in zone scomode, proprio per permettere a quella zona di trionfare, tornando alla vita indisturbata. Comprendere la montagna è anche questo, capire quali sono le prevalenze di ogni porzione di territorio, i suoi bisogni e i limiti”.
Foraging e formazione
Non bastano i libri, servono i corsi: “Devi prendere in mano le piante, osservarle senza fretta, una alla volta. Riconoscere ortica e tarassaco è semplice, ma ci sono erbe più complesse”. Da raccogliere e utilizzare solo quando la stagione lo consente, “il bosco non è una dispensa, non possiamo pensare di prendere ciò che più ci piace, altrimenti sarebbe come rubare”. Anche per questo Noris ha aperto da poco un centro ricerca e studi sulle erbe selvatiche, “che si occupa in realtà di ambiente, natura, territorio. Educazione all’ambiente, è questo ciò di cui abbiamo bisogno”. Tra i suoi mesi preferiti, settembre: il tempo dei frutti di bosco, del mirtillo rosso, della pera martinsecca “antica varietà di pera selvatica a pasta compatta”, della corniola “che conservo nel vin brulé durante l’inverno, più acida dell’amarena e molto morbida, perfetta anche per pulire il palato tra una portata e l’altra”. E poi l’erba delle marmotte, “un’aromatica intensa che cresce sopra i duemila metri”, il cumino selvatico da raccogliere il più in alto possibile, “solo così avremo un aroma persistente”, e anche il licopodio, “la liquirizia dei boschi, che per me è una sorta di caramella selvatica”.
Foraging, erbe spontanee, autarchia e bosco alimentare
Non bisogna essere grandi chef per usare bene le erbe in cucina. Basta un po’ di buon gusto, ma soprattutto conoscenza, per nutrirsi di ciò che la montagna decide di mettere a disposizione. Così l’aceto si può preparare partendo dalla violetta; primula e albume d’uovo diventano la base per delle gustose caramelle, senza contare gli usi erboristici o cosmetici. Se ci si guarda attorno con attenzione, ci si renderà conto che dietro ogni elemento naturale si nasconde un mondo: è questo il motto di Eleonora Matarrese – la Cuoca Selvatica – che il foraging lo pratica inconsapevolmente da sempre: “Da bambina in Puglia era la prassi andare nell’orto e mettere insieme un po’ di cose per la merenda: pomodori, aromatiche di ogni genere… oggi la rinnovata coscienza ecologica ci parla di autoproduzione, ma si tratta solo del recupero di vecchie pratiche con una nuova consapevolezza”. Senza aspirare a un modello di autosostentamento irraggiungibile, ma cogliendo quanto di buono il bosco sa darci, per valorizzarlo e diffonderne il verbo.
È quello che fa Eleonora con iSkogen!, una serie di monografie sulle famiglie botaniche, e con la condivisione gratuita delle schede botaniche con tutti i segreti per produrre in casa il necessario: “le erbe hanno usi tintori, fitoterapici, si possono anche usare per fare il detersivo!”. Dalla sua Puglia Eleonora se ne è andata da un po’, rifugiandosi in provincia di Varese, dove continua la sua ricerca su muschi, gemme e infiorescenze. E dove porta avanti il progetto Pikniq, uno dei più completi in questo micro-cosmo fatto di radici e licheni, che comprende sia la vendita di prodotti a base di erbe che la cucina dell’home restaurant, un bed and breakfast e un centro benessere. “I prodotti si ordinano telefonicamente o per email – presto anche online – per ricevere a casa le Wild Box” con erbe e sali, cioccolato bianco alle fragoline di bosco oppure cracker di porcini e Prosecco shortbread all’abete rosso e polvere di agli selvatici. Specialità fresche prive di conservanti, se non quelli naturali: “L’acido ascorbico è usato nell’industria alimentare come prodotto di sintesi fatto in laboratorio. Io aggiungo direttamente l’abete rosso, che è acido ascorbico puro”. Nel frattempo, Eleonora ha creato un’azienda agricola di tre ettari e mezzo, sta impiantando il suo orto in agricoltura rigenerativa e si dedica alla stesura di due libri, uno per bambini e l’altro sul food forest.
Classificare e utilizzare le erbe
Estate o inverno, poco importa: con le erbe si cucina. E molto. Accade, da Erba Regina, ristorante e agriturismo nato nel 2016 a Frascati, nei Castelli Romani, per volontà di Maria Regina Bortolato, che è tornata alle sue radici dedicandosi al lavoro sulle erbe spontanee: “un mondo femminile”, che ricorda “la cucina di sopravvivenza di una volta, portata avanti dalle donne”. Un ritorno al passato con i piedi ben saldi nel presente, come recita lo slogan: “Sapere i sapori antichi per costruire un nuovo futuro”. Senza ricercare un mondo bucolico ideale e idealizzato, “ma costruendo un modello in grado di reggersi e recuperare le conoscenze ormai sparite”. In un corso da sommelier, Maria Regina si è trovata a ricercare aromi e profumi di cui non aveva memoria, “come il cardamomo, il coriandolo, il cerfoglio”. Allora ha comprato una vecchia struttura rustica con 3 ettari di terreno per costruire un’azienda agricola specializzata nella produzione di erbe aromatiche e officinali: “Il confine è molto labile: camomilla e calendula appartengono a entrambe le parti, noi ovviamente le usiamo in cucina”.
La sua tavola è perlopiù vegetale, e l’uso delle spontanee è ben calibrato: “Bisogna saperle dosare con cura, altrimenti si rischia di rovinare i piatti”. Il menu cambia di continuo a seconda della stagione. Le ricette sono moltissime, la sperimentazione costante. Oltre alla classificazione canonica, Maria Regina suddivide le erbe in dolci, amare, sapide, grasse e piccanti; con le prime prepara la lasagna alle erbe dolci: “generalmente con farinello, amaranto, silene, malva e piattello”. Ci sono tanti risotti, “omaggio alle mie origini venete”, e un grande uso dei fiori eduli, “soprattutto per l’aperitivo, per il quale scegliamo fiori dal sapore intenso come quello della salvia, della cipollina oppure il nasturzio”. Ma con le erbe si può fare di tutto: sale, confetture - “di zucca, dal sapore neutro che noi impreziosiamo con lavanda, finocchietto e rosmarino” - e tantissimi dolci, a cominciare dalle meringhe.
Foraging: serve una legge
La raccolta delle erbe è un’attività spesso sottovalutata, considerata più un passatempo che un lavoro a tutti gli effetti, anche a causa della mancanza di norme che regolamentino bene il mondo del foraging, come spiega Eleonora Matarrese: “In Trentino Alto Adige c’è bisogno di un patentino ma nelle altre regioni la strada da percorrere è ancora lunga. In Lombardia esiste un elenco di specie protette che non possono essere raccolte oppure solo in piccole percentuali, altri comuni hanno stilato degli elenchi in autonomia, ma serve una legge ufficiale condivisa”.
Occorre studiare botanica per il foraging
La teoria è la stessa per tutti, ma ogni esperto studia escamotage su misura per semplificarla e condividerla con i principianti. Roberto Vetromile, specializzato nel foraging e nella fitoalimurgia – la conoscenza dell’uso delle specie vegetali a scopo alimentare – organizza corsi, laboratori e passeggiate con la sua Discovering Wild Plants (discoveringwildplants.com). “La base è sempre lo studio della botanica, accompagnato dall’esperienza in campo”. La parte più difficile? “Riconoscere le erbe prima della fruttificazione. Solitamente si raccolgono nella cosiddetta fase di 'rosetta basale', quando non si è ancora sviluppato il fusto con il fiore, perché è il momento in cui le foglie sono più tenere e meno amare”.
Ma veniamo alla tavola. Per facilitare la distinzione fra le varie spontanee, Roberto le suddivide in tre grandi macro-categorie: spinacio, insalata e asparago. Nella prima rientrano quelle che sarebbe preferibile gustare cotte, “magari nei ripieni di pasta fresca, pizza o focacce”. Può essere definito uno spinacio selvatico il chenopodium, “detto comunemente farinello, tipicamente di fine estate”, fra le insalate si trovano la portulaca oleracea, chiamata anche porcacchia o porcellana, oppure la stellaria, “il centocchio comune”. Al mondo degli asparagi appartengono i germogli, “gustosi al vapore, all’interno di frittate o al forno”, dal classico asparago selvatico ai germogli di luppolo o di vite canadese.
Non chiamiamole erbacce!
Pensare che un tempo si chiamavano “erbacce” o addirittura infestanti. “Oggi si è finalmente compresa non solo la grande potenzialità di questi elementi, ma soprattutto la loro funzione per l’ecosistema”, spiega Marco Sarandrea, fitopreparatore, erborista, docente all’Università della Tuscia di Viterbo e titolare della distilleria che porta il suo nome. Ha dedicato la sua vita alle erbe spontanee utili all’uomo: “di metà non conosciamo neanche l’uso, è a questo che serve la ricerca”. E l’Italia può vantare una delle più ricche biodiversità al mondo, “un patrimonio da tutelare per conservare il benessere ambientale, una risorsa etnobotanica che non dobbiamo dare per scontata”. Che torna utile soprattutto in cucina: “Prendiamo l’origanum hirtum, una verità tipica del Sud Italia, officinale erbacea intensa e profumatissima in grado di arricchire qualsiasi piatto”. C’è poi tutto il comparto di tisane e infusi, “lo stesso origano si può infondere in acqua calda e bere per prevenire l’influenza intestinale”. E, non ultimo, l’utilizzo in campo agricolo: “le piante hanno un sistema di autodifesa straordinario, sfruttano le stesse sostanze che l’uomo utilizza a scopo curativo per contrastare le infestazioni”. Sarandrea ne è convinto: il regno vegetale è molto più organizzato di quello animale: “l’equilibrio delle piante si regge su un sistema complesso, ogni elemento autoproduce le sostanze di cui ha bisogno per difendersi e vivere bene”.
Ma le spontanee non contrastano solo le infestazioni: sono importanti “bio-indicatrici del suolo”, aggiunge Giorgio Pace, l’ideatore di Piccola Bottega Merenda, negozio di nicchia a Roma che raduna il meglio dell’agricoltura sostenibile italiana. In bottega le erbe non sono mai mancate: “gli agricoltori in campo le tengono per necessità, per questo ci tengo a venderle e considerarle al pari di frutta e verdura; è giusto restituire loro il valore che meritano, dimostrando che nell’orto si trova molto più di quanto si è abituati a pensare”. Le spontanee, appunto, che chi lavora in agricoltura sinergica, bio-intensiva e più in generale naturale, sa di dover gestire con cura: “coltivare la terra implica anche il mantenimento della stessa. Le erbe spontanee coprono parte del suolo e per questo spesso nei sistemi agricoli convenzionali non sono presenti. Ma aiutano a regolare il terreno, fornendo agli agricoltori i mezzi per comprendere cosa migliorare”. Ogni spontanea, infatti, cresce in determinate condizioni, “per cui la sua presenza o assenza indica eventuali carenze o sbilanciamenti. Per esempio, se ci sono troppe spontanee significa che il terreno è acido”. Inoltre, le erbe richiamano anche gli impollinatori: “api e altri insetti sono imprescindibili per la produzione agroalimentare, ma anche per il benessere degli ecosistemi. Gli insetti arrivano solo in un sistema agricolo ben equilibrato, dove ci sono i fiori. E questi, la maggior parte delle volte, sono spontanei”. Naturalmente, anche le erbe vanno contenute, “in percentuali ben precise, per preservare la biodiversità del terreno e l’equilibrio del suolo”. C’è di mezzo non solo il gusto, ma il futuro stesso del nostro ambiente.
Primitivizia - Noris, Eleonora Cunaccia - - Spiazzo (TN) - fraz. Borzago - primitivizia.it
Pikniq – chef Eleonora Matarrese - - Brovello (VB) – fraz. Carpugnino - pikniq.com
Erba Regina – chef Maria Regina Bertolato - ⁃ Frascati (RM) - countryhouseerbaregina.com
Discovering Wild Plants - Roberto Vetromile, - discoveringwildplants.com
Piccola Bottega Merenda – Giorgio Pace - - Roma - @piccola40mq
a cura di Michela Becchi
illustrazioni Andrea Boatta