Si chiama Rugulopteryx Okamurae, e per quanto ancora sconosciuta al grande pubblico, si tratta di una delle più grandi minacce per il Mediterraneo. È un'alga invasiva originaria del Pacifico nordoccidentale (dove si integra perfettamente senza arrecare danno alcuno all'ambiente) arrivata in Europa nel 2002 con acque di zavorra dalle navi e approdata in Andalusia nel 2016, oggi occupa il 100% dei fondali andalusi, dimostrando una capacità di moltiplicarsi a impressionante velocità. Ora potrebbe continuare la sua corsa, fagocitando e distruggendo in meno di 24 ore le altre specie che incontra sulla sua strada (e la catena alimentare cui fanno parte, lasciando senza cibo la popolazione ittica locale), arrecando danni ingenti all'ecosistema.
Altissimo tasso di crescita per lo più silenziosa (poiché ricorda da vicino una specie autoctona), facilità di dispersione e assenza di predatori ne moltiplicano le potenzialità di sviluppo nel nostro mare mettendo a rischio l'equilibrio ambientale e dunque economico e sociale. Basti pensare ai costi da sostenere per ripulire le spiagge o ai danni arrecati al turismo e alla pesca.
Rugulopteryx Okamurae. Se non sai come distruggerla: mangiala!
Ancora poco nota e poco studiata, l'alga che i pescatori locali chiamano “roña” ovvero crosta, è stata oggetto di un progetto di ricerca presentato durante il congresso andaluso Encuentro de los Mares, appuntamento - giunto al suo terzo anno – che riunisce scienziati, biologi marini, pescatori, cuochi e altre persone a vario titolo legate al mondo marino, per affrontare “l'universo mare” con un approccio multidisciplinare e innovativo e così raccogliere e affrontare le sfide che ci presenta il futuro. Uno degli snodi più rilevanti, è quello che riguarda le alghe che, per il loro potenziale ambientale e alimentare, sono oggi osservate speciali.
I motivi per incoraggiare la coltivazione e il consumo delle alghe non mancano: “hanno un valore nutritivo molto importante, sono fonte di vitamine, fibre e minerali. Sono un superalimento che assorbe anche grandi quantità di CO2, sono un'arma nella lotta al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici” spiega il direttore scientifico del Encuentro de los Mare, CarlosDuarte. Lo stesso che, all'inizio dell'anno, ha coinvolto gli scienziati Fernando G. Brun e José Lucas Pérez Lloréns, dell'Università di Cadice e i cuoco David Chamorro (direttore di Food Idea Lab, da anni un pezzo chiave nel team di ricerca e sviluppo del ristorante Aponiente di Ángel Leon) nella lotta contro la Rugulopteryx Okamurae, "perché di questo si occupa il congresso, co-creare un futuro diverso”.
Se da una parte non si può fare molto per mancanza di capacità tecniche o economiche, come confermato da Lloréns e Brun, è fondamentale aumentare la consapevolezza e la conoscenza di questa alga così pericolosa, dall'altra si può giocare una partita diversa, cercando di dare valore economico a questa specie trovandogli un impiego. Il loro impiego in farmacologia (per la capacità citotossica) e come combustibile è già sdoganato, ma non altrettanto si può dire dell'uso alimentare. Questa è la sfida lanciata da Duarte e raccolta da Chamorro, che negli anni con Leon ha sviluppato ricette attorno a ingredienti che nessuno aveva mai pensato di mangiare prima. I primi studi hanno portato a galla degli aspetti organolettici ostici, ma interessanti, un volta domati: le forti note piccanti e amare. Utili se impiegati come condimenti, per esempio una polvere a base di alghe disidratate da usare come spezia, o in salse che si ispirano al tabasco, alla sriracha o all'angostura, in cui il piccante del peperoncino è sostituito dall'alga, ma non manca neanche un possibile impiego nella mixology. Si tratta di prodotti non ancora commercializzabili e che non sono certo risolutivi in quanto richiedono quantità minime di Rugulopteryx Okamurae per la loro produzione, ma rappresentano un primo passo per un nuovo utilizzo e un elemento di sensibilizzazione riguardo questa alga ancora sconosciuta.
Il ruolo delle alghe
Una situazione paradossale in un contesto che vede, nelle alghe, una delle grandi soluzioni per il futuro, ancora sotto-sfruttate rispetto al loro potenziale alimentare: solo 5 specie, delle 7.000 conosciute, sono oggi coltivate da 25 aziende agricole nel mondo che impiegano anche il 70% di donne. Colture concentrate storicamente in Asia e Africa, ma che oggi cominciano a diffondersi anche in altre parti del mondo, grazie ai molti usi, oltre quello alimentare: dalla fabbricazione di polimeri alla biomedicina, alla produzione di mangimi per ruminanti, oltre naturalmente ai molti benefici per l'ambiente. La consapevolezza dell'importanza delle alghe è oggi diffusa - “sequestrano anidride carbonica dall'atmosfera e la immagazzinano nel suolo per decenni, anche centinaia di anni, migliorano la qualità dell'acqua, migliorano la biodiversità, fungono da ammortizzatore per le onde, riducendone la potenza e aiutando a stabilizzare i sedimenti” - e viene tenuto sotto osservazione anche il loro stato di salute, tanto che esiste da un ventennio un progetto di recupero di praterie sottomarine al largo della costa atlantica degli Stati Uniti, in Virginia, coordinato da Karen McGlathery, direttrice dell'Environmental Resilience Institute presso l'Università della Virginia (USA). Grazie al ripopolamento di queste aree verdi subacquee, si migliora la qualità dell'acqua, si riduce l'impatto delle correnti e si mitigano i cambiamenti climatici. Per questo, secondo Duarte “coltivare le alghe è un imperativo per raggiungere un futuro sostenibile e raggiungere obiettivi di sviluppo duraturi”. Tutto questo, però, in un contesto in cui la biodiversità e gli ecosistemi vengano tutelati contro l'intervento dell'uomo e le minacce di altre specie, come nel caso della Rugulopteryx Okamurae.
a cura di Antonella De Santis