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THE BEST IN ROME & LAZIO
Lo abbiamo conosciuto come uno dei maestri dell'arte bianca, Stefano Callegari, che dal suo primo locale nella periferia sud est capitolina – Sforno, recentemente rinnovato – ha punteggiato di insegne la città di Roma e non solo, approdando con la sua pizza al piatto e la sua invenzione più nota – il Trapizzino – da una parte all'altra della Penisola, spingendosi persino oltreoceano, nella Grande Mela (ma l'ultimo nato è a Roma). Non stupisce, dunque, l'annuncio di una nuova insegna a suo carico, che nel corso degli anni ci ha abituato a un contagioso entusiasmo imprenditoriale. Quel che potrebbe sorprendere, invece, è il passaggio dalla pizzeria alla ristorazione. Un passaggio in realtà quasi annunciato per chi ha visto nelle sue pizze e ancor più nel ripieno dei Trapizzini, la mano del cuoco. “È un po' che ci pensavo” dice Stefano Callegari “anzi: ho sempre detto, scherzando, che a 50 anni avrei aperto un ristorante” poi è arrivato il Covid a sparigliare le carte. Ma l'idea è rimasta. “L'abbiamo definita lo scorso anno, a fine estate”. Quindi nonostante tutti i mesi di lockdown, rimane la voglia di rilanciare? “Forse c'è un po' di incoscienza” riflette, ma poi spiega che il progetto era già in ballo, “con Perla (Ambrosetti, ndr socia insieme ad Axel Casali ed Enrico Cavedon) pensavamo di fare qualcosa nello spazio di Officine Farneto, poi ci è capitato questo locale e abbiamo cambiato idea”. Prese le chiavi, si tratta di sistemare un po' di cose prima dell'apertura, il 23 settembre. Non tante: “cambiamo qualcosa, ma il posto già c'è”.
Il locale Romanè
A via Cipro, in una zona familiare per Stefano, che qui ha ricordi d'infanzia e legami lavorativi: “sono a un passo dalla Tradizione e da Pizzarium” racconta, nel tracciare le coordinate del nuovo Romanè. Un nome che richiama tanto alla romanità – “dare una romanella” è un modo di dire che sta per ripulire un locale senza grandi lavori strutturali, ma romanella è anche un vinello dei Castelli Romani– tanto ai grandi vini di Francia con quell'assonanza con la più piccola denominazione d’origine dei vini francesi, la Romanée, in Borgogna; senza contare Romanè pare fare il verso anche a Maccarè, insegna di Callegari al Castello di Maccarese. Una quarantina i coperti all'interno, circa venti esterni, per una squadra che attualmente conta cuoco e aiuto cuoco (Andrea Cibak, classe 1994 e Riccardo Toresi, del 1997), e un ragazzo in sala, Alessio Marcolini, che è anche socio. A loro si aggiunge il lavapiatti e a breve ancora qualche figura “poi si vedrà”. L'intento è mettere insieme una formula che smarca i riti dell'alta ristorazione per approdare a un'offerta confortevole e gustosa, in un ambiente altrettanto rilassante: tavoli in legno e – alle pareti - una collezione originale di tutti i piatti del Buon Ricordo raccolti negli anni in giro per l’Italia.
Materie prime di Romanè
Mentre procedono i lavori, si mette a punto la linea di cucina, che punta ai sapori della tradizione, ma senza inutili dogmatismi. C'è tanta Roma, ma non solo, con affondi tra ricette regionali e “piatti fantasy” come li chiama lui. Una cucina concreta, varia, centrata sul gusto originale delle materie prime, scelte con cura – sì - in modo onesto ma coerente all'idea di un ristorante di tradizione: “a volte ci sono delle materie prime tanto ricercate da sembrare poco fedeli a quel che ci si aspetta per un piatto. Prendi il pepe nero” spiega “ce ne sono alcuni così buoni che sembrano agrumi. Invece il pepe deve essere pepe” soprattutto nei confini di una proposta a tutta semplicità. E intanto continua le prove, come nel caso delle carni “sto provando un suino nero del Monte Amiata, un incrocio tra 4 razze di nero, buonissimo”.
La cucina di Romanè
Una cucina concreta, la chiama. Qualcuno direbbe: solida, “di pancia”: con quell'idea portante di fare nel piatto quel che ha già fatto negli anni con i fritti o con la pizza, interpretando alcuni sapori tipici regionali in forma di topping e farciture. Un esempio? “La pizza tortellina” che qui si trasforma in una fettuccina cotta nel brodo di carne con una ricca mantecatura con noce moscata parmigiano, julienne di mortadella e prosciutto crudo. “E così anche la pizza del capo o l'iblea” che elaborano materie prime e gusti locali.
Cotture lente, “ma niente bassa temperatura o forni spaziali” si va di pentole e tegami, stufati e umidi, per un ventaglio di sapori familiari di cui pare si stiano recuperando le tracce. E una proposta che cambia spesso, seguendo l'estro e le stagioni, anche se – di certo - nel corso del tempo qualche piatto conquisterà una posizione stabile in un menu di misura con 5 opzioni per ogni passaggio, contorni inclusi. Contorni nei quali sarà facile trovare dei legumi: “mi piacciono molto quelli della Tuscia di Dol: ceci del solco dritto, buonissimi, di Valentano, lenticchia di Onano in inverno, e poi i fagioli, da fare al purgatorio o all'uccelletto secondo la ricetta toscana, ma internazionale”.
Cosa si mangia da Romanè
Il menu è un'antologia di sapori familiari: “dalla fettuccina al sugo di carne al pollo alla cacciatora, all'abbacchio al tegame: tutte cose che sono un po' nel mio repertorio”. Ma non mancano proposte vegetariane o vegane o “il pesce di città: alici, baccalà, ma anche seppie e piselli”. E poi uovo in trippa e fettina panata, spaghettoni all’elorina e piccione ripieno, per chiudere con cose come la crostata di ricotta e visciole e il cannolo romano. Sapori solidi, portate generose, spinte classiche, interpretati da chi - come Callegari – la sa lunga. Ci si muove tra i 5 e gli 8 euro per gli antipasti, gli 11 e i 18 per i primi, i 12 e i 20 per i secondi, con il tetto massimo toccato solo per qualche piatto extra con una materia prima importante che pesa sul conto: “la pasta con i gamberi crudi: 4, che costano a me quasi 2 euro l'uno”. Pizza no, non ci sarà, se non una focaccia insieme al pane.
Cosa si beve da Romanè
“Ci sarà attenzione ai drink: pensavo di rimanere su una carta di 20-25 etichette, ma sono già di più, e ancora non ho finito con gli ordini: cerco di tenermi ma alla fine mi piacciono”. Un po' di Champagne – 4 o 5 referenze – qualche etichetta da dessert, e poi una carta che si muove con disinvoltura nel solco di un vino vero senza troppi vincoli: “naturale ma non solo, qualcosa di più spinto magari ci sarà ma senza estremismi, vogliamo essere accessibili a tutti”. Uno sfuso aretino - biodinamico – trebbiano/malvasia/riesling il bianco, sangiovese il rosso della Fattoria di Caspri. Per il resto è ancora tutto ancora da finire.
Romanè – Roma – via Cipro, 106 - dal 23 settembre
a cura di Antonella De Santis