Il Rapporto Ristorazione 2020 di Fipe
Guerra, trincea, odissea. Sono termini che ricorrono nella mattinata di Fipe-Confcommercio, riunita a Roma per presentare il Rapporto sulla ristorazione italiana stilato da dieci anni a questa parte. La data scelta è simbolica, nel richiamare alla mente quel 18 maggio del 2020, quando per la prima volta, dopo il lockdown che aveva fermato il Paese per 67 giorni, si parlava di ripartenza delle attività. E con prove di ripartenza e di resilienza si torna a fare i conti un anno dopo, alla luce di un’odissea che si è protratta ben più del previsto, e continua a braccare i pubblici esercizi in cerca di certezze per il futuro. Il Rapporto Ristorazione 2020, dunque, era molto atteso. Nell’introdurlo, Luciano Sbraga pronuncia parole chiare: “È passata l’idea che i ristoranti fossero i portatori del contagio in Italia. Siamo stati usati come allarme, come le sirene in tempo di guerra”. Poi, la sintesi dell’ultimo anno della ristorazione si concentra sui provvedimenti che più hanno colpito il settore, dalle nuove misure restrittive imposte a partire dall’autunno 2020 al coprifuoco, al balletto dei colori: “Ci sono regioni che hanno cambiato colore 19 volte” stigmatizza Sbraga “Come può un’azienda gestire questa precarietà e organizzarsi per lavorare in queste condizioni?”.
La chiusura delle attività e la perdita dei posti di lavoro
I numeri forniti dal Rapporto sono altrettanto chiari: nell’anno della pandemia hanno chiuso 22250 attività. Un numero inferiore alle chiusure registrate nel ’19 (quando il totale aveva superato le 26mila unità), che però, secondo le previsioni di Fipe, sottostima la reale dimensione della crisi, i cui effetti si vedranno solo nei prossimi mesi, “quando terminerà l’effetto anestetico dei provvedimenti di cassa integrazione, ristori, moratorie e via dicendo”. Ma a preoccupare è soprattutto la perdita dei posti di lavoro: il crollo dell’occupazione, in Italia, ha riguardato molto da vicino il comparto “alloggio e ristorazione”, che ha visto sfumare 514mila posti di lavoro, il doppio di quelli creati tra il 2013 e il 2019. È questo il dato più significativo di un documento che snocciola come fosse un bollettino di guerra le criticità da affrontare in vista di una lenta ripartenza. La chiusura delle attività, come pure il fatto che molti, impossibilitati a lavorare nel settore, abbiano deciso di intraprendere strade diverse, infatti, rischiano di disperdere competenze e professionalità di un settore “che ha sempre fatto del servizio un fattore premiante”, sottolinea il presidente di Fipe Lino Stoppani.
Le mire della criminalità organizzata
A lui il compito di lanciare anche un grave monito: “Non guardiamo solo a chi ha cessato l’attività; molte aziende, in queste circostanze, hanno cambiato gestione, cedendo alla criminalità organizzata. Dunque focalizziamo bene il problema: non deve spaventarci l’arrivo di imprenditori stranieri, perché i soldi puliti fanno bene all’economia, e il modello italiano di pubblico esercizio non è scalabile, perché la differenza la fa l’uomo. Il rischio vero sono i predatori della criminalità”.
Il calo del fatturato e dei consumi
Per quel che riguarda il fatturato, il 98% delle imprese evidenzia un calo, che per oltre la metà di loro supera il 60% dei volumi pre Covid. In modo complementare si muovono i consumi: la pandemia ha provocato la perdita di 130 miliardi di euro in consumi; di questi, 31 miliardi riguardano la ristorazione. Il dato della spesa procapite si attesta sui 920 euro, e fa tornare l’Italia indietro di 26 anni, al 1994.
Ristori e futuro
In questo quadro, c’è insoddisfazione per la gestione dei ristori: il 23% delle imprese di settore dichiara di non aver ricevuto nulla, a causa dei meccanismi non sempre comprensibili che hanno regolato l’erogazione delle misure di sostegno. Chi li ha ottenuti, comunque, sostiene di aver compensato solo al 10% la perdita di fatturato. Per l’89,2% degli imprenditori interpellati, insomma, i sostegni sono stati inutili o poco efficaci: “Il sacrificio sociale ed economico imposto al nostro settore non è stato accompagnato da misure che potessero arginare la mortalità delle imprese”, sottolinea a riguardo Stoppani.
Eppure l’85% dei titolari di bar e ristoranti si dice sicuro che il settore riprenderà a girare, sebbene con tempistiche incerte, che spaziano dal 2022 al 2024, considerando una serie di ipoteche sul futuro, dal cambiamento dello stile di vita e delle abitudini di consumo alla mancanza del turismo straniero che tornerà lentamente, al venire meno delle misure di sostegno, passando per la flessione del reddito e la conseguente propensione al risparmio degli italiani. Le soluzioni per risalire? L’implementazione dei servizi digitali, a cominciare dall’home delivery e da forme di take away sostenibili ed efficaci; il miglioramento della qualità, puntando su una specializzazione identitaria in grado di garantire riconoscibilità a un bar o a un ristorante; una puntuale attività di marketing e comunicazione.
Le parole del ministro Giorgetti
Ma, ribadisce Stoppani, “c’è bisogno soprattutto di politiche governative sul cibo, per dare coesione al settore. Tante sono le azioni da programmare, dagli indennizzi a fondo perduto agli sgravi, agli investimenti su formazione e snellimento della burocrazia. E ci vogliono progetti per favorire la rigenerazione del settore”. Il Ministro allo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, intervenuto alla presentazione del Rapporto, fa proprie le istanze avanzate dal comparto: “In Italia, talvolta, i pregiudizi ideologici nei confronti della figura dell’imprenditore ne hanno ostacolato la crescita. Dobbiamo mettere l’imprenditoria al centro, e far capire ai giovani che l’avventura imprenditoriale fa crescere la società. Noi dobbiamo impegnarci per fornire un quadro di certezze alle imprese, e la ristorazione è un’eccellenza italiana, attrazione per investitori. Dobbiamo fare politica industriale anche sulla ristorazione”. Le nuove misure di sostegno per la ristorazione saranno varate nei prossimi giorni, riconsiderando, assicura il Ministro, tutti coloro che finora non hanno avuto accesso ai ristori. Il suo messaggio conclusivo è un invito ad avere fiducia: “La socialità rappresentata dal pubblico esercizio va difesa. Questo è il settore che ha pagato di più, ma sarà anche l’interprete della ritrovata vitalità e della gioia di socialità che accompagnerà la fine della ‘guerra’ alla pandemia”.
a cura di Livia Montagnoli