Il nostro mondo – quello della ristorazione, del food&wine, del turismo, del mangiare fuori casa (ma cito solo il “nostro mondo” e lascio fuori tutti gli altri, tipo gli operatori dello spettacolo in senso ampio, che non stanno certo meglio) è a un bivio direi fondamentale: vivere o morire. Le annunciate parziali riaperture e i ristori appena concessi hanno dato dato la stura a decine e decine di proteste anche dure (che si sono sommate a quelle già emerse nei giorni scorsi) e molte altre sono annunciate per questi prossimi giorni.
La polemica di fondo è tra due schieramenti: aprire e basta con queste imposizioni – non aprire e aspettare con cautela che il rischio sia accettabile davvero. Facebook è uno specchio abbastanza reale di questi scontri ormai quotidiani che alla fine sembrano essere quasi tra “chi ha paura” e tra “chi non ha paura”… Beh, dalla discussione con un amico ristoratore è nata un'idea – sicuramente un po’ goliardica – che evidenziasse cosa in realtà pensa la gente e in particolare se i pasdaran della chiusura fossero poi davvero tali fino al punto da rimetterci anche qualcosa del proprio…
Dalla pandemia usciremo più buoni?
Torniamo un po’ indietro… Era un anno fa quando cominciammo a riflettere tutti e a fondo sugli effetti che avrebbe comportato la pandemia che era da poco iniziata. Esattamente un anno fa, nel maggio 2020, uscì il numero 340 del Gambero Roso mensile, dedicato al “come ne usciremo” con oltre 150 spunti di riflessione da parte dei “protagonisti del nostro mondo” (quello di cui dicevamo al principio). Da lì usciva incredulità e sgomento, ma era anche presente una buona dose di fiducia sul fatto che avremmo ripensato a fondo il nostro rapporto con la natura (anche con la nostra natura di uomini), con la solidarietà, con le priorità sociali. E c’era chi invece diceva: saremo peggiori, non possiamo pensare di migliorare affrontando questa tragedia. Sembravano i soliti cinici. Ma che alla fine avessero ragione loro? Era un po’ questa la domanda cui volevamo provare a vedere come avrebbero risposto i nostri “amici” e colleghi via Facebook.
Un “esperimento sociale”: empirico ma illuminante
La domanda che abbiamo posto, con l'amico ristoratore, era semplice. Ipotizziamo un referendum: quanti sosterrebbero la chiusura di bar e ristoranti partendo dal principio che chi - in questo anno e passa di pandemia - avrà un reddito integro senza perdite di soldi e di lavoro sarà chiamato con un piccolo “fee” (5 o 10% del reddito mensile) a ristorare i redditi delle persone che invece non hanno potuto lavorare per ordine dello Stato? Una domanda semplice, banale e manichea, fatta solo a scopo ipotetico, quasi orwelliana… Per capire se poi, a fronte di una necessità di cautela e di massimo impegno contro la riacutizzazione dei contagi, ci fosse anche un minimo impegno solidale verso chi dovrebbe sopportare il peso maggiore.
Le risposte: quasi tutte di attacco ai ristoratori come categoria, quasi tutte a difesa del proprio reddito, quasi tutte all’insegna di “cavoli loro, così imparano a evadere le tasse”. Solo un amico architetto lucido e di ampie vedute (non certo di altrettanto ampio reddito) ha postato il link a un articolo di un prof di economia uscito un anno fa sul Sole24Ore e che sosteneva esattamente la necessità di una solidarietà sociale aggiuntiva all’indebitamento pubblico.
Ma cosa significa solidarietà
L’aspetto più impressionante è che le maggiori recriminazioni venissero da persone “di sinistra”, alla faccia dell’antico slogan “lavoratori di tutto il mondo unitevi”. Questo non perché “quelli di sinistra” siano più buoni, ma perché dovrebbero partecipare di un mondo dove la solidarietà scatti quasi in automatico, come una sorta di tic mentale. Invece no. A questo punto, probabilmente, si capisce perché la Politica non abbia scelto la strada indicata anche da un economista non certo comunista come Michele Boldrin, professore (distinguished) di economia alla Washington University di Saint Louis, visiting professor presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che parte da questa premessa: “Ad alcuni settori viene impedito o reso molto costoso operare, per altri le cose cambiano ma non radicalmente mentre, per altri ancora, tutto continua quasi come prima. A questo corrispondono analoghe variazioni nei redditi percepiti: alcuni precipitano, altri si riducono di un poco, altri di quasi nulla o persino aumentano. Il Coronavirus crea diseguaglianza: direttamente, per il suo impatto differenziato fra gruppi demografici, ed indirettamente, attraverso le misure di contenimento che discriminano fra soggetti economici. In nome dell’interesse generale imponiamo un sacrificio economico a milioni di persone mentre, per il resto della cittadinanza, tale sacrificio non sussiste se non molto parzialmente …" e ancora: "Vi è una ed una sola soluzione a questo problema: essa consiste nel creare le condizioni perché queste imprese possano riaprire al più presto. Non c’è sussidio monetario (da qualsiasi parte esso provenga) che compensi per la chiusura dell’attività a meno che non si intenda farlo diventare un sussidio permanente … Esistono solo due strumenti per finanziare questa operazione: l’indebitamento pubblico ed il trasferimento di reddito da chi non viene danneggiato dalle nuove norme sanitarie a chi sopporta l’effetto negativo delle medesime …" concludendo: "Per un tempo – sino a quando il paese non sia tornato ad una decente normalità – dovremmo usare un mix di indebitamento pubblico e di trasferimenti di reddito per attenuare gli effetti economici delle politiche di salute pubblica ed evitare, oltre a drammatiche tensioni sociali, un collasso dell’intero sistema economico”. Con una proposta pratica che svolge in un secondo intervento: Addizionale straordinaria e credito d’imposta, redditi salvi fino al 2021.
Solidarietà: le risposte della “gente”
È interessante leggere alcune delle riposte per capire anche a che punto è il grado di coesione della società di questo Paese che dovrebbe modernizzarsi e superare immensi ritardi tecnici, tecnologici, politici e culturali. Un esempio, la prima risposta: “Possono anche riaprire, ma io non frequenterò più un ristorante mi hanno scassato i ristoratori, s'intendessero conto che la loro evasione non gli ha permesso di prendere le giuste somme. E ricordassero che chi evade le tasse è un criminale come un ladro perché toglie risorse alla comunità. Ruba. E poi ricordiamo sempre i più di 110.000 morti”. Gli risponde, tra gli altri, un ristoratore: “non puoi fare di tutta l’erba un fascio! Noi fatturiamo 1mln di euro l’anno soprattutto con aziende e partita iva essendo un ristorante aperto quasi solo a pranzo e paghiamo una enormità di tasse. Nonostante questo abbiamo avuto 18mila euro di ristori! Come fai a dire che i ristoratori avrebbero avuto soldi a sufficienza se avessero dichiarato tutto?!? Che lavoro fa lei per curiosità?”. A questo punto, dopo una serie di scaramucce, il primo che aveva parlato di evasori, conclude: “purtroppo già sperimentato in periodo no Covid dopo cinque mesi senza stipendio sono stato messo in cassa integrazione che copriva il 33% del mio reddito precedente, dopo due anni in disoccupazione che copriva il 30% del mio reddito precedente e poi grazie alla disoccupazione e i 63 anni e i 34 anni di contributi ho avuto la possibilità di accedere alla pensione. Siccome ho anticipato di quattro anni l'età pensionabile mi è stato decurtato il 5% annuo pari al 20% dell'assegno mensile a vita. Come vede pagano sempre i noti, e le assicuro che in quattro anni e cinque mesi senza reddito ho dato fondo hai risparmi di una vita e non ho mai ricevuto la solidarietà di nessuno neanche del ristoratore che frequentavo e non mi ha visto per parecchio tempo”. Appunto… scatta la guerra tra poveri, una scaramuccia che tutto lascia sperare tranne in una ricomposizione solidale dei conflitti sociale tenuti in piedi per anni e da anni dalla Politica.
Chi ha paura e chi no
Ancora, altri attacchi: “Tra i ristoratori ce ne sono un bel po' che di reddito ne hanno messo da parte molto.... Guarda che cosa sta facendo Merkel in Germania prima di annunciare di riaprire. Noi invece per andare dietro ai due Mattei riapriamo quando la campagna di vaccinazione va a rilento e i morti sono tanti. A me pare una follia”. Certo, però chi parla non mette mica in risalto quali siano stati i “ristori” della Merkel (ma anche dell’inglese Johnson) per le imprese chiuse! Un’altra persona commenta: “Possono pure aprire, io però al ristorante non andrò e come me tante altre persone”. E le fa eco un’altra ancora che non è mai stata ristoratrice: “in un Paese libero lei può non andare al ristorante...ma nello stesso paese libero io (e tanti come me) vorrei avere la libertà di andarci ... Visto che si possono prendere disinvoltamente treni, aerei e autobus... non capisco perché al ristorante no. Poi la gente si riunisce in casa, nei parchi, ovunque perché non ne può più ... con tutto il rispetto per chi ha paura e può, anzi deve, assolutamente deve, restare a casa”. E per fortuna c’è anche chi, romanescamente, afferma: “in un paese civile tutti dovrebbero dare contributo. Invece ognuno pensa a c***i sua”. E infine un altro che mette da parte il social revenge: “personalmente il 10% del mio reddito per il periodo equivalente alle riaperture totali non avrei problemi a metterlo, sol solo per quanto ho risparmiato (malvolentieri in verità) di ristoranti e viaggi in questo anno, lo farei anche nella consapevolezza che si tratta di una categoria dove si annidano (basta guardare i dati Istat) moltissimi evasori fiscali”.
Uno spaccato di un’Italia che rischia di spaccarsi
Ecco… le opinioni in soldoni le abbiamo viste. Ora i ristoratori in parte plaudono alle scelte del governo (che Salvini si attribuisce e con lui diversi suoi seguaci) ma nella gran parte sono sgomenti e si sentono presi in giro da tanta “prudenza” e dalle situazioni di evidente disparità che queste scelte provocano. In primis tra chi ha spazio all’aperto e chi no, ma anche tra chi sta in luoghi col sole e chi invece avrà pioggia. Il tutto dopo aver comunque già investito su separazioni e distanziamenti e presidi sanitari. Insomma, rischiano di crearsi ora situazioni critiche e di incertezza in cui anche la categoria dei ristoratori comincia a spaccarsi. Ma come si fa a decidere di aprire in queste condizioni di incertezza estreme? Tutto, poi, dopo un anno e passa di andamenti a singhiozzo e di stop and go che forse avranno anche in parte salvato il reddito di qualcuno, ma che nel complesso ha creato caos e situazioni di disperazione. Insomma, le imprese sono allo stremo: non sono aziende tutte uguali e tutte con gli stessi numeri; non sono imprenditori con gli stessi peli sullo stomaco e con le stesse incombenze fiscali e amministrative… C’è anche chi ha cercato di salvaguardare i dipendenti, oltre che la propria impresa. E c’è invece chi non l’ha fatto.
Sta di fatto che ora la minaccia da parte di diverse associazioni dei ristoratori è quella di organizzare blocchi a singhiozzo e a sorpresa delle principali strade italiane… Cosa succederà? Almeno la Politica potrà cercare di capire cosa sta davvero accadendo? E saprà provare a metterci almeno una pezza? Ne dubitano (ne dubitiamo) in molti. Però, chissà… Certo che ormai un bel pezzo di questo Paese (guarda anche le “proteste dei bauli” nelle principali piazze italiane: i lavoratori dello spettacolo abbandonati a se stessi) è arrivato al capolinea.
a cura di Stefano Polacchi