Il cibo surgelato può trasmettere il virus?
Con il rigore che ha contraddistinto negli ultimi mesi l’imponente piano anti-Covid messo in atto dalla Cina, i controlli doganali dei prodotti alimentari importati nel Paese si sono fatti via via più stringenti. Tanto da diventare un caso diplomatico alimentato dagli interessi commerciali dei Paesi che con la Cina si relazionano sui mercati internazionali. Sul banco degli imputati, ormai da diverse settimane, c’è il cibo surgelato. Nonostante i ripetuti appelli dell’Oms e dei principali istituti internazionali per la sicurezza alimentare a considerare molto improbabile il rischio di contrarre il virus attraverso il cibo surgelato o entrando in contatto con le confezioni che lo contengono, infatti, la Cina continua a sostenere il contrario, ed è impegnata a scongiurare con ogni mezzo il pericolo. In particolar modo, ha ribadito negli ultimi giorni la task force di epidemiologi che supporta le scelte del governo cinese, “molte evidenze ci mostrano che pesce e carne surgelati in arrivo dall’estero possono nuovamente importare il virus nel nostro Paese”, come dimostrerebbero i test effettuati nei mesi scorsi su gamberi in arrivo dall’Ecuador, salmone norvegese, calamari dalla Russia, ali di pollo dal Brasile (ma tutto è partito dal focolaio isolato nel più grande mercato alimentare all’ingrosso di Pechino, lo scorso giugno).
Le misure anti-Covid sui surgelati importati
Sebbene sia difficilissimo dimostrare la trasmissione diretta del virus attraverso la catena del freddo, dai prodotti surgelati ai lavoratori cinesi impiegati nella filiera della distribuzione e trasformazione alimentare, dunque, il governo ha scelto di inasprire la sua posizione: tutto il cibo surgelato importato dall’estero dovrà essere disinfettato prima di ottenere l’autorizzazione per arrivare sul mercato cinese. E queste misure dovranno valere per il cibo e le confezioni che lo contengono, oltre che per i mezzi utilizzati per trasportarlo. Inoltre, negli ultimi giorni, la dogana cinese ha interrotto le importazioni da un centinaio di aziende alimentari dislocate in venti diversi Paesi del mondo e coinvolte in casi di positività di uno o più dipendenti. Per quel che riguarda i sempre più numerosi controlli a campione sui surgelati di importazione (soprattutto sui frutti di mare, ritenuti da molti virologi filogovernativi cinesi all’origine dell’epidemia nel mercato di Pechino), invece, la nuova normativa prevede di sospendere temporaneamente (per un periodo che varia da una a quattro settimane) le importazioni dalle aziende i cui prodotti siano risultati positivi anche solo una volta allo screening delle autorità cinesi.
Il malumore dei mercati internazionali
Ad avversare queste misure – accompagnate anche dallo scetticismo di molti scienziati e virologi internazionali, tra cui alcuni studiosi cinesi non allineati con il sistema – cresce il malcontento dei Paesi in affari con la Cina: nel 2019, le importazioni di surgelati nel Paese hanno superato i 6 milioni di tonnellate di prodotti ittici e sfiorato i 5 milioni di tonnellate per quel che riguarda la carne. E nei primi mesi del 2020, a causa della pandemia, le importazioni – specie quelle di carne – sono addirittura aumentate. A rischio, dunque, c’è un mercato fiorente, e i Paesi interessati iniziano a percepire i controlli così “aggressivi” come una forma di restrizione che viola i patti commerciali internazionali, e che, oltretutto, mina la reputazione delle aziende colpite dalle sospensioni comminate dalla dogana cinese (come dimenticare, nelle prime settimane di pandemia in Europa, il caso delle certificazioni virus free illecitamente richieste da alcuni Paesi per autorizzare l’importazione di cibo?). Nel frattempo, importanti poli commerciali con sede a Pechino hanno esortato le aziende a sospendere le importazioni di prodotti alimentari surgelati dai Paesi più colpiti dall’epidemia. All’inizio di novembre, dunque, in occasione di una riunione della World Trade Organization, diverse nazioni hanno ribadito la propria contrarietà, in un fronte compatto che ha visto schierati Canada, Australia, Brasile, Messico, Stati Uniti e Gran Bretagna. La richiesta è quella di ottenere informazioni più trasparenti sulle modalità e sui risultati dei test condotti dalla Cina sul cibo surgelato.