Eleganza, profondità, finezza e precisione stilistica sono le migliori note identitarie dei vini dell'Etna, un universo di verde, di azzurro e di lava che strugge l’anima. E nella rinascita, importante è il legame con cuochi e imprenditori del cibo: binomio inscindibile, pensando al turismo che dà ossigeno a queste terre. Qui un assaggio del racconto pubblicato nel mensile di agosto del Gambero Rosso.
Il viaggio inizia da Giardini Naxos
A piedi nudi nella sabbia si ragiona meglio. La lavagna recita: involtini di spada, spiedini di alici, capone alla ghiotta, cozze, insalata. Che non ordina mai nessuno. Il nostro viaggio comincia da uno dei lidi più spartani del litorale, lo Stella Marina di Giardini Naxos. Non c’è un lettino uguale all’altro, la griglia è ottimamente padroneggiata, si mangia bene e l’Etna è lì, a vista, dal mare è ancora più impressionante. Dall’acqua la montagna è magnetica, bisogna guardarla un paio di volte, stropicciarsi gli occhi, per verificare che sia proprio vera. Verrebbe voglia di fermare un passante e domandargli se anche lui vede il miraggio che vediamo noi.
I contorni sono stati ridisegnati dal vino, dai consensi che le bottiglie etnee hanno strappato nei grandi ristoranti di New York, Hong Kong e Tokyo. In pochi anni l’Etna è diventato il sogno di tanti sommelier internazionali, traghettando sulla zona appassionati curiosi, affamati di cose buone, pronti a farsi sorprendere da un territorio forte, selvaggio, dispersivo. Costeggiamo la costa e ci addentriamo nel Catanese, guardiamo la vetta che attira sempre qualche nuvola: un paesaggio che sa metterti a nudo a colpi di contrasti, di mare e lava, di ginestre e bouganville smisurate, di paesini arroccati e persone ospitali in un mix di bellezza trasandata, edifici incompiuti e un’energia speciale. Dopo tanti chilometri di spiaggia libera con l'acqua blu profonda già a pochi centimetri dalla battigia, raggiungiamo Riposto con il suo vivace mercato del pesce dove con pochi euro ci si porta a casa un pasto da re. Qui riposavano tutti i vini delle contrade etnee in attesa di salire sulle imbarcazioni pronte a salpare.
La viticoltura sull’Etna. Storia antica e tante pause
La viticoltura sull’Etna ha una storia di picchi e lunghissime pause, in parallelo a una certa propensione per l’export. Un dato risalta sugli altri: nel 1848 la superficie vitata sull’Etna era di oltre 25mila ettari. Un numero oggi difficile anche solo da pensare: la Doc Etna rivendica infatti attualmente poco più di un migliaio di ettari. Il grande abbandono avviene all’inizio del 1900, con l’avvento della fillossera e poi con politiche che portarono all’estirpazione dei vigneti, favorendo alberi di limoni e arance, come ben racconta Salvo Foti nel suo libro I vini del Vulcano. Ma anche dopo il 1968, con il riconoscimento della Doc, l’Etna continuò più che altro a sonnecchiare.
Noi, intanto, continuiamo a prendere il vulcano lentamente alla larga, ci fermiamo a Carruba per una granita eccezionale di gelsiconpanna (guai a scindere il connubio) al Nuovo Caffè al Portico, lungo la SP 117. Poco zucchero, consistenza compatta e omogenea, frutta di primissima scelta; e gli arancini (non usate il femminile in zona) sono altrettanto deliziosi. Ci fermiamo al porticciolo di Pozzillo tra barchette e case che sembrano popolate da hobbit, quindi raggiungiamo Michele Faro, proprietario della cantina Pietradolce, al ristorante La Grotta a Santa Maria la Scala. Qui si viene solo per un motivo: gustare una sontuosa insalata di mare scegliendo il pesce all’ingresso dal banco, insistete anche per gli occhi di bue, un buon olio a condire e una bottiglia di Etna Bianco.
Oltre 100 cantine sotto il vulcano
“Ricordo molto bene quando mio nonno doveva andare dalle parti di Randazzo: non c’era praticamente nulla. Eppure già negli anni ’50 le uve di Solicchiata e Passopisciaro erano quelle più apprezzate. Poi c’è stato un lungo gap di 50 anni, fino alla rinascita degli anni 2000. Noi siamo arrivati sull’Etna nel 2005, insieme a Franchetti, Graci, Marc de Grazia, Cornelissen”, ci racconta Michele Faro. La storia enologica di qualità sull’Etna è un fatto del tutto recente, da Nuovo Mondo. “Oggi siamo più di 100 cantine sull’Etna, c’è addirittura la necessità di un piano regolatore e di calmierare i vigneti, ma dobbiamo anche lavorare tantissimo sul turismo, per dare più informazioni ai visitatori. Ricevo parecchie visite di sommelier americani e asiatici che si sono innamorati dei nostri vini. Ora siamo prontissimi a ripartire, questo è il momento giusto per far riavvicinare gli italiani a un territorio che non ha paragoni”.
Saliamo finalmente sull’Etna con Michele fino a raggiungere la nuova cantina a Solicchiata, con opere di artisti siciliani e una vista profondissima. Si vedono le gole dell’Alcantara, Castiglione, i Nebrodi, un fiume di vigne ad alberello. Saliamo fino alla conca del Barbagalli, un piccolo vigneto con ceppi secolari che danno acini microscopici e una concentrazione di sapore inaudita.
Nel silenzio più totale ci sintonizziamo sull’unità di misura topografica dell’Etna: la contrada. Qui siamo in contrada Rampante, in cantina assaggiamo anche la contrada Santo Spirito dal carattere più gentile e sussurrato, spiccatamente floreale, in un confronto con la Langa è il Villero dell’Etna. Brilla anche un Etna Rosato del 2016, delicatissimo e fragrante, sì, noi crediamo fortemente nella tipologia. Conferme arrivano da un pari annata di Giuseppe Russo, altrettanto delizioso. Michele ci parla molto bene della vendemmia 2019, in effetti il suo bianco Archineri è già consistente, succoso, si sente un’annata classica, matura, equilibrata. Continuiamo a girare tra ville abbandonate e vigne che hanno visto aumentare il loro valore negli ultimi anni anche del 300%.
Non solo vino: ottima anche l’acqua
Il nostro obbiettivo si sposta dal vino all’acqua. Muniti di bottiglie di vetro facciamo un giro tra alcune delle fontane più rinomate della zona. L’Etna non ha solo il fuoco nella pancia ma ospita anche un’esuberante falda acquifera, la più importante risorsa idrica della Sicilia orientale. Rispetto al resto dell’isola qui piove molto di più, d’inverno si scia, le escursioni termiche sono feroci: l’Etna è davvero un Nord nel profondo Sud. La prima tappa è la sorgente alle porte di Castiglione di Sicilia, all’incrocio scendendo da Solicchiata, sapida e finissima; la seconda, molto gettonata considerando il numero di persone in fila, è a Piedimonte Etneo, accanto al campo sportivo, ed è appena appena frizzante, una gioia per il palato; l’ultima sosta è alle porte di Presa, per un’acqua appena più cremosa e corposa.
Ben contenti del nostro bottino e della nostra degustazione idrica, torniamo a Linguaglossa, crocevia per chi vuole visitare il versante nord del massiccio. Qui la famiglia Pennisi ha fatto in pieno la sua parte. La macelleria è attiva da 50 anni, nel maggio 2009 un’antica dimora ottocentesca è stata trasformata in resort, con tanto di ristorante di ottimo livello; tre anni fa la macelleria è diventata anche trattoria, tra salumi dei Nebrodi stagionati in casa, carni ben marezzate, virtuosa carta degli oli e dei vini. “Il cambiamento degli ultimi 10 anni per tutto il territorio è stato portentoso. Abbiamo avuto un turismo non di quantità ma finalmente di qualità, siamo davvero grati e riconoscenti ai produttori che hanno cambiato faccia alla zona. Come strutture siamo ancora in pochi, ma stanno spuntando pizzerie e ristoranti; stiamo crescendo bene e crediamo di poterlo fare anche dopo la grande emergenza sanitaria. Il turista del vino è esigente, chiede un servizio più attento, se spende 70 euro per una bottiglia vuole anche mangiare bene, vede i dettagli, l’olio per esempio, ci stimola insomma a far meglio. E il riscontro non si ferma solo sull’Etna, sono davvero felice che anche Catania, la città, si sia messa finalmente in pari”.
Il racconto continua nel mensile di agosto del Gambero Rosso.
a cura di Lorenzo Ruggeri
foto di Andrea Ruggeri
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di agosto del Gambero Rosso trovate l'articolo completo con gli interventi di Leonardo Pennisi, Diego Cusumano, Federico Curtaz, Sandro Libella e Frank Cornelissen, un belga che dal 2000 ha scelto l’Etna come casa e filosofia di vita, portandola con i suoi vini nel mondo. Un servizio di 13 pagine che comprende anche le 11 etichette da collezione, i vini premiati con i Tre bicchieri nella guida Vini d'Italia 2020, la mappa per orientarsi al meglio, il punto di vista di Xiaowen Huang, giornalista e autrice di Etna Wine Library, di Marino Braccu (Assistant Food & Wine Beverage Director, Four Seasons Hotels and Resorts, Bangkok) e di Davide Guidara, chef di Sum Restaurant a Catania. In più le 11 esperienze gastronomiche da non perdere.
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