Patrick Pistolesi: “Non sono i cocktail bar il problema”
Un’arte affinata in diciannove anni passati dietro ai banconi più disparati e poi il suo locale, la sua “creatura” come lui stesso ama definirla, a due passi da Piazza Vittorio a Roma: Drink Kong. Patrick Pistolesi è un maestro dell’arte della mixology che, come tutti i suoi colleghi, ora si ritrova a fare i conti con una “nuova normalità”, ma soprattutto con le difficoltà legate alle recenti accuse circa la tendenza a far “movida” (così sono state definite le uscite serali al bar) in questo periodo delicato. “Gli assembramenti si creano nei supermercati, nei negozi che vendono alcol: tanti comprano casse di birre e se le bevono all’aperto in un parco, senza rispettare le distanze. Non sono i bar il problema”. Anzi, sono proprio le attività che hanno sempre lavorato con impegno e che ora non vedono l’ora di rimettersi in gioco a garantire la massima sicurezza a ogni cliente.
I cocktail bar dopo il Cornavirus: i danni economici
Drink Kong ha riaperto i battenti lo scorso 22 maggio, “abbiamo preferito aspettare proprio per organizzarci al meglio. Ci hanno lasciato poco tempo per modificare l’assetto dei locali e ripensare gli spazi, non volevamo correre rischi”. Per la salute dei clienti e dei dipendenti, ma anche per la stessa attività, “siamo economicamente devastati, l’ultima cosa che vogliamo è mettere altra benzina sul fuoco e chiudere di nuovo”. Quando parla di danni economici, Pistolesi si riferisce a una perdita che supera l’80%. “Aperitivi e simili sono state le prime esperienze a essere condannate a inizio quarantena. È comprensibile, ma la nostra categoria è stata in questo modo distrutta e dimenticata. Abbiamo mandato avanti una porzione di economia significativa per tanto tempo, dando lavoro a ragazzi giovani, tutti messi in regola”.
I cocktail bar oggi
Un dettaglio da non sottovalutare, che rileva di nuovo – se ancora ce ne fosse bisogno – quanto il panorama dei cocktail bar oggi sia lontano da quell’idea di abuso ed eccessi erroneamente identificata come movida (termine che in realtà fa riferimento a un movimento culturale diffusosi nella Spagna degli anni ’80, da poco tornata alla democrazia). “Un tempo i pub venivano aperti da imprenditori di altri settori, spesso dell’abbigliamento, erano seconde attività per molti che non conoscevano la materia e mettevano dietro al bancone ragazzi in nero”. Ora, invece, i locali sono in mano ai professionisti, “il cocktail bar non è più un ripiego ma una scelta di vita dettata dalla passione”. Lo sa bene Patrick, che ha aperto il suo Drink Kong in uno dei momenti più floridi del panorama della mixology, “il pubblico era già maturo, pronto ad approcciarsi in maniera aperta a cocktail elaborati, curioso di informarsi e saperne di più”. Qualche giorno prima del lockdown, aveva presentato un nuovo menu con un grande evento, coinvolgendo ospiti da tutto il mondo, “abbiamo sempre voluto dare un carattere internazionale al bar”. In programma, un viaggio a Singapore per presentare l’attività, “e tanti altri di aggiornamento professionale”.
La riapertura dei cocktail bar: distanze di sicurezza e menu digitali
Poi i tre mesi di chiusura, un tempo sospeso complicatissimo, “lo Stato ha fatto quello che ha potuto, ma attività come la nostra hanno sofferto”. Infine, la ripartenza. Sì, ma come? Si rispetta il distanziamento sociale, non possono esserci più di due persone al tavolo. “spesso si pensa un locale grande possa ospitare più clienti, ma noi abbiamo anche più personale, che va calcolato all’interno degli spazi e a cui va garantita la stessa sicurezza”. Niente mascherina al tavolo, ma è obbligatoria per qualsiasi spostamento, dal bagno alla cassa, e le norme igieniche sono ancora più severe. La carta è stata sostituita dal menu digitale “con colori accesi e brillanti. Del resto, abbiamo sempre lavorato sul design e la grafica, e l’idea ci è piaciuta subito”. Gel igienizzanti sparsi ovunque e anche la possibilità del take away in stoviglie compostabili, “un tema che ci sta molto a cuore: non possiamo e non dobbiamo ora andare incontro a un abuso di plastica usa e getta”.
Comunicare bene per ripartire al meglio
Sono trascorsi pochi giorni dalla riapertura e fare un bilancio ora non è semplice. I clienti sono ancora pochi, divisi equamente fra chi sceglie di consumare dentro e chi preferisce prendere a portar via, “chi ha paura del contagio non si avvicina al locale, neanche per il take away”. Conforta e dà speranza la solidarietà dei consumatori, “i clienti fissi sono subito tornati, ci hanno dato tanto calore, supporto ed è stato emozionante vederli di nuovo al bar”. È proprio con il pubblico che bisogna parlare, ora: “Occorre comunicare bene il proprio lavoro, spiegare ogni passaggio, cosa si fa e come lo si fa, trasmettere una passione, far capire il valore del prodotto”.
Italian Hospitality Network: la rete di professionisti del mondo dei cocktail
Il sostegno più grande, poi, arriva dai colleghi: “Tanti sono venuti a farsi un cocktail e si sono rifiutati di farselo offrire, hanno voluto pagare a tutti i costi. Sono questi i momenti che mi spingono ad andare avanti. Il periodo è delicato, ma sono grato per tutto ciò che ho”. Con gli altri professionisti del settore Patrick ha istituito anche la Italian Hospitality Network, una rete di addetti ai lavori nata in piena pandemia, che vuole essere un punto di riferimento per il settore. “I ragazzi che vogliono aprire un’attività o i giovani che hanno da poco investito i propri risparmi per realizzare il loro sogno possano trovare qui tutte le informazioni necessarie a titolo gratuito, dalle ordinanze ai permessi. Una sorta di sindacato moderno”. Un consiglio per i cocktail bar in fase di riapertura? “Fare rete. Essere uniti, confrontarsi e supportarsi, ora più che mai”.
Drink Kong – piazza San Martino ai Monti, 8 - facebook.com/drinkkong/
a cura di Michela Becchi